"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

29 giugno 2011

Consiglio comunale di Catania alla Full Metal Jacket

Consiglio alla Full Metal Jacket 


di Antonio G. Pesce - Trincea a Palazzo d’Elefanti. Truppe schierate – si rivedono volti di passato eroismo richiamati in prima linea dalla necessità del momento. Si discute dell’aumento della tassa della spazzatura e di quella della corrente elettrica. In aula anche Lanfranco Zappalà (Pd), presentatosi con un occhio bendato da una vistosa medicazione. Una scheggia di mortaio, un colpo preliminare sparato dal Pdl Manlio Messina (notoriamente poco attratto dalle cravatte del piddino) o del capogruppo Pdl Santagati? Una spina nel bulbo oculare parrebbe. Il referto medico non è ancora stato diramato dall’ufficiale medico, e si deve scrivere la cronaca dell’ultima seduta consiliare (dunque, il lettore si accontenti delle pur scarse informazioni pervenute).
Il campo pare minato. Estate afosa? Innanzitutto intossicata. Il tasso di ozono nell’aria è più alto del dovuto, e il caldo farà tra poco la sua parte. I catanesi attaccati con (le proprie) armi chimiche, frattanto che la città si svuoterà, e i meno coraggiosi andranno a riparare sulla costa, lasciando soli gli anziani in battaglia. Gemma Lo Presti (La Destra), crocerossina, chiede se l’anagrafe delle fragilità sociali sia davvero così poco aggiornata come voci di retrovia (leggi corridoio) parrebbero confermare. Dannazione: come possiamo vincere la guerra, se non abbiamo una buona infermeria? Rosario D’Agata (Pd) ci mette il carico: se è per questo, non abbiamo neppure un buon dispiegamento di forze per affrontare la disoccupazione e la ‘malura’ che avanzano con le loro truppe cammellate. Del piano commerciale non si sa nulla, se non che il comune di Catania è stato commissariato. La regione – dice D’Agata – ama commissariare spesso, e in questo caso il commissario del ‘popolo’ è un signore sicuramente perbene, ma che fa il consigliere comunale nella vicina Misterbianco. Insomma, non il tenentino di West Point messo in prima fila ‹‹con un corso rapido›› di amministrazione, ma un sergente a cui hanno dato il comando di una divisione corazzata. Senza i tank del commercio, la guerra è persa. Già, dice la vestale Valeria Sudano (Pid) di nero vestita, ma non erano pronti 5 o 6 regolamenti per le attività commerciali in città (chioschi, edicole, ecc ecc)?
E come rispondiamo alle controdeduzione di Stella Polare (chiede Puccio La Rosa di Fli)? ‹‹Non possiamo andare avanti con interventi tampone›› afferma Alessadro Messina (Misto). Il quale, tra l’altro, chiede se tutti stiano lavorando per la vittoria. Teme qualche imboscato in fureria. Come il consulente del sindaco, l’ing. Sanfilippo, pagato con 36 mila euro. ‹‹Non oso chiedere quanto guadagni ora che è capo di gabinetto››. Manlio Messina (PdL), infine, teme lo sbando dell’ordine: le truppe si sollazzano facilmente con le schiere di prostitute che stanno invadendo perfino le vie principali.
Lo stato maggiore è nervoso. Si parla. Ci si interrompe. Il sergente Marco Consoli cerca di serrare le fila, ma è difficile questa sera (mai stato facile, del resto: nessuno è remissivo come Palla di Lardo). Prendono la parola gli strateghi del Pentagono nostrano, ed è un piangere miseria continuo. Parte l’ass. Massimo Pesce. I vigili urbani fanno quel che possono, ma non sono abbastanza per controllare ogni parte delle mura: si capisce che l’abusivismo commerciale sfondi da qualche parte. Sotto controllo ormai appare il Lungomare, via Teocrito e anche in via Etnea. Si deve far di più al corso Sicilia. E anche per la prostituzione: o si interviene con un coordinamento delle forse di polizia, o siamo fritti. Franz Cannizzo, assessore con delega al commercio, tra gli strateghi è quello più sotto accusa, e spiega i danni che l’abusivismo produce al tessuto produttivo della città. E ricorda con quanta facilità è stato tollerato negli anni passati. Insomma: si credevano quelle motoapi e bancherelle quattro ascari, e invece è l’Armata Rossa che, in nome dei bisogni del subproletariato abusivo, ha invaso le strade. Che l’ass. Torrisi garantisce essere pulite, nonostante i dubbi di Manfredi Zammataro (La Destra), soprattutto per quanto riguarda quelle delle retrovie (Librino).
Sono ancora, però, quisquiglie. Piccole scaramucce logistiche. Si va alla conta sulle strategie serie. Passiamo alla Tarsu. Passiamo all’accise per l’elettricità.
Toh, dice D’Agata (Pd), l’uomo delle ‘pregiudiziali’: stiamo andando a legna senza corda. Mancano in aula i revisori dei conti. Insomma, bisogna spostare truppe senza però avere le indicazione dei cartografi: quali le coordinate? Il presidente Consoli cerca di capire dove si siano andati a ficcarsi i signori ragionieri. Sabotaggio? Anche Salvo Di Salvo (Mpa) lo dice: pregiudiziale.
La pregiudiziale passa. L’assalto ai problemi della città rinviato. Gli ufficiali lasciano il consiglio. Nella smobilitazione totale dell’aula, si vede Marco Consoli urlare al cellulare. Un cazziatone, che difficilmente farà rimpiangere quelli del sergente istruttore Hartman.


