"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

1 giugno 2011

Quel campo è un problema

Quel campo è un problema 

di Antonio G. Pesce - In tempi non sospetti, ci permettemmo di dire che Catania è una città difficile. E che, soprattutto, più non la si governa, e meno facile viene farlo. Un problema è come un cancro: nessuno è mai guarito perché non ci ha più pensato. Dunque non stupisce che ieri, nel suo editoriale, G. Grillo abbia messo in rilievo proprio questo: Catania ha bisogno di un sindaco, ha bisogno di un governo, giuste o sbagliate che possano essere le scelte compiute. Perché poi, peggio del cattivo governo, ce n’è solo l’assenza.
Palazzo di Cemento e Palazzo delle Poste erano squarci nel petto di una città, a cui da troppo tempo viene negato il diritto alla dignità. Non si deve essere orgogliosi di Catania soltanto qualche volta l’anno. Soltanto davanti ai saii bianchi. O alle sciarpe rossazzurre (perché questo ci rimane, e soltanto questo). Bisogna andarne sempre fieri. E magari, se oltre a metterci sempre la propria faccia, la politica ci mettesse anche quella delle centinaia di catanesi che, ogni giorno, fanno bene il loro lavoro – al comune, alle poste, all’università come a scuola – sarebbe un gran guadagno per tutti.
Ma la dignità non può valere solo per alcuni. La forza che, se ha ragione, diventa diritto, non può valere soltanto contro alcuni, siano essi gli ultimi della periferia o gli zingari dal vivere non sempre molto urbano. Catania, come l’intera Penisola ormai, conosce forme di prepotenza, sulle quali a volte si sorvola non troppa noncuranza. Non è il caso di far la voce grossa con pesce piccolo, e chinarsi davanti ai desideri di quello grande. Speriamo, dunque, che si tratti dei primi passi, e non degli ultimi, verso il risanamento morale della città.
Un buon governo, però, non cambia la storia del Paese o della città che governa, magari falsificandola. Se ne fa carico, tentando di risolvere i problemi, e non di nasconderli sotto il tappeto. Le rivoluzioni non servono, se non a decapitare alcune forze per sostituirle con altre, magari più tiranniche. Non servono a dare soluzioni, ma impressioni. Ora, il problema che la giunta Stancanelli si trova ad affrontare è quello della dignitosa sistemazione degli ‘ultimi’. Quale che ne sia la razza (ammesso che esistano le razze), la cultura, la storia personale, un ‘ultimo’ è sempre un ultimo, almeno fino a quando non gli si offra una possibilità per risalire la china. Dopodiché, potrà anche essere un fallito, se non l’ha voluta o saputa cogliere.
Il campo rom di Fontanarossa non è una soluzione. Quel campo è un problema. Non solo per l’immagine della città – anche, dato che dai fiordi alla Grecia chi governa mira a dare un po’ di belletto. È un problema innanzi tutto funzionale: lì non funziona. Non ha funzionato neppure la Fiera dei Morti, perché in quei giorni la congestione delle vie d’accesso all’aeroporto ha perfino danneggiato i passeggeri. Non funzionerà neppure il campo rom e per tantissimi motivi. Tra i quali – non nascondiamoci dietro un dito – c’è quello di non aver mai fatto capire a chi vuol condurre uno stile di vita diverso da quello della gran parte della ‘polis’ (comunità), che vi sono regole scritte e regole non scritte che devono essere rispettate comunque. ‘Devono’ – cioè non sono oggetto di trattativa. Devono essere rispettate, se vogliamo che il matrimonio funzioni e non si finisca per essere dei separati in casa.
Agli ultimi deve essere data la possibilità di non restare tali. Ma alla fine, ognuno sceglie la vita che vuole. L’importante è che a pagare il prezzo di quella che, a quel punto, sarebbe una libera scelta, non sia l’altro. In democrazia non ci sono figli minori da accudire perennemente. Anche essi devono crescere. Anche essi devono contribuire al buon funzionamento della casa, facendo sacrifici e assumendosi responsabilità. O, altrimenti, gradiscano di lasciare il tetto sotto cui vivono, e che pare non adatto ad accogliere i loro desideri da sognatori. Il mondo è abbastanza grande per offrire luoghi più graziosi, sotto le cui stelle errare.

Pubblicato il 27 maggio 2011 su CataniaPolitica 

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