"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

23 settembre 2009

L'IMBOSCATA ILLIBERALE AD AVVENIRE. Lettera a Dino Boffo

Caro direttore,
ho riscritto più volte questa mia, nel vano tentativo di non esordire come sto per fare, cioè esprimendoLe tutta la mia partecipazione al Suo disgusto per l’infamia che ha leso la Sua dignità. Col cuore, alla fine, ho ceduto, ma se poi smetto i Suoi panni, e guardo con distacco questa sporca faccenda, ecco che subito la vedo per ciò che è veramente: il più duro attacco alla Chiesa e ai cattolici italiani. Il fatto, poi, che venga portato da quella parte politica, liberal-conservatrice, alla quale io mi richiamo e per la quale ho più volte votato, è motivo per me di ulteriore rincrescimento.
È Avvenire – i suoi editorialisti, i suoi cronisti, la sua redazione – che si è voluto colpire: c’è chi, abituato a considerare il bene comune come una mera estensione della propria esasperata egoicità, ha reputato una villania da ingrati qualche presa di posizione sulla dignità del migrante e sulle folcloristiche garanzie della sicurezza pubblica. La legge sul testamento biologico o gli aiuti (presunti, perché per ora solo promessi) alle famiglie sarebbero merce di scambio col partner clericale, e non già risposte sensate ai grandi interrogativi etici del momento che la Chiesa si limita ad indicare. Come si agisce, si pensa.
Così, la si è buttata a caciara, ingaggiando il primo manipolo di lanzichenecchi disposto a saccheggiare Roma. Ma con quali armi? Tutte spuntate in partenza nelle mani di coloro che, ieri, gridavano al complotto additando la “tempestività” di alcune sentenze, ed ora, invece, non si fanno scrupolo di accozzare fogli pur di accostare vicende tra loro assai diverse. Perché c’è una profonda diversità: l’immoralità di cui si fanno censori taluni scribi non ha promosso nessuno a redattore capo, mentre c’è chi ha trovato scanni vellutati grazie a qualche moina.
Non curiamocene. Ma conosco, signor direttore, lo scoramento che si prova, quando la flebile voce della verità è sopraffatta dalla virulenza della menzogna ….
Sono meridionale, e devo giustificarmi della “mia” classe dirigente, come se chi mi chiede spiegazioni non abbia scelto nessuno di coloro che hanno governato la Sicilia – sono infatti siciliano – negli ultimi quindici anni; come se non si sapesse chi ha ridotto sul lastrico i comuni di Catania e di Modica; come se fossero al mio soldo i “bravi” che si sono opposti, di recente, alla riforma della sanità e dei centri di formazione nell’Isola.
Sono uno studioso, mi occupo di filosofia, e devo sentirmi dire che la scuola che si sta pensando sarà la migliore, come se decine di migliaia di precari non siano stati licenziati in tronco; come se da domani, in stalle dove non sarebbe stipato neppure del bestiame, non venissero a trovarsi, d’un tratto, una trentina di ragazzi, il cui titolo di studio varrà meno della simpatia del potentato di partito; come se non abitassi nell’unico paese al mondo in cui è previsto il ruolo del ricercatore a gratis.
Sono italiano, fieramente tale: l’Italia di Padre Dante, l’Italia di Pirandello. Non l’Italia dei milioni di baionette, ma quella delle mille chiese e dei mille sacrari di quella brava ed umile gente –veneta, lombarda, calabrese, siciliana… - morta sul Carso, sull’Isonzo, e morta affratellata dal dolore e dagli stenti, ma fiera di avere quel tricolore sul petto. Ed ora vilipesa, ingiuriata perché quegli stessi colori rendono omaggio ad una dittatura da operetta, divenuta degna di stima nazionale sol perché ci risolve il problema di quattro poveri disgraziati e un gommone, più facili da affrontare rispetto all’indifferenza di un continente, che una volta si diceva cristiano.
Sono cattolico, fedele al Papa, e devo sentirmi fare la morale dal gatto che non vuole chiudersi la patta dei pantaloni, e dalla volpe che vuole scegliersi da sola le coscienze degne di legiferare.
Lo so che non dobbiamo scoraggiarci. Ma intanto nessuno di chi dovrebbe, vuole ascoltare. E si riempie la piazza di urla tanto sguaiate quanto prezzolate. E a volte si ha l’impressione di combattere contro i mulini a vento.
Possiamo lasciare perdere tutto? Possiamo. Ma possiamo pure farci forza vicendevolmente. C’è una maggioranza silenziosa. Ma che non taciterà la propria coscienza, quando si tratterà di prendere le armi della democrazia.
Illusione, forse. Per intanto, io ne son certo.

Sursum corda!

Antonio Giovanni Pesce