"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

1 gennaio 2007

A CARTE SCOPERTE

Eviterò che di questa notte rimanga un ricordo banale. Me lo sono ripromesso, sedendomi allo scrittoio, con ancora in bocca il gusto del Davidoff fumato in una via Etnea affollata di barbari ubriachi e di gente assonnata: smetterò di scrivere, non appena farà capolino tra le tende l’alba che avevo creduto di aspettare.

Questo pezzo è stato riscritto tante volte, quante quelle in cui mi sono alzato per ascoltare una canzone, per bere un sorso d’acqua. Sono felice. Più: sono soddisfatto di me stesso. Coglierò stanotte l’occasione di un momento di sincerità con me stesso davanti ai miei dodici lettori: così timorosi che gli alti, con le loro beffe, ci tolgano le nostre gioie, le nascondiamo subito senza mai viverle. Come i ricchi che, per paura dei ladri, ci si chiudono loro in carcere. E invece è bene sfidare il mondo, come di solito lo si fa con la sfacciataggine e la presunzione patetica dei diciottenni.

Perché ci è data solo una vita, e giocare sempre in difesa, per paura che il destino ti muova scacco è il miglior modo per indicare alla sconfitta la strada che porta direttamente alla nostra esistenza: la morte fiuta l’odore della paura, e ci segue.

Io ce li ho i motivi per cui essere felice – soddisfatto di me. Li ho pensati tutti mentre aspiravo il sigaro e guardavo la stupidita stereotipata barcollare per le strade colme di immondizia e vetri rotti. Massimo era allibito per quello che ci accadeva intorno, e anche dopo il cornetto sotto porta Uzeda non volle smettere di imprecare contro i cafoni sfatti dall’alcol.

Ed io che in silenzio non pensavo più all’anno passato, ma a quanto mi portavo felicemente dietro in quello nuovo.

Il primo pensiero – davvero, credevo che non sarei stato capace di farlo, quando venne consigliato da don Antonio durante l’omelia – è stato di ringraziamento per Dio. Questo vuol dire avere un mondo interiore.

Avere un mondo interiore significa sapere il senso di quanto mi stava gioendo attorno, allo scocco della mezzanotte, mentre versavo nei calici il solito spumante nostrano: papà, mamma, la nonna Conny, Salvo, Agata. Giù in strada a far scoppiare pochi spiccioli per pochi minuti con Santi e Vanessa, già contenti loro di Camus (spero!) e di qualche bijou. Contento io di sentire Vanessa prendersi cura di raccomandare prudenza al fratello: avere un mondo interiore è anche capire quale nuova stagione della tua vita sia entrata – quella di darli gli esempi, sperando di riceverli. Non più essere servito, ma servire. Poi in stanza, a vedere se la piccola Miriam dormisse bene nonostante i botti.

Auguri, Miriolina” – lei con le manine vicino il capo, fuori dalle coperte. I riccioli a coprirle metà del viso rivolto verso la sua destra. E i giocattolini accanto. E il capezzale che le ho comprato alla nascita: “Auguri, Miriolina”, e ho richiuso contento di un solo sguardo.

E poi la poesia di un messaggio. Il saluto a un fratello. Le risa in macchina con Massimo. Quelle con Ale e Paolino. Poi la confusione selvaggia di via Etnea. Il cornetto caldo alla nutella sotto porta Uzeda.

Ed ora, felice di essere qui con i miei pensieri. Con il ragazzi di III C e del primo giorno di tirocinio al Cutelli. Quelli della III G e le loro pacche. La festa di arrivederci in II G. La I G che mi saluta al banchetto del volontariato. L’abbraccio con la professoressa. Le ore passate con i colleghi. Le parole sincere di chi non pensavi ti attendesse, come cireneo, sulla strada del Calvario. Le nuove persone che ho conosciuto. I libri che ho letto. La musica che ho ascoltato. Quella sera di Natale. Proprio quel libro. Io così come sono: contento di essermi scrollato di dosso paure, ipocrisie, delusioni.

Torneranno. Ma per questa notte, signori, io mi voglio giocare la partita a carte scoperte: sono felice, e non ho bevuto, non mi sono bruciato il cervello. Sono felice, e ringrazio Dio. Se ne è capace, la paura mi muova scacco ora: non sarò un re, ma ho schierato le mie truppe davanti ad ogni possibile malinconia.

Non albeggia ancora. Buongiorno.