Pubblicato il 28 giugno 2011 su Catania Politica

L'assemblea regionale dell'Mpa

Cronaca autonomista 

di Antonio G. Pesce - Comincia sotto un sole che picchia l’assemblea dell’Mpa. Finirà anche peggio, in un ingorgo nel quale balneari ed autonomisti si malediranno vicendevolmente, con i primi troppo stanchi per aspettare, e i secondi ancora galvanizzati da un Lombardo in grande spolvero, tanto grande da perderci pure la lena.
Sabato mattina si fa la fila per arrivare al Palaghiaccio. ‹‹Non promette bene›› dice qualcuno, pensando già a domenica. E alla fine dei lavori, non saranno in pochi a non aver gradito il posto. Ché è quello che non è andato. Per il resto, il posteggio lo troviamo facilmente. Non siamo in ritardo. Da lontano, i primi giornalisti. La conferenza è puntata per le dieci. Ci sono ancora tre quarti d’ora abbondanti. Facciamo un giro.
Le gradinate sono divisi a settore. ‹‹Proprio questo ha frenato in molti. Non ci fossero state, saremmo stati molti di più. Non tutti hanno voglia di esporsi››: piccole frasi carpite. Chiediamo spiegazioni. I settori degli spalti sono assegnati ad onorevoli e senatori: ognuno si porta i suoi. Correnti insomma? ‹‹Non c’è nulla di male – ci si risponde – da noi sono alla luce del sole. Ma così non si può andare avanti. Perché? Perché il cretino troppo zelante, più realista del re, lo trovi, e ti crea problemi. Una corrente è una corrente. C’è chi la scambia davvero per tutto il fiume››. Metafora azzeccata: arriva un fiume di persone. Poi, ci sono quelli che amano distinguersi: da Mazara del Vallo un pullman di magliette gialle. Sembrano giapponesi in gita (stesso ordine, stessa quantità). Dentro al Palaghiaccio non si sta male: ci si guarda in faccia, e si ringrazia per l’areazione.
Cominciano i lavori. Li apre Pippo Reina. Acustica scarsa per tutto il primo giorno. Migliorerà domenica. Sul palco, sale Raffaele Stancanelli. La platea applaude, mentre gli spalti si riempiono di gente con ancora il sapore del caffè in bocca. Fuori si fuma. Si parla. E si ascolta. Si ascolta tanto quanto si parla. Latteri? Non è potuto venire. Ma nessuno strappo, anzi. Si giura e si spergiura di aver visto l’assessore Massimo Pesce, ritenuto persona vicina al senatore. Ci scusiamo, e andiamo a fare un giro in solitaria.
Ecco Mimmo Galvagno, capogruppo al Consiglio provinciale. Gli passa accanto Salvo Di Salvo, capogruppo in quello comunale. Quello che capiamo distintamente è lo sfottò: ‹‹Tocca a me, per rispetto istituzionale e anagrafico››. Galvagno non gradisce il rispetto anagrafico: tanto valeva tenersi pure quello istituzionale. Gli amici, tutt’intorno, ridono, mentre vediamo passare l’on. Lino Leanza. C’è anche un gruppetto attorno al sen. Vincenzo Oliva: domenica si prenderà il ringraziamento di Lombardo per il lavoro svolto come coordinatore e l’applauso del palazzetto. Con lui, l’on. Arena e Giampiero Musumeci, il candidato a sindaco autonomista nell’ultima tornata elettorale a Ramacca. Intanto Alessandro Porto, consigliere comunale etneo, in maniche di camicia offre caffè al bar.
Alla conferenza stampa, Raffaele Lombardo è attorniato da giornalisti. Nel suo intervento finale si dilungherà di più su alcuni punti: intanto risponde alle domande, anche dopo aver lasciato il tavolo della conferenza. Ma domenica pare ancora lontana, soprattutto a Matteo Marchese, che tiene a bada i giovani. ‹‹Sto sudando sette camice. Forse c’è uno striscione dei ragazzi che porta fastidio. Vediamo che è questa storia››. Scappa. Sgattaiola, chiedendo scusa, ma si ferma un istante a salutare Marco Consoli. Il presidente del Consiglio comunale si avvicina: ‹‹Mi piacciono i vostri fotomontaggi – ci dice – Me li metterò sul blog››. C’è caldo: fuori dal palazzetto non si resiste molto.
Domenica è anche peggio. I lavori iniziano anche un po’ più tardi, a causa di un incidente in tangenziale, che paralizza il traffico di mezza provincia. È il giorno dei big. C’è lo spazio per un simpatico siparietto tra Giuseppe Compagnone, sindaco di Grammichele o, come egli scherzosamente dice, di ‹‹Betlemme››, e Pippo Reina che lo invita a lasciare il palco, ancora in saldo possesso del sindaco dopo dieci minuti (tre sarebbe quello regolamentari). E, soprattutto, per ammirare dal vivo Maria Grazia Cucinotta.
Poi, arriva l’ovazione. Siamo fuori. Intuiamo. Facciamo subito ritorno. Raffaele Lombardo ha conquistato il palco e comincia con una requisitoria: no alle correnti – ‹‹la mia corrente è l’Mpa››; no ad un governo suddito della Lega – e qui qualche staffilata per Fds, se non si stacca da un partito a trazione leghista come il Pdl; no ad un’Italia dove si fanno volutamente seccare i rami al Sud, e poi li si taglia – riferimento esplicito alle Ferrovie, ormai del tutto in fuga dall’Isola. E i fondi Fas? ‹‹La Sicilia è davvero dei siciliani?›› si chiede il presidente siciliano, chiosando il motto dell’assemblea. Insomma: tutto falso l’avvicinamento al Pdl. Mentre, non si può buttare un’esperienza di governo col Pd, che sta dando tanti frutti (e molti tra i democratici erano presenti). Parla del terzo polo, delle riforme che egli ha fatto, di quelle che non voleva fargli fare il Pdl, di quelle che rimangono da fare. Soprattutto, quella interna al partito: militanza, ecco cosa manca. E se qualcuno si sente scavalcato, si accomodi fuori.
Sarà anche infastidito dai cori da stadio, che a volte lo soverchiano. Ma Lombardo l’arma ce l’ha lì, a portata di mano: il partito. Magari non proprio novecentesco. Di certo, però, non liquido. I ‘liquidi’ è tutto grasso che cola o che colerà da qui a poco. Voti in uscita. Che Lombardo sa di poter intercettare, non appena tutti quei giovani – e ci sono – si saranno mossi. La naturale evoluzione ha mediamente 25 anni. Il Lombardo del futuro non ha ancora neppure la barba.
foto di Orazio Di Mauro


