"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

30 ottobre 2012

Quando l'Europa tremava per Heider

Mario Monti, presidente del Consiglio dei ministri, afferma che il rischio di questa Europa, che egli sta così zelantemente contribuendo a costruire, non abbia alcun problema che non sia l'irrazionale euroscetticismo velato di populismo.
Ricordiamo quando si tremava per l'austriaco Heider, frattanto morto in un incidente stradale.
Era il novembre del 2000.

Sarà stata isteria collettiva. Sarà che questa Europa, così propensa a parlare di soldi e moneta, quando parla di politica non trova le parole giuste o, peggio, non è dotata delle appropriate categorie mentali. Quanto meno la calma sarebbe auspicabile se non, addirittura, necessaria. Che ne è stato dell’Austria dell’orco cattivo Haider? Se al grottesco italiano, fino ad ieri, non si ponevano limiti né antagonisti, ormai la concorrenza è assicurata: l’Austria non è più un paese di vecchi relitti nazisti, ma, secondo gli stessi esperti nominati dalla UE, il più civile dei paesi dell’unione, o uno dei più civili. E, dopo qualche mese dalla sua riammissione a pieno titolo nell’Unione, il caso è definitivamente chiuso. Sepolto diremmo.

Era il 4 febbraio, però, quando l’Austria si trovò, per la prima volta dopo la seconda guerra mondiale, ad essere un paese isolato. Nelle elezioni nazionali, infatti, il partito dei liberalnazionali (Fpoe) quasi sfonda la soglia del 25 percento: dopo i popolari e i socialdemocratici è il partito più votato nel paese d’oltralpe. Era un piccolo partito l’Fpoe. Era. Tra la fine di gennaio e i primi giorni di febbraio gli austriaci prima, gli europei dopo, scoprono che non lo è poi tanto: cresciuto dal suo capo carismatico, Haider, a forza di comizi entusiasmanti, e imbevuto della rabbia di milioni di austriaci, ormai stanchi del sistema partitocratico dal quale erano stati amministrati per decenni, l’Fpoe si pone come ago della bilancia, dal momento che i socialdemocratici, giù presaghi della sconfitta, avevano dichiarato in campagna elettorale la loro “indisponibilità a formare un nuovo governo” con i popolari in caso di una battuta d’arresto. Che si rivelò, presto, una vera e propria batosta. Viene incaricato di formare un governo (e, ancor più urgentemente, di trovarsi una maggioranza) Wolfang Shussel, un popolare con papillon e occhialini, all’aspetto più simile a un dandy inglese che a quel mastino napoletano, che si dimostrerà più tardi. L’Fpoe si mostra disponibile ad appoggiare un cancellierato Shussel, ma viene accusato dall’opposizione socialdemocratica e dai quattordici dell’UE, oltre che da altri paesi extraeuropei, come Israele e USA, di essere un partito nazista e di voler  discriminare le minoranze etniche presenti nel territorio austriaco (sic!). Il governo si fa, Shussel non molla, nonostante arrivi qualche proposta di espulsione del suo partito dal gruppo polare europeo. Siamo al 4 febbraio, dunque: contro l’Austria si schiera apertamente quell’Europa “rossa”, i cui governi socialdemocratici vacillano già da qualche tempo (tanto per non andare lontano, le amarezze elettorali del cancelliere Schroeder nello scorso anno). L’8 maggio Shussel accetta di accogliere sul suo suolo nazionale l’indagine di alcuni “saggi” inviati dall’UE, nominati il 12 luglio dal presidente della Corte europea per i diritti umani, su incarico del presidente di turno dell’Unione, il portoghese Antonio Guterres. Il 9 settembre i saggi si esprimono: l’Austria “protegge le minoranze in maniera più ampia rispetto ad altri paesi europei”. Già è tanto per chiunque. Per il rapporto è ancora poco, perché si sottolinea (pure!) come tale protezione sia riconosciuta a livello costituzionale e come “le violenze contro stranieri siano meno frequenti che altrove”. Francia e Belgio, in Europa fra i più decisi oppositori del governo popolar-liberalnazionale austriaco, sembrano non nascondere un certo imbarazzo, mentre Haider parla di Chirac, il presidente francese, come di un “Napoleone che ha avuto la sua Waterloo”. Napoleone, e siamo al 12 settembre, come presidente di turno dell’unione, dopo un breve consulto con gli altri governi, accetta di revocare le sanzioni, pur tendendo “sotto osservazione” il partito liberalnazionale austriaco.
Al di là di pianti di coccodrillo e toni propagandistici, ancora una volta, vince in Europa la linea ipocrita, che paga nell’immediato, di lavare le proprie colpe, immolando sull’altare un capretto, certamente non pulito, ma di sicuro non più degno degli altri come vittima sacrificale.
