"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

13 gennaio 2012

Chiesa: tacere? Parlare a ragion veduta

mentre le scrivo, ho la tv accesa qui nel mio studio. Sto seguendo il programma di Myrta Merlino su La7. Alle cose semplici non ho mai creduto: ho dovuto spezzarmi la schiena sulla sedia per capirci qualcosa nell’ambito delle mie ricerche. Quindi, quanti promettono di far capire qualcosa (nella fattispecie, l’economia), con semplicità, solitamente imbastiscono di buoni propositi (sperando nella buona fede) quello che si rivela una visione 'semplicistica', in linea con le lauree facili, i diplomi svenduti, la religione fai­da- te, ecc. Merlino ha già introdotto tre servizi.
Nel primo la storia di due imprenditori sardi, non pagati dalla Pubblica amministrazione per lavori eseguiti, ma in compenso richiamati all’ordine esattoriale da Equitalia. Tema importante. Nel secondo si punta a dipingere l’altra faccia della medaglia: gli evasori e i fannulloni. E la signora presentatrice lascia nel dubbio il telespettatore circa la valenza morale di quel che si racconta. In un caso ha perfettamente ragione: il nullafacente non è tale, ma è un signore che ha vinto regolarmente un concorso pubblico, e che pare subisca mobbing, in un ambiente che era preparato ad accogliere personale 'diverso'. Nell’altro, si tratta di un ristoratore . Merlino si guarda bene dal far notare che, anche al netto dell’enorme prelievo fiscale, quel signore avrebbe potuto comunque guadagnare al mese tanto quanto un onesto operaio. Certo, non si starebbe arricchendo, ma in compenso potrebbe essere ripreso in volto più che di spalle come in questo caso. Comunque, affare complesso.
Lì dove Merlino mostra sicurezza è nella descrizione dei «privilegi della Chiesa» in fatto di Ici. Neppure un dubbio. Tira in ballo perfino l’albergatore di Roma, che subirebbe la concorrenza sleale (che non prenda esempio dal collega ristoratore...). Ma sa chi è stato chiamato, comunque, a commentare per 'parte cattolica'?
Don Gallo, il quale ci tiene a precisare: «Non voglio giudicare». Ma poi si lascia andare a una filippica 'contro'. E la comunità ecclesiale ne esce male.
Ora, caro direttore, mi diventa sempre meno chiara la questione delle responsabilità all’interno della Chiesa. M. è madre di tre figli, e la vedo ogni giorno a Messa. Non può comunicarsi, perché prima di abbracciare la fede ha sposato un uomo separato. Un sacerdote, senza bisogno di sindacati e filippiche, le ha spiegato il grande amore di Dio e della Chiesa per lei. Lei obbedisce, e nel momento della comunione si inginocchia, e piange. Insomma, io mi chiedo: perché, nonostante le tante belle parole sul valore del laicato cattolico, a noi laici si chiede di obbedire (e io dico: giustamente!), mentre ai chierici non si chiede (almeno) di tacere? 
Antonio Giovanni Pesce, Catania
La sua lettera non impone risposta, caro professor Pesce. Ma mi pare opportuno condividere con lei e con gli amici lettori un paio di idee. La prima è che anch’io penso che l’obbedienza possa essere, e spesso in effetti sia, una gran virtù del cristiano e credo che la Chiesa debba motivarla con maestrìa e amministrarla da materna «esperta in umanità» qual è. La seconda è che tacere non è sempre la soluzione più efficace. Può far comodo, a chi tace o a chi ascolta, ma non è detto che serva davvero. Meglio per tutti noi, laici e chierici, credenti e non credenti, esternatori e ascoltatori, parlare e sentir parlare a ragion veduta. Voglio dire: meglio parlare a ragion veduta di qualsiasi argomento, ma soprattutto – da cattolici – quando ci avventuriamo in giudizi sulla nostra comunità ecclesiale e sulle opere che realizza. E a proposito dell’apparizione televisiva di quel sacerdote a cui lei si riferisce, penso che per riuscire nell’onesto e coraggioso esercizio che ho appena descritto – se proprio non intende informarsi personalmente con compiutezza e serenità – gli basterebbe (almeno) ispirarsi alla parola e all’esempio del proprio vescovo.