Pubblicato il 27 giugno 2011 su Catania Politica

22 giugno 2011

La naturale evoluzione

La naturale evoluzione 


di Antonio G. Pesce - Siamo ancora a martedì. Ma il fine settimana si avvicina, e al Palaghiaccio di Catania l’Mpa avrà la sua ‘naturale evoluzione’. Raffaele Lombardo è uno che le idee ce le ha – che poi possano piacere o no, ha poca importanza nel contesto di questo discorso. La sua analisi della situazione politica è sempre molto precisa, e muove bene le sue pedine sullo scacchiere. Ha poco più dell’1% su scala nazionale, ma fa parlare di sé come neppure Sel o l’Idv a volte riescono. Tuttavia, Lombardo lo sa che il partito non gli tiene. Basta un soffio, e la gente fugge via. Innanzi tutto, perché la selezione ‘del personale’ nell’azienda Lombardo è assai poco efficiente. Come in tutti i partiti italiani ormai, ma quelli piccoli hanno l’aggravante di non avere l’occhio di bue dell’informazione piantato continuamente addosso. Di Scillipoti che fuggono versi altri lidi l’Mpa ne ha avuti molti, ma quanti se ne ricordano?
L’altro giorno il presidente ha scritto sul suo blog: ‹‹La stessa Lega ha degli iscritti ma ha anche, e soprattutto, militanti. Quelli che fanno la lotta, il comizio, la manifestazione ma non disdegnano di affiggere i manifesti. Sono una elite a cui è riservato l’elettorato attivo e passivo e a cui devono appartenere i parlamentari e i deputati. Fino a quando non faremo così avremo deputati che si vendono, cambiano partito, si lamentano e sputano sul piatto nel quale hanno mangiato››.
Il Palaghiaccio offrirà l’occasione per rilanciare il progetto autonomista. Anche perché urge farlo in fretta. Ieri Lino Leanza è stato chiaro: non si possono fare ammucchiate. E il Pd ce l’ha per vizio: tende a sinistra, scambiando facilmente l’entusiasmo per il consenso. Le elezioni democratiche – fino a prova contraria – sono ‘quantitative’ non ‘qualitative’: un voto, anche se dato senza balli in piazza e cori di esultanza, rimane pur sempre un voto e vale quanto un altro. Quando il governo Berlusconi cadrà, cioè quando la Lega non avrà più scuse da accampare davanti al proprio elettorato, allora si andrà alle urne anche in Sicilia. Il Pd imbarcherà Sel, Idv e altri: lo vogliono gli elettori, esattamente come il Terzo Polo se ne andrà al macello, ma a testa alta (e chissà che non ne esca qualcosa), piuttosto che perdere preventivamente con alleanza altamente indigeste. Anche in questo caso, sono gli elettori: a Berlusconi no, ma no alla sinistra i moderati di Casini e gli autonomisti di Lombardo lo hanno detto anni e anni fa. Il Pd è una cosa, Sel un’altra.
Lombardo sa che deve accorciare i tempi. La sua piccola macchina da guerra deve solo tener botta. Le possibilità ce le ha, perché tutto gli sta remando a favore. Micciché e i suoi hanno già la loro scialuppa. Tremonti se la sta facendo: sarà sicuramente un riformismo di destra. Due scialuppe per lasciare un PdL in caduta libera, qualora il premier non riuscisse più a gestire la crisi. A quel punto, anche l’elettorato si muoverebbe, e con più velocità di quanto i sondaggisti possano credere.
L’estate potrebbe essere foriera di novità. Gli italiani, quando non hanno nulla da fare – e in estate ci si annoia facilmente – si mettono a fare le rivoluzioni. E se la nave berlusconiana s’incaglierà sugli scogli estivi, il Pd potrà fare a meno del referendum interno: Lupo, Cracolici, Bianco e le loro beghe saranno tutti accompagnati alla porta.

Pubblicato il 21 giugno 2011 su Catania Politica 

20 giugno 2011

PENSIERO LXX

Il coltello che penetra di più, è quello impugnato dalla mano più amica.

PENSIERO LXIX

Chi lascia la vecchia per la nuova, proprio perché sa cosa lascia, ringrazia Iddio per cosa trova.

Se Stancanelli si dimentica di Laura

Se Stancanelli si dimentica di Laura 


Antonio G. Pesce - Ci si permetta la lunga citazione (dopo, il lettore ne capirà il senso): ‹‹Le istituzioni ai vari livelli sapranno rispondere per come meritano a chi vigliaccamente attenta alla sicurezza di cittadini onesti e laboriosi vittime innocenti di una barbarie violenta che sembra volere fare tornare Catania agli anni bui. Occorre impedire con tutte le forze che ciò accada e confidiamo nell’operato di magistratura e forze dell’ordine che in un contesto storicamente difficile come quello etneo hanno sempre dimostrato di possedere competenze e professionalità adeguate per contrastare la mafia e la delinquenza organizzata. Non s’illudano questi delinquenti: a Catania ci sarà sempre un fronte comune perché legalità e sicurezza continuino ad avere il sopravvento sulla recrudescenza criminale che inquina la convivenza civile e mette in pericolo la libertà dei cittadini››.
Era il primo luglio di un anno fa. Davanti alla tragedia di Laura Salafia, giovane studentessa del nostro Ateneo, si mobilitavano anche le belle menti della città, oltre che la gente onesta. In redazione arrivavano dichiarazioni a iosa. Tre le molte quella del nostro sindaco, Raffaele Stancanelli, riportata pari pari, tanto per rinfrescare la memoria di tutti (la sua compresa). Ad un anno di distanza, ormai senza i riflettori a puntare sul dolore della giovane né sulla tragedia che ha colpito la sua famiglia e i suoi affetti più cari, si capisce di che natura è stata la ‘risposta’ promessa allora dal primo cittadino. È notizia di ieri: il Comune di Catania non si costituirà parte civile nel processo.
Una dimenticanza, ipotizziamo: dovevano depositare l’atto, e se lo sono scordati sul tavolino di qualche caffè della città. E – tanto per essere chiari – dal momento che sarebbe assurdo, tanto assurdo da sfiorare l’indecenza, non essersi costituiti per chiara scelta, pensiamo si tratti di un equivoco. Forse non abbiamo avuto la notizia giusta. Forse oggi uscirà un comunicato che potrà smentire tutto. Vi preghiamo: lasciateci questa speranza. Lasciate che per un paio di ore si possa ancora sperare che si tratti di un malinteso. O – vi preghiamo, lasciateci questa pia illusione – che il Comune si sia costituito, ma che il giudice l’abbia rigettata, ritenendo infondati i motivi. Sì, è stato così: un brutto giudice cattivo crede che trasformare una strada in un far west non sia lesivo dell’immagine della città. Sì, sono i giudici, c’è una congiura contro l’Amministrazione Stancanelli. O l’atto ufficiale del comune è stato sbagliato da un avvocato incompetente. O….
Tutto può andare bene per non dirci chiaramente la verità, che una sola cosa – una sola è peggio del colpo che ha paralizzato la giovane Laura: l’indifferenza del culo politico quando siede sulla propria spocchia.