Già dal primo momento, quello che rendeva parossistiche le accuse ad Haider erano i personaggi che gliele muovevano e la sostanza delle stesse. Chirac: il primo inquisitore. Un buon uomo, chi lo mette in dubbio, che ha illuminato le menti oscure degli abitanti di Mururoa con gli esperimenti atomici, da lui stesso ordinati quasi all’indomani della sua elezione all’Eliseo. Clinton: il democratico dall’anima verginale, fiero condottiero di un manipolo di eroi dell’aria, equipaggiati con le più avveniristiche tecnologie belliche, che, inspiegabilmente, fanno per ben due volte (quelle almeno risapute) cilecca sui cieli della Iugoslavia, mandando in fiamme un treno pieno di civili e un’ambasciata, quella cinese. Due protagonisti, coadiuvati da tanti altri amanti della libertà e della dignità umana, così attenti a non scorgere nei propri occhi le travi, da notare quelle negli occhi di Haider: 1) capo di un partito di estrema destra; 2) che elogia la politica economica nazista, 3) che vuole discriminare gli immigrati, 4) anti-europeista. 5) con qualche scheletro nell’armadio.
Haider non ha mai negato che il suo partito sia di estrema destra, e, in alcune circostanze, quando per esempio era governatore della Galizia, non ha neppure consegnato la medaglia al volere a quei suoi connazionali, che resistettero al nazismo, quando buona arte degli austriaci, invece, si copriva il volto con il manto dell’Ancluss. E’ un estremista, duro puro e coerente. Non ha cambiato le sue idee col cambiare del vento, perché quando le sue vele erano spiegate, il vento soffiava già dal lato opposto, e non ha chiuso i suoi occhi, proprio quando la coscienza scrostata faceva emergere le ferite lancinanti della Shoa: se credi in Dio, ti vengono mille dubbi, se credi in un uomo, ti viene il sonno. Ti addormenti. E taci. Ma Haider non è più estremista di tanti alti: non più di Le Pen, il presidente del fronte Nazionale Francese, col quale il partito neogollista (quello di Chirac, per intenderci) ha sempre dialogato, soprattutto dopo le elezioni regionali di un paio di anni fa. Non lo è più dei comunisti francesi, a cui Jospin deve qualcosa, né il nostro Bertinotti è più sveglio e vigile, quando tenta di giustificare il comunismo, anche dopo il Libro Nero sui crimini dei suoi compagni in tutto il mondo,  uscito in Italia nel 98. Haider parla la lingua dei tanti populisti e libertari che affollano le piazze, ormai, di tutti i paesi industrializzati. Perché? Andiamo avanti, per ora, e affrontiamo il secondo capo d’accusa, l’elogio della politica economica hitleriana. Politica economica che, sarebbe bene ricordare, fu tra le più assistenzialistiche e statalistiche che la finanza ricordi, mossa solo dal bisogno di un popolo allo stremo delle forze, e non certo dalle tuttavia moderate riflessioni keynesiane di quei tempi. Follia ricordarla, per gli esiti che ebbe e che avrebbe ora, ma chi è che oggi parla la stessa lingua? o ci si avvicina? Li troveremmo tra i buoni, tra coloro che parlano di terze vie, senza cedere all’egoismo del capitalismo o all’ingordigia accentrista del comunismo. Capita, dunque, di tirare a caso, e beccare chi sarebbe opportuno non tirare in giuoco. Accusare Haider di voler discriminare le minoranze, quando egli, in merito, non usa idee né termini diversi da quelli di un Bossi o di un Borghezio, di una Lega Nord corteggiata dalla sinistra dopo il divorzio con il Polo del 1994, ed ora  pronta a contrarre nuove nozze col centro-destra alle prossime nazionali, dimostra come la politica italiana si muova nel fragile scenario europeo, ancora senza valori sociali chiari, col passo di un elefante. I tedeschi, in merito, non sono da meno. Schroeder, il cancelliere succeduto a Kohl, non fece mai mistero, nella campagna elettorale che lo portò alla poltrona di cancelliere della nazione che, per anni, fu  tra le più convinte sostenitrici di una unione fra gli stati del vecchio continente, delle sue perplessità “europee”, e non dimenticò mai di strizzare l’occhio a quelle frange dell’elettorato, stanche di sostenere un fardello fiscale così duro per un progetto che, allora non meno di ora, così vago, e di lasciare il vecchio marco per il giovane euro, appena nato eppure così ricco di aspettative sulla vita, da ricordare la Silvia di Giacomo Leopardi. I risultati di questi ultimi mesi rendono la similitudine quanto meno appropriata!
Tanto rumore per nulla, verrebbe da dire. Lo diremmo, se volessimo sminuire il valore dell’accaduto. Ma a che pro? Cosa ci guadagneremmo? Il fatto in sé non è pericoloso, Haider non è un folle hitleriano tornato dagli abissi della memoria per non farci più dormire sogni tranquilli. Ci incalzano, invece, due domande fondamentali: attorno a quale classe politica costruire l’Europa delle nazioni, e perché, frattanto che si moltiplicano gli sforzi culturali, sociali, politici, per far davvero trionfare valori e dignità e un dialogare che moderi gli slogan delle ideologie, i popoli svoltano verso gli estremismi (di destra e sinistra) e i governanti sembrano reagire con una schizofrenia inusitata davanti a ciò, con atteggiamenti che rasentano la pantomima?
