"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

27 ottobre 2009

I MALI DEL MERIDIONE E L’ORGOGLIO DELL’ONESTÀ

Lettera pubblica su Avvenire del 27 ottobre 2009.


Caro Direttore, in una lettera pubblicata su Avvenire del 24 ot­tobre, il signor Carlisi di Udine, commentando i fatti inerenti ai diplomi falsi dispensati da al­cuni istituti meridionali, si chiede, maliziosa­mente, se agli insegnanti che si prestavano a questo gioco verrà tolto il punteggio illecita­mente acquisito, col quale poi «migliorare la propria posizione in graduatoria e chiedere an­che l’inserimento nelle graduatorie del Nord». Non credo sia necessario avere le mani in pa­sta per sapere che chi agisce in tal modo, lo fa proprio perché non vuole fare la pur giusta ga­vetta, né reputo un segno di partigianeria cam­panilistica far notare che lo scempio dell’Italia di Dante e di Pirandello non è stata compiuta dai meridionali, ma da una classe dirigente che ha rapinato le nostre ricchezze a man bassa: l’ultima trovata, lo scudo fiscale, in barba ad o­gni dottrina di giustizia sociale, laica o cattoli­ca. Dal Sud arriva la disponibilità mia e della ge­nerazione cresciuta con l’esempio dei don Pu­glisi, dei Falcone e dei Borsellino a far dell’Ita­lia un Paese più giusto.

Antonio Giovanni Pesce

4 ottobre 2009

EDITORIA CATTOLICA, FRA CRISI E SUCCESSI

Lettera pubblicata su AVVENIRE del 22 luglio 2009.


EDITORIA CATTOLICA, FRA CRISI E SUCCESSI

Caro Direttore, ho appena finito di rileggere le encicliche e alcuni discorsi – quello di Ratisbona e quello, mancato, alla Sapienza – che il nostro amato Pontefice ha diretto alla Chiesa e, per chi ha orecchi, a tutti gli uomini di buona volontà. Pian piano capiamo perché Giovanni Paolo II, di venerata memoria, si tenne accanto per quasi tutto il suo pontificato quel cardinale, sempre incline a tornare ai suoi studi e ai suoi luoghi in Baviera. Un Papa che interroga il mondo, secondo quel logos che il mondo, nelle sue accademie – onestamente, queste pure malconce, soppiantate dalla «cultura» dei talk show – dice di coltivare. Ma, mi chiedo, la sua Sposa, la Chiesa, è pronta per seguirlo? Parliamo della formazione, dell’impegno culturale dei cattolici: come possiamo uscire da quello che mi pare uno stallo di circolazione? Le nostre case editrici pubblicano con grave impegno opere scientificamente rigorose, e penso agli scritti di Tommaso d’Aquino, di Rosmini, di Lonergan, ma poi, dato il prezzo, non si riesce a mettere questi libri in circolo, non si riesce a farli diventare motivo di discussione e di dibattito. Unico best-seller a far eccezione, tra i grandi, è sant’Agostino, ma rimangono quasi del tutto sconosciuti i Padri, molti altri scolastici (Scoto, per esempio), tantissimi moderni e contemporanei. E perfino di Maritain iniziano a scarseggiare le pubblicazioni. E solo un momento di stanchezza? O, forse, ci stiamo adeguando all’andazzo di una cultura debole? Strano, perché l’associazionismo cattolico (nei movimenti, nelle parrocchie) sta facendo tanto...

Antonio Giovanni Pesce - Motta Sant’Anastasia

Risponde Dino Boffo:

Dalla sua lettera, caro Pesce, traspare un amore autentico a quel tesoro di cultura che deriva dalla fede. Amore che la urge a porre delle domande impegnative, attualissime. Lei scrive di uno « stallo di circolazione » . Sul concetto di circolazione bisogna però intendersi: se con questa si intende la « visibilità » sui media laici, sulle terze pagine dei quotidiani o negli spazi di approfondimento culturale televisivi e radiofonici, è chiaro che lì c’è indubbiamente una « resistenza » dovuta alla formazione e alla sensibilità di chi dirige quei media, nonché a consolidate dinamiche commerciali (cioè il peso preponderante che nelle case editrici hanno i prodotti generalisti e legati ai consumi di massa). « Sfondare » un simile muro non è certo cosa di poco conto, o di breve periodo (d’altra parte bisogna imparare a non sopravvalutare certe « vetrine » mediatiche). Ciò detto, le sue impressioni non sono prive di fondamento. La ricchezza culturale del magistero di Papa Ratzinger, se da un lato è un formidabile impulso a impegnarsi su questa strada – quella appunto della cultura (università, scienza, ricerca, arti) – dall’altra mette anche in luce un certo ritardo del mondo cattolico; ritardo che, tra parentesi, è quello su cui la Cei ha richiamato l’attenzione nell’ultimo quindicennio, lanciando il « Progetto culturale ». Una perdita di terreno che è spesso dovuta a un’attrazione – che diviene subalternità – rispetto a quanto produce il mondo secolarizzato, dimenticando di tesori del passato o le tante intelligenze di vaglia che noi credenti abbiamo « in casa ». Ma la realtà non è tutta a tinte fosche, anzi. Un’indagine conoscitiva commissionata della Uelci, l’unione degli editori cattolici, che verrà ufficialmente resa nota a settembre e di cui abbiamo anticipato alcuni dati su Agorà di mercoledì scorso, mette in luce un elemento che fa davvero pensare: a fronte di una sofferenza generalizzata dell’editoria causata dalla crisi economica e forse anche dalla scarsità di idee nuove, la richiesta di libri religiosi è invece in aumento, e risulta uno dei pochi segmenti editoriali che negli ultimi anni ha conservato il segno '+', grazie a una fascia di lettori nuova e interessante, di età compresa tra i 30 e 45 anni e di buona scolarizzazione. Un paradosso? Certo un dato che indica come ci siano tutti i presupposti per investire con successo nell’ambito della cultura cattolica, ma come ci sia anche bisogno di lavorare ancora molto, magari partendo da questioni strategiche quali la rete distributiva e la necessità di un marketing più « accattivante ».