Pubblicato il 18 giugno 2011 su Catania Politica

Tutti presenti!

Tutti presenti! 


di Antonio G. Pesce – Non l’hanno presa bene. Era assai comprensibile, del resto. Ti trovavano con il paninazzo in mano – la questione della marmellata è tipica del Nord: voi ce lo vedreste uno dei nostri ‘carusi’ prendere quattro ceffoni perché si è mangiato un po’ di confettura? – tu già obeso di tuo, e che dicevi? Da grande capita in altre occasioni. E che si dice?
Citare Catania Politica non è chic. Ed è bene che continui così la cosa: non citateci. Noi siamo gente brutta, sporca e pure cattiva – vi abbiamo fatto male, molto male, poverini! Però ieri sera, al consiglio comunale, un grande spettro si aggirava tra gli scanni – pardon, tra gli ‘scranni’: lo spettro del cataniapoliticismo. Lo spetto di chi lo dice da qualche anno, che non si può andare avanti con una stentata metà di consiglieri comunali a puntata; che il sito web del comune andrebbe fatto meglio; che l’attività dei consiglieri comunali dovrebbe essere indicata con più particolari, ecc.
Discussione sulle assenze. Premessa: siamo tutti democratici. Se andate in giro, alla fine, un cretino che non si dica democratico non lo trovate. Però, quando è del nostro deretano che si parla, ecco spuntare l’eccezione: tutti i deretani sono democratici, ma ce ne sono alcuni che sono più democratici di altri. E allora? E allora com’è che sono usciti questi dati? Vuoi vedere che, sotto sotto, la macchina del fango è arrivata pure a Catania? Come ha spiegato il presidente del consiglio comunale, Marco Consoli, quei dati sono a disposizione della stampa e ‹‹di ogni cittadino che ne faccia richiesta›› e, del resto, ‹‹i dati quelli sono››.
Qui pronte le giustificazioni da libretto scolastico: problemi personali, di famiglia, di dissenso politico. Magari – che ne sappiamo? e tu lettore, perché ridi? magari è davvero successo che non è passato l’autobus, che la nonna è rimorta per la dodicesima volta, che hai avuto seri problemi di salute o dovevi andare ‘a farti le analisi’. Coraggio: il peggio ciascuno di noi lo ha dato negli anni dell’adolescenza, quando doveva giustificare una ‘calia’. E ci può anche stare, e magari è anche vero che l’attività politica non si fa solo in aula. Una, due, tre volte ci si può assentare. Su 91 occasioni, quante volte è lecito assentarsi? Il 25%, dico io, come a scuola. Però, alla fine, devi farti vedere in consiglio. Il tuo democratico deretano ‘deve’ sedere su quegli scanni punto.
Non ci sono scuse che reggano. Alla fine, tutto deve trovare compimento in quell’aula per varcare la cui soglia hai chiesto un voto. Questa è la democrazia, signori democratici di ogni risma. La democrazia prevede istituzioni, che vanno rispettate. A nessuno, poi, è impedito di stare ‘vicino alla gente’ – anche questo abbiamo dovuto sentire! – nelle ore diverse da quando la presenza è richiesta in aula. E si può anche lasciarla l’aula, quando ciò ha chiaro valore politico. Ma prima ci si deve entrare. E se la si lascia, almeno ci si metta d’accordo con gli altri colleghi di partito al fine di evitare differenze abissali nello stesso gruppo.
Certamente, non bastano le presenze per quantificare la produttività di un uomo politico. Bene, dunque, ampliare la gamma di dati, come richiesto da più parti. Però è dalla presenza che si deve partire. Perché solo se si è presenti, si può votare una mozione, presentarne una, essere rappresentativi di quella gente che, ‘democraticamente’, ha concesso l’incarico. E tanto son vere queste parole, che proprio ieri sera si è registrato un discreto numero di presenti, molti dei quali hanno preso la parola per giustificarsi o giustificare. Perché anche per giustificare o giustificarsi bisogna essere presenti.
Di una cosa si può essere sicuri: qualcosa cambierà. La battaglia della stampa tutta e la nostra tanto odiata ‘classifica’ sono servite. Ora però vogliamo i dati sulla produttività, su votazioni e mozioni, o è parziale e incompleta trasparenza.
Rimane da fare, infine, una disanima seria del linguaggio politico di quella che ormai si configura – in tutti gli stati dei continenti – come una ‘oligarchia democratica’. Però è meglio lasciare stare. Di sberle ne sono arrivate già abbastanza.