Il caso Haider ha messo in luce, anche innanzi agli occhi dei meno avveduti, come tutta la classe politica europea cerchi, teatralmente, di scrollarsi di dosso vecchi residuati pre e post bellici: escludere dalla dialettica politica un singolo individuo è un atto che colpisce quel solo individuo. Se, invece, si fissassero  “parametri” per giudicare la “condotta politica” di ogni uomo che si affacci sull’Unione, su quanti partecipanti alla discussione la democrazia europea potrebbe contare? Il muro è caduto, ma proprio per questo molti non hanno fatto in tempo a mettersi al riparo: la polvere e i calcinacci hanno coperto tutti, oggi ti incontri in post-comunisti, uomini che hanno preso atto della sconfitta di un’idea, perché, alla fine, la storia stessa l’ha seppellita. Pochi sono gli ex, e se ai raggruppamenti di destra è stato dato più tempo per riflettere sugli orrori del passato, tuttavia il clima degli ultimi quarant’anni, “freddo” com’era, ha permesso soltanto qua e là che fiorisse qualche fiore della conversione: si era in battaglia, e in battaglia chi riflette è perduto, deve solamente combattere. I due litiganti si sono scannati, i terzi hanno goduto, ma non ne escono che con molte perdite: i sistemi partitocratici hanno vissuto nel malcostume per anni e anni, accettati  per non cadere dalla padella alla brace, sostenuti perché, la sapienza comune docet, è meglio scegliere sempre il male minore. Alla prima occasione, quando i consensi convergono verso un’unica scelta, vengono spazzati via da inchieste giudiziarie, a volte di spirito giacobino, o da risultati elettorali magari non proprio desiderabili. A rigore, oggi Haider sarebbe in buona compagnia. Questo i suoi giudici farebbero meglio a non dimenticarlo. Non per difenderlo, ma per chiarire una volta per tutte la loro posizione nei confronti della storia.
Inoltre, si fa sempre più  manifesta una certa insoddisfazione dell’uomo moderno per quell’idea la quale, dopo l’eliocentrismo e il tecnologismo, più d’ogni altra sembra rappresentarlo: la democrazia. Con la quale, è vero, il mondo moderno ha avuto un rapporto d’amore  e odio, ma che se l’è vista sempre campeggiare sullo sfondo delle sue rivoluzioni, delle sue scoperte e dei suoi tentativi di progresso. Non si tratta di un’insoddisfazione per il valore che essa incarna, ché, a dire il vero, viene sempre posto a fondamento di ogni azione, ma d’una specie di fastidio per un furto: l’uomo moderno si sente depredato di qualcosa. Della sua volontà di decidere, della sua libertà. Della pratica politica che permette a queste di prendere forma nell’agorà, di materializzarsi e compiersi nel forum: si sente vittima di un complotto, che lo ha estromesso dalla gestione del potere pubblico, oggi in mano ai poteri forti di Finanza & Informazione. Un desiderio giusto, se lasciato inappagato, può divenire smania, e la smania si materializza in estremismo. Nessun raggruppamento o fazione, siano i giovani di Seattle o i fascisti di Cernobbio, si pone infatti come avversario della democrazia – e forse sarebbe più giusto parlare di partecipazione popolare, ma è anzi come vessillo che hanno un più forte coinvolgimento dell’uomo comune nella gestione del potere pubblico: forme di populismo o di lotta di classe, oggi vedono nella Globalizzazione dell’economia il grande tiranno contro cui combattere, il Cesare Crasso che tenta di schiacciare il misero Bruto. Le forme sempre più elitarie di amministrazione, il mettere da parte il cittadino a favore dei soliti “specialisti”, porta a tentativi di rivalsa. Che finiscono coll’investire anche valori che, invece, se ben curati, potrebbero come ginestra fiorire sulla lava dell’appiattimento culturale: l’integrazione, così, viene vista come omologazione, piuttosto che come un buon momento nel quale ribadire la diversità e coltivarla.
Il mondo capitalistico-borghese, dopo la lotta contro il Tiranno Rosso e la successiva legittimazione ai danni di quest’ultimo, si ritrova in una fase di involuzione: la scarsa autonomia di ampi strati della popolazione, porta a scarsa libertà politica. Non può esserci, e stato detto dopo le aperture del 1997 della Cina, libertà economica senza libertà politica. E viceversa, aggiungiamo noi. Il che è dimostrato dalle continue fusioni, che stanno portando alla creazione di enormi monopoli,        super-aziende delle quali non si sa più chi sia il proprietario, e che gestiscono tutto, dalla produzione di greggio a quella delle colture microbiologicamente modificate.
Col tempo, però, quando non si vorrà, o non si avrà più la pazienza di sperare, il nuovo regime dovrà imporre con altri metodi, che non con l’informazione, il suo dominio sugli esclusi. Che avranno ancora un Bruto dalla loro. Un Bruto che, per quanto giusti potranno essere i suoi propositi,  comunque terrà un’arma in pungo, l’anima sporca per un delitto, e la lingua pronta a sproloqui ingiustificabili.


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