3 ottobre 2009

GIOVANNI GENTILE E KARL MARX

Lettera pubblicata su AVVENIRE del 3 ottobre 2009.

GIOVANNI GENTILE E KARL MARX

Caro Direttore, su Avvenire del 25 settembre è pub­blicato un articolo di Massimo Ono­fri su Asor Rosa nel quale si può leg­gere: «Epperò il suo Marx è quello di Gentile e del suo concetto di prassi: laddove la verità non esiste in se stes­sa ( sicché la si può disconoscere e sprezzare), se non nell’atto che la i­stituisce, nell’ottimismo della vo­lontà ». Non so a chi dei due sia da at­tribuire questa, ad essere cortesi, infondata opinione ma, a ogni buon modo, indegna della firma e dell’uno e dell’altro. La prassi in Gentile (sem­pre che del padre dell’attualismo si stia discorrendo) non ha nulla a che vedere col materialismo marxista, ma è assai più vicina a un’ermeneutica e­sistenziale. La verità, poi, non può es­sere disconosciuta, perché è la vita stessa dello Spirito. Spirito o Io che, infine, non è quello di Asor Rosa, il mio o quello di Onofri: le radici di in­dividualismo, materialismo, scettici­smo, relativismo non sono da ricer­care in Gentile, anzi. Mi pare che, pro­prio oggi che possiamo accedere ai classici con abbondante disponibi­­lità, talune posizioni debbano essere riviste: c’è umanismo e Umanismo, come c’è io e Io. Il sistema di Gentile non può esprimere la profondità del dogma cattolico – me ne ren­do conto – come del resto nep­pure quello di Rosmini, però mi pare che, a forza di dire certe co­se, più che tomisti, siamo dive­nuti aristotelici. Dimentichi del ruolo importante che nell’Ange­lico ricopre questo dono divino che è l’Intelletto.

Antonio Giovanni Pesce




Risponde Massimo Onofri Gentilissimo, capisco il dissen­so – più che legittimo –, meno l’indignazione. La ringrazio, ad ogni modo, per avermi dato la possibilità di chiarire meglio il mio discorso. I classici, è vero, sono ormai largamente e facil­mente accessibili: epperò, se carta canta, non canta mai da sé, ma ha bisogno sempre di in­terpretazione. E, come lei sa me­glio di me, 'La filosofia di Marx' di Gentile venne assai lodata da Lenin nel Dizionario enciclope­dico russo Granat (1915). Gen­tile, in quel notevole libro, re­spingeva il materialismo marxiano, ma ne accoglieva con entusiasmo la modernissima i­dea di filosofia della prassi. Del resto, un altro grande lettore, Del Noce, riteneva il fascismo, non u­na negazione, ma una revisione del marxismo, attraverso, appunto, una reinterpretazione della prassi come spiritualità. Comunque, il punto del mio articolo non stava in Gentile, quanto nel suo assorbimento, spes­so mai dichiarato, talvolta persino ri­mosso, da parte di molti letterati e fi­losofi della sinistra una volta ultrari­voluzionaria – facevo i nomi di Asor Rosa, Cacciari (ora, però, moderatis­simo in politica), Tronti, Toni Negri – . È proprio in questi intellettuali che l’Io di Gentile si laicizza nella sogget­tività delle masse antagoniste, il cui atto ( non più puro, certo, né spiri­tuale) diventa finalmente fondativo di una verità ormai figlia della vo­lontà. Riflettere su queste radici re­motamente gentiliane di molta sini­stra italiana ci aiuterebbe, forse, a ca­pire meglio tanta storia italiana, tan­te sue etiche disfatte.