Pubblicato il 16 giugno 2011 su Catania Politica

In Sicilia arriva il vento

In Sicilia arriva il vento 


di Antonio G. Pesce - Cambia il vento in Sicilia? Il due Cracolici-Lupo ne paiono convinti. E non a torto. Il centrosinistra si aggiudica nei ballottaggi 7 degli 11 comuni della Sicilia chiamati alle urne: a Vittoria, Bagheria, Ramacca, Campobello di Mazara, Noto e Canicattì. Il centrosinistra vince soprattutto nei due grossi centri di Vittoria nel Ragusano e Bagheria nel Palermitano. In quest’ultimo si rafforza l’alleanza tra Pd e Terzo Polo con l’elezione di Vincenzo Lo Meo (Udc).
Il centrodestra la spunta a Patti con Aquino e a Favara con Manganella. Sembrano, ormai, lontanissimi i tempi dello strapotere azzurro nell’Isola, quando Micciché portava a casa un 61 a 0 che è entrato nella storia e, se continua così, diventerà leggenda, tanto improbabile parrà che sia avvenuto un evento del degenere.
Eppure il Pd farebbe bene ad analizzare meglio gli ultimi accadimenti, perché una chiara vittoria non si traformi in una vittoria di Pirro. A Vittoria, appunto, popolosa cittadina ragusana vero motore dell’esportazione agricola siciliana, il centrodestra presentava Carmelo Incardona, uomo di spicco di Forza del Sud, già eletto nelle liste del Pdl. Il sindaco uscente da battere, tale Giuseppe Nicosia del Pd, non sarebbe stato – lo si sapeva- osso facile da digerire. Nicosia ha alle spalle una propria storia, a volte non poco invisa a uomini del partito. Ma è persona che in molti danno per capace.
A Vittoria, il primo divorzio dell’asse Mpa-Pd. Il partito di Raffaele Lombardo ha appoggiato Incardona, dopo che il proprio candidato sindaco, Francesco Aiello, è giunto terzo. E pare che non sia stata una divisione infruttuosa: Nicosia lascia lo sfidante al 44%, circa undici punti percentuali di distanza. A Ramacca, poi, il ballottaggio è stato tutto dentro la maggioranza regionale. Si sono sfidati Francesco Zappala (Pd) e Giampiero Musumeci (Mpa). Qui, quasi un doppiaggio del candidato democratico ai danni dell’ ‘alleato’ autonomista.
Insomma, nel giorno in cui Raffaele Lombardo si libera (o quasi) da un grosso peso giudiziario, il Pd si svincola (nei fatti) da un’alleanza indigesta alla base del partito. Che accadrà domani è difficile dirlo. Ma questo dato è bene che i vertici siciliani del Pd lo tengano a mente. A Lombardo servono un paio di mesi per riassettare le fila. Tra qualche settimana sarà varato il nuovo progetto, e allora il governatore potrebbe riprendere il largo. Magari per attraccare in porti già visitati, ora che un po’ tutta la vecchia ciurma – chi per un verso e chi per un altro – non naviga in acque tranquille.

Pubblicato il 14 giugno 2011 su Catania Politica

I dati dell'improduttività

I dati dell’improduttività 
 

di Antonio G. Pesce - Forse a qualcuno non è piaciuto che, l’altro giorno, proprio da queste colonne scappasse un invito alla vergogna per l’ennesima convocazione del consiglio comunale, conclusasi con un nulla di fatto per l’assenza di numero legale. Qualcuno su quello scanno ci va, e sentirsi poi fare la ramanzina è come andare la domenica a messa, e sorbirsi i rimproveri che il sacerdote fa a chi non può ascoltarlo.
C’è chi quello scanno lo riscalda poco, e non certo perché riscalda altri posti tranne che quello. Perché si agita, ci mette passione, si alza e prende la parola, e non si siede mai. Chi ha seguito il consiglio quest’anno, può dare atto di momenti di profonda e vera dialettica politica. E i nomi sono, grosso modo, quelli che abbiamo elencato, scherzosamente, la scorsa volta. Come faremmo a conoscerli, se non si fossero fatti vedere mai? E come avremmo potuto affibbiare loro l’epiteto giusto – credeteci: erano tutti pensati! – se non avessimo capito, grazie alla frequenza, i loro pregi e i loro difetti, vizi e virtù? Poi, capita un impegno improcrastinabile. E magari, dopo mesi e mesi di onorata presenza, ti arriva il rimbrotto per quell’unica assenza.
I buoni ci sono sempre. E, se non vogliono farne le spese dell’incuria dei cattivi, farebbero bene a non comportarsi da fessi. Mandino qualcuno alla lavagna. I mezzi ci sono. Noi di CataniaPolitica avevamo suggerito, qualche tempo fa, di far funzionare meglio il sito del Comune, dando la possibilità al cittadino di conoscere i lavori dell’assise cittadina. Avevamo suggerito perfino una diretta web continua delle adunanze, e non a singhiozzo come capita adesso.
Risultato? Il comune di Catania non fornisce neppure i dati inerenti alla “produttività” del consiglio comunale. Il cittadino catanese può sapere, allo stato attuale, presenze e votazioni dei suoi rappresentati al parlamento siciliano e in quello nazionale, ma non al ‘senato’ della città. La polemica si è potuta leggere, nei giorni scorsi, sulla stampa nostrana, e noi ci permettiamo di far notare come avevamo già sollevato la questione. Ora ne abbiamo la certezza: è problema, altro che!
Commetteremmo un gravissimo errore nel fare di tutta l’erba un solo fascio. Però coloro che si sentono lesi nella loro onorabilità, abbiano un sussulto di dignità, sollevino il dibattito, e cerchino soluzioni che garantiscano, innanzi tutto, proprio loro.
Questo è necessario sapere: chi c’è e che fa. Perché, altrimenti, la generalizzazione sarebbe cercata, o quanto meno non impedita. E chi è causa dei suoi mali, abbia la bontà di piangere se stesso, e non sulle carte dei poveri cronisti.

Pubblicato il 13 giugno 2011 su Catania Politica

10 giugno 2011

PENSIERO LXVIII

Qualche domanda in più non guasta la Verità, ma la presunzione.

Antonio G. Pesce.

La sponda destra di Lombardo

La sponda destra di Lombardo 


di Antonio G. Pesce - Si sapeva che sarebbe durato da Natale a santo Stefano. Questo matrimonio tra Mpa e Pd non doveva neppure esserci. Ha messo in minoranza quelli che erano maggioranza. Ha unito ciò che altri ritenevano troppo distante. Ha tentato, soprattutto, di governare una situazione sociale ed economica disastrosa, e sta finendo con risultati che si vedono stentatamente. Non stupisce che ci siano segnali di retromarcia.
Lombardo sapeva che sarebbe stata, con buona pace di Mogol e Battisti, soltanto ‹‹un’avventura››. Per carità, in politica capita che le cose, nate in un verso, muoiano in un altro. E succede pure che, nelle scelte, ci sia una buona fetta di improvvisazione. Lasciamo ai ‘complottisti’ l’idea (insulsa) che la vita degli uomini e dei popoli sia perfettamente pianificabile. L’imprevisto c’è. La vita è fatta di imprevisti. Ma si sapeva che non poteva durare. Lombardo, esperto, voleva qualcuno che gli reggesse il moccolo, dopo le battaglie intestine alla maggioranza col Pdl. L’ha trovato nel Pd, che non si sa bene che c’abbia guadagnato.
Si sa che non può durare. A settembre, tra referendum interno e discussioni, il Pd cambierà strategia in Sicilia. Anche perché, dopo i ben noti fatti giudiziari che vedono coinvolto il leader dell’Mpa, una ‘grossa coalizione’ con tutta la sinistra è impossibile. Moralisti a Roma, e libertini in Sicilia va bene in periodo di pace. In una battaglia elettorale non sarebbero esclusi colpi. E allora il ‘caso Lombardo’ sarebbe imbarazzante.
Così, Lombardo gioca d’anticipo (la sua arma migliore – onore al merito!). ‹‹Credo che con posizioni come quella di Orlando la gente ci volgerebbe le spalle – scrive il presidente – A ritrovarsi con questa gente, all’interno della causa autonomistica, l’unica che possa servire per governare e tirar fuori dalle secche la nostra terra e i nostri figli, credo possa essere solo una infima minoranza››. Nello stesso giorno, fuochi d’artificio all’interno del partito, con tanto di dichiarazioni da parte di Francesco Musotto e Roberto Di Mauro, beneauguranti a Micciché per lo strappo del suo Fds nel parlamento romano. Tutto questo, mentre a Vittoria gli autonomisti, che presentavano Francesco Aiello, appoggeranno Carmelo Incardona del Pdl, dandogli la possibilità di raggiungere (e superare probabilmente) il sindaco uscente, Giuseppe Nicosia, del Pd.
La ruota, del resto, pare giri a suo favore. Se non arrivano guai (giudiziari) più grossi, Lombardo potrà avere più d’una carta da giocare. Il Pdl in Sicilia deve ancora capire i risvolti della nomina di Angelino Alfano a coordinatore unico del partito nazionale. Fds si scuote e pare non volersi intruppare. Micciché è uno che la guerra al duo Castiglione-Firrarello (non proprio amici del governatore siciliano) l’ha portata fino a Catania in occasione delle scorse elezioni regionali, appoggiando alcuni candidati e andando alla conta. Inoltre, il tempo è quello delle vacche magre, e dopo lo scossone milanese davvero Berlusconi non potrà fare lo schizzinoso e tenere fuori l’Mpa da una possibile coalizione.
Con una dichiarazione sul suo blog (uno dei pochi sempre aggiornati), Lombardo ha fatto fuori il Pd, chiudendo ad ogni possibile intesa con Orlando, e dunque con l’Italia dei Valori. Ora, dopo la deludente prova del Terzo polo, attendiamo lo scaricamento di Casini e Fini. Lombardo il suo pragmatismo lo sa far fruttare…

Pubblicato il 9 giugno 2011 su CataniaPolitica 

8 giugno 2011

Un Consiglio da dimissionare

Un Consiglio da dimissionare
di Antonio G. Pesce – Ci sono mancati i nostri supereroi. I nostri consiglieri comunali, dico. Il preciso Marco Consoli, il ciceroniano Rosario D’Agata, il tecnologico Manlio Messina, l‘irreprensibile Porto, gli opliti Francesco Montemagno e Vincenzo Castelli, , il combattivo Francesco Navarria, l’irruento Salvo Di Salvo, il garibaldino Puccio La Rosa, l’elegante rossazzurro Lanfranco Zappalà, l’avanguardista Manfredi Zammataro. E la pasionaria Valeria Sudano, la guerrigliera Carmenita Santagati, la pacifista Francesca Raciti, la grintosa Gemma Lo Presti …
Dov’è andata a finire la politica catanese? A Ramacca, ché c’erano elezioni. Il Consiglio comunale non è stato convocato per circa un mese e mezzo. C’è stata questa tornata elettorale importantissima, e mentre da Milano e da Napoli si attendeva la spallata contro il governo Berlusconi, da Ramacca i partiti attendevano quella alla giunta Lombardo. E, ringraziando il cielo, non s’è votato a San Cono, a Raddusa, a Santo Stefano di Ganzaria, altrimenti per giorni i partiti politici avrebbero chiuso battenti, e si sarebbero sfidati a colpi di borraccia per un paio di migliaia di voti.
D’accordo: spirito di squadra. Ma perché al rientro nello spogliatoio di piazza Duomo c’erano appena quattro persone, tanto da non far partire neppure la diretta televisiva, e tenere tra le mura ‘silenti’ la vergogna? Che Catania non abbia problemi da discutere? Non è l’Amministrazione comunale quella accusata di essere latitante? Non è forse Stancanelli che si vorrebbe vedere più spesso in Consiglio? E chi consigliere lo è, perché non ci va?
Signori cari, ci dovete delle spiegazioni. Siamo tutti amici e parenti, ma per questo giornale non c’è che Catania, la sua dignità, il suo decoro. Non abbiamo gonne né grembiuli sotto i quali coprirvi – non abbiamo da coprire nessuno. Vogliamo che Catania torni ad essere la città con cui veniva identificata la Sicilia. Detto come va detto: dei derby calcistici ‘eroicamente’ vinti (e di larga misura!) ci importa fino ad un certo punto. E non si tratta neppure di vincere quelli politici, economici o culturali. Vogliamo tornare, come città, a militare nella massima serie, a giocarci anche nel palcoscenico della politica nazionale la nostra partita. Pulvirenti ha dato al Calcio Catania cinque anni di salvezza. La classe politica ci deve un paio di lustri di dignità.
C’è una curva che non dimentica per cosa, alla fine, valga davvero la pena tifare. Dunque, se non volete essere fischiati, alzate il vostro deretano dalla poltrona, e scendete in campo. E cercate di onorare quei colori che dite di amare, quando gratuitamente andate a sedere in tribuna la domenica.

Pubblicato il 7 giugno 2011 su CataniaPolitica

Fermate i centri commerciali

Fermate i centri commerciali 
di Antonio G. Pesce - Ne stanno aprendo un altro. Di centro commerciale. Se non vado errato, siamo quasi a otto (centri commerciali o quasi). Ora, non è difficile fare del bieco moralismo. C’è un noto cantante, che negli anni Sessanta cantava contro il cemento della città. Frattanto ha fatto i soldi, cementato una fetta di campagna, portato in tribunale i contadini che non gli vendevano i loro lotti, e telefonato in diretta nazionale per pontificare contro i mali d’Italia e del mondo intero.
Dunque, bando alle canzonette sanremesi dove si dice che abbatteranno un teatro per farci un discount. Certo, uno guarda via Etnea e via Umberto e vede commercianti che serrano le saracinesche per non riaprirle più. I più attempati ricorderanno via Garibaldi o via Manzoni a metà degli anni ’80. E al limite si può dire che il commercio si è solo spostato. D’accordo, si è solo spostato. Passi. Tanto, ormai ovunque si compra cinese, perché sono proprio le case produttrici a chiudere battenti. Ma non è solo questo il problema. E non è neppure quello dell’origine dei capitali, o della fine che fanno i guadagni.
Il problema è semplice: il commercio fa girare il denaro come il lavoro, e noi abbiamo bisogno di produrre entrambi. Non basta più il giuoco della tre carte. Qui ormai si campa con la pensione dei nonni, sperando che, prima o poi, papà ci arrivi pure, dando un po’ d’aria alle asfittiche tasche familiari. Nessuno che abbia al di sotto dei quarant’anni spera in un lavoro. Si sta tornando a forme patriarcali di famiglia, perché le nuove generazioni possono sostentarsi soltanto di promesse pre-elettorali. Un centro commerciale è come un grosso pacco da scartare sotto l’alberello del politicume: lo apri, e ci trovi trecento, quattrocento voti. Ci trovi il posto per le clientele, che si azzuffano tra loro. Ci trovi la consulenza per Tizio e Caio, che si son fatti un mazzo così alle scorse elezioni e li devi ringraziare. Ci trovi, soprattutto, licenze da firmare, autorizzazioni da concedere, tavoli da imbandire di belle e fruttuose discussioni.
Fumo. Soprattutto tanto fumo e pochissimo arrosto. Ovviamente, il problema non è del centro commerciale. Non è neppure di chi ci lavora (almeno finché se lo tengono). Il problema è di chi non sa creare nient’altro che fumo. E perfino il fumo non basta più per tutti.


Pubblicato il 31 maggio 2011 su CataniaPolitica

1 giugno 2011

Agathae di Modigliani: dubbi, pressioni politiche e giornalisti disattenti

Agathae di Modigliani: dubbi, pressioni politiche e giornalisti disattenti 

di Antonio G. Pesce - In privato come in pubblico, chi ascolta Sandro Barbagallo ne ammira la simpatia e la cordialità. Schiettezza sicula, perché qui – ad Acitrezza per l’esattezza – sono le sue radici. Terra lontana, lasciata quasi un decennio fa per studiare a Siena e poi a Roma.
Nonostante sia ancora giovane, è già l’apprezzato storico dell’arte dell’Osservatore Romano, stimato conferenziere e, come si può vedere da quest’ultima sua fatica, Gli animali nell’arte religiosa. La basilica di San Pietro in Vaticano (LEV, 2011), un archeologo del significato che sa scavare nel segno. Perché di ogni animale raffigurato nella fabbrica di San Pietro, Barbagallo ha saputo ricostruirne la storia ma, soprattutto, ha saputo svelarne il senso profondo. Come del pipistrello che sovrasta l’entrata della sacrestia della Basilica: un’avventura iniziata davanti a questo mistero, e che lo ha portato a scrivere un libro, che si legge ‹‹come se fosse una guida turistica›› – ha giustamente notato Salvatore Russo dell’Accademia delle Belle Arti.

Fa dunque piacere che mons. Leone Calambrogio, direttore del Museo, e Fabio Adernò, canonista nelle vesti di garbato moderatore, abbiano saputo organizzare un’assai partecipata presentazione del libro. Oltre all’intervento di Russo, quello di Gaetano Zito, preside dello Studio Teologico “San Paolo” di Catania, l’introduzione di mons. Giuseppe Malandrino, vescovo emerito di Noto e Acireale, e il saluto dell’ assessore alla Cultura e Grandi Eventi, Marella Ferrera. Che ha dimostrato buon gusto nell’essere presente e nelle belle parole rivolte allo studioso. Chi non ricorda, infatti, che fu proprio Barbagallo ad avanzare dubbi sul pezzo più noto dell’opera di Modigliani esposta a Catania tra dicembre e gennaio scorsi, su quel disegno che avrebbe come soggetto sant’Agata? CataniaPolitica ne diede notizia, mentre calava un silenzio generale, politico ed informativo.
Ora che le acque si son calmate, e che Catania scopre tra i suoi figli un competente senza puzza sotto il naso, abbiamo rivolto a Sandro Barbagallo qualche domanda.
Barbagallo, quali altri risvolti non conosciamo della querelle sull’Agathae di Modigliani?
Direttamente nessuno ha più replicato. Tuttavia, tra il primo articolo e il secondo – quello che concludeva la querelle – ci sono state delle pressioni. Si voleva che io desistessi dallo scrivere ulteriormente sulla questione.
Lei ci invita a nozze. Di che natura?
Di natura diversa. Politica e non solo. Ma a quel punto io ho fatto presente la situazione alla mia redazione, che mi ha sostenuto e incoraggiato. Infatti, ho poi scritto il secondo pezzo.
Questa ‘influenza’ politica arrivava dalla Sicilia? Da Catania forse?
No, assolutamente no. Lo garantisco. Stranamente non avevano nessun collegamento – almeno che io sappia – con Catania.
Secondo Lei, perché si è preso quell’abbaglio? Dolo? Incuria?
Lei vuole sapere i motivi. A me sembrano chiari. Non crede?
La cosa che colpisce è la ‘scoperta continua’ di opere a firma del maestro livornese. Forse ne potremo scoprire delle altre…
Quando è morta Jean Modigliani, figlia del Maestro, era a tutti noto che non possedeva alcuna opera del padre. Subito dopo gli Archivi Modigliani hanno cominciato a tirare fuori decine e decine di disegni. Come si può spiegare ciò? Qual’è la loro provenienza? E poi, con quali fondi – e di chi – sono state acquistate queste opere, dal momento che, da quel che si sa, Jean non morì ricca? Purtroppo riuscire a fare chiarezza su questa storia è cosa alquanto ardua, visto che per qualunque situazione vengono fornite più versioni della storia.
In che senso più versioni?
Le dico una cosa: per il caso della Sant’Agata di Catania i quotidiani e le televisioni locali hanno più volte ripetuto “fugato ogni dubbio”. Come mai nessuno di questi giornalisti si è accorto che dal momento in cui è stato diramato il primo comunicato stampa, all’ultima intervista fatta al curatore, si erano avvicendate circa sette versioni differenti della storia? Distrazione? Incompetenza? Qualcos’altro? Faccia lei…
Forse i giornalisti hanno preso per buono ciò che dicevano gli Archivi Modigliani.
Forse… Ma io le dico che non basta trincerarsi dietro titoli altisonanti. Anzi, proprio perché sono gli Archivi Legali avrebbero dovuto fornire documentazioni certe ed inconfutabili. Diversamente la loro parola è uguale alla mia. Niente più! Invece i giornalisti locali si sono lasciati abbindolare dalla sicumera e da alcuni documenti assolutamente irrisibili.
In che senso?
Si è portata a Catania una dichiarazione della figlia Jean che attestava che quell’opera era del padre. Ma se questo padre è morto quando la figlia era appena nata, quand’è che Jean l’ha visto lavorare? Quand’è che ha potuto far suoi i segreti dell’opera di Modigliani? O le sono state passate nel DNA per diritto ereditario?
Comunque, la sua penna ha graffiato, lasciando anche il segno sulla stampa nazionale.
E non solo. Riportando a galla anche la vicenda del figlio prete di Modigliani, morto nel 2004 – vicenda sulla quale si taceva – è stata solleticata più di qualche curiosità. Ed avendo l’Osservatore Romano diverse edizioni in lingua, la querelle è giunta in Argentina come in Polonia, tanto per fare qualche esempio.
Se si fosse trovato a Catania, avrebbe speso i soldi del biglietto per andare a vedere la mostra?
Vuole che non andassi a vedere di persona ciò di cui avevo scritto?

Pubblicato il 28 maggio 2011 su CataniaPolitica 

Quel campo è un problema

Quel campo è un problema 

di Antonio G. Pesce - In tempi non sospetti, ci permettemmo di dire che Catania è una città difficile. E che, soprattutto, più non la si governa, e meno facile viene farlo. Un problema è come un cancro: nessuno è mai guarito perché non ci ha più pensato. Dunque non stupisce che ieri, nel suo editoriale, G. Grillo abbia messo in rilievo proprio questo: Catania ha bisogno di un sindaco, ha bisogno di un governo, giuste o sbagliate che possano essere le scelte compiute. Perché poi, peggio del cattivo governo, ce n’è solo l’assenza.
Palazzo di Cemento e Palazzo delle Poste erano squarci nel petto di una città, a cui da troppo tempo viene negato il diritto alla dignità. Non si deve essere orgogliosi di Catania soltanto qualche volta l’anno. Soltanto davanti ai saii bianchi. O alle sciarpe rossazzurre (perché questo ci rimane, e soltanto questo). Bisogna andarne sempre fieri. E magari, se oltre a metterci sempre la propria faccia, la politica ci mettesse anche quella delle centinaia di catanesi che, ogni giorno, fanno bene il loro lavoro – al comune, alle poste, all’università come a scuola – sarebbe un gran guadagno per tutti.
Ma la dignità non può valere solo per alcuni. La forza che, se ha ragione, diventa diritto, non può valere soltanto contro alcuni, siano essi gli ultimi della periferia o gli zingari dal vivere non sempre molto urbano. Catania, come l’intera Penisola ormai, conosce forme di prepotenza, sulle quali a volte si sorvola non troppa noncuranza. Non è il caso di far la voce grossa con pesce piccolo, e chinarsi davanti ai desideri di quello grande. Speriamo, dunque, che si tratti dei primi passi, e non degli ultimi, verso il risanamento morale della città.
Un buon governo, però, non cambia la storia del Paese o della città che governa, magari falsificandola. Se ne fa carico, tentando di risolvere i problemi, e non di nasconderli sotto il tappeto. Le rivoluzioni non servono, se non a decapitare alcune forze per sostituirle con altre, magari più tiranniche. Non servono a dare soluzioni, ma impressioni. Ora, il problema che la giunta Stancanelli si trova ad affrontare è quello della dignitosa sistemazione degli ‘ultimi’. Quale che ne sia la razza (ammesso che esistano le razze), la cultura, la storia personale, un ‘ultimo’ è sempre un ultimo, almeno fino a quando non gli si offra una possibilità per risalire la china. Dopodiché, potrà anche essere un fallito, se non l’ha voluta o saputa cogliere.
Il campo rom di Fontanarossa non è una soluzione. Quel campo è un problema. Non solo per l’immagine della città – anche, dato che dai fiordi alla Grecia chi governa mira a dare un po’ di belletto. È un problema innanzi tutto funzionale: lì non funziona. Non ha funzionato neppure la Fiera dei Morti, perché in quei giorni la congestione delle vie d’accesso all’aeroporto ha perfino danneggiato i passeggeri. Non funzionerà neppure il campo rom e per tantissimi motivi. Tra i quali – non nascondiamoci dietro un dito – c’è quello di non aver mai fatto capire a chi vuol condurre uno stile di vita diverso da quello della gran parte della ‘polis’ (comunità), che vi sono regole scritte e regole non scritte che devono essere rispettate comunque. ‘Devono’ – cioè non sono oggetto di trattativa. Devono essere rispettate, se vogliamo che il matrimonio funzioni e non si finisca per essere dei separati in casa.
Agli ultimi deve essere data la possibilità di non restare tali. Ma alla fine, ognuno sceglie la vita che vuole. L’importante è che a pagare il prezzo di quella che, a quel punto, sarebbe una libera scelta, non sia l’altro. In democrazia non ci sono figli minori da accudire perennemente. Anche essi devono crescere. Anche essi devono contribuire al buon funzionamento della casa, facendo sacrifici e assumendosi responsabilità. O, altrimenti, gradiscano di lasciare il tetto sotto cui vivono, e che pare non adatto ad accogliere i loro desideri da sognatori. Il mondo è abbastanza grande per offrire luoghi più graziosi, sotto le cui stelle errare.

Pubblicato il 27 maggio 2011 su CataniaPolitica