"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

30 settembre 2011

Il Consiglio comunale di Catania approva il Bilancio

Il Consiglio approva il Bilancio
di Antonio G. Pesce – Alla fine – non era scattata ancora neppure la mezzanotte – il Consiglio comunale ha approvato il Bilancio. Dei 30 presenti (è bene ricordare sempre che gli eletti sono 45, e che si votava il bilancio, mica quisquilie), 22 sono stati i voti favorevoli, 6 contrari e 2 astenuti.
Si sarebbe ancora fatta l’alba, e forse non sarebbe bastato, se non fosse intervenuto l’accordo politico palesatosi in aula. L’amministrazione, per voce dell’assessore competente al ramo, Roberto Bonaccorsi, ha riconosciuto l’importanza degli emendamenti presentati dalle opposizioni, ma anche ammesso che , viste la situazione contabile, non si poteva accogliere tutto.
‹‹È chiaro a tutti – ha esordito Bonaccorsi, in merito alla mancanza di riprese televisive in aula – che la trasmissione televisiva dei lavori ricopre un valore importante, ma la sua mancanza è dovuta all’esaurimento dei fondi previsti. Appunto per questo, non appena approvato il bilancio, prevediamo la possibilità di un ulteriore bando per il completamento dell’anno››.
L’assessore è poi entrato nel merito dei lavori inerenti il bilancio. Qui, la capacità politica di mediazione gli è stata riconosciuta a dal capogruppo Pd Rosario D’Agata e da quello del misto Francesco Montemagno (Api). ‹‹Vorrei chiarire – ha continuato Bonaccorsi – onde evitare equivoci, che il bilancio consta dell’azione della giunta ma anche del Consiglio. La proposta di deliberazione passa, attraverso la giunta, al Consiglio, che è l’organo sovrano per l’approvazione del bilancio. Il consiglio ha la possibilità di integrare con le istanze che arrivano dalla società. A me e al ragioniere è richiesto di dare un parare contabile. Parare che riguarda la disponibilità dei fondi, e non ha carattere politico››.
Un riconoscimento importante del ruolo del Consiglio, che tutti volevano sentire in aula. Ma Bonaccorsi non si è limitato solo a questo. Proseguendo, ha pure elencato quegli emendamenti che, in fase di assestamento, l’amministrazione si impegna a dare seguito. ‹‹È chiaro che all’interno di tutti gli emendamenti ci sono tutte una serie di attività meritevoli – ha affermato Bonaccorsi – che non hanno avuto parare favorevole solo per mancanza di fondo. Mi sembra opportuno prendere impegno per alcune attività proposte. Penso agli emendamenti del Pd inerenti agli asili nido, al contributo alla famiglie indigenti per le spese funerarie, al reperimento di fondi per l’istituzione dell’osservatorio contro le discriminazione, all’avviamento del consigliere aggiunto, al regolamento per i referendum comunali. Ve ne sono altri altrettanto importanti, presentati da La Destra, come quelli inerenti il reperimento di fondi per la campagna di sensibilizzazione per evitare il randagismo, il fondo per l’osservatorio della legalità, per l’emergenza abitativa, per la fondazione del festival belliniano e per la fondazione antiracket e anti usura cardinale Dusmet››.
Bonaccorsi ha anche citato la maggioranza, riconoscendo l’importanza di dare seguito, non appena possibile, alle ‹‹richieste del consigliere Manlio Messina per le comunità sportive giovanili›› o ‹‹a quelle della consigliere Santagati inerenti il tema delle pari opportunità››. E, ancora, il fondo antiracket proposto dal consigliere Giacomo Bellavia (Pdl) e da La Destra.
Insomma, un discorso di ampio respiro che ha fatto tirare un sospiro di sollievo, a chi della contrapposizione forzata degli ultimi giorni non ne poteva più. E infatti, le parole di Rosario D’Agata sono emblematiche del nuovo clima creatosi. ‹‹Credo che le parole dell’assessore Bonaccorsi – ha affermato il capogruppo Pd – siano state quelle che dovevano essere sin dall’inizio. Lo ringraziamo perché da esse si emana un fatto: il Consiglio è l’organo sovrano del bilancio. Io mi permetto, nel prendere atto, con un minimo di fiducia, dei propositi dell’amministrazione, di suggerire a lei e allo staff della ragioniera generale di fare in modo che il bilancio, il prossimo anno, arrivi molto prima di settembre al Consiglio comunale. Anche a costo di fare una manovra da lì a qualche mese››. Infine, D’Agata ha ritirato, come atto distensivo, parecchi emendamenti, che avrebbero costato ore ed ore di discussione, e così hanno fatto tutti i gruppi dell’opposizione.
Manfredi Zammataro, per La Destra, si è detto contento del riconoscimento, da parte dell’amministrazione, dell’azione costruttiva dell’opposizione: ‹‹Meglio tardi che mai. Dalla relazione dell’assessore al bilancio apprendiamo che parte di questa amministrazione ha capito, che le opposizioni sono costruttive e non già distruttive. Queste opposizioni mantengono il numero legale in aula anche in votazioni importanti per la città. Questa sera si è dato un ruolo centrale al Consiglio comunale››.
Non poteva mancare, a questo punto, il riconoscimento da parte della maggioranza di questo patto di non belligeranza. È il capogruppo Mpa, Salvo Di Salvo, ha dare atto alle opposizioni quel che era loro dovuto: ‹‹Penso di poterlo fare a nome degli altri capigruppo di maggioranza, della collega Valeria Sudano e del collega Sebastiano Condorelli. Bisogna riconoscere la grande responsabilità dei colleghi delle opposizioni. Un atto di responsabilità diretto alla città. Perché nonostante gli innumerevoli emendamenti presentati, sicuramente importanti, con senso di responsabilità hanno ritenuto opportuno ritirarli. Lì dove si potrà, la maggioranza voterà gli emendamenti delle opposizioni››.
Poi, è solo un gioco delle parti. Fino alla votazione finale, quando il Consiglio approva un bilancio settembrino assai discusso.




Di seguito l’esito della votazione. Lì dove presenti due esiti, il secondo si riferisce alla seconda chiamata.

Balsamo assente
Barresi sì
Bellavia sì
Bonica sì
Bottino assente
Calanna assente
Castelli assente
Castorina assente
Cimino assente
Condorelli sì
Consoli sì
Corradi assente
Curia assente
D’agata assente – no
Daidone sì
D’avola assente
Di salvo sì
Gelsomino sì
Giuffrida sì
Giiustolisi assente
La Rosa Domenico assente
La Rosa Epifanio assente – no
Li volsi sì
Lo Presti assente – no
Marco sì
Marletta sì
Messina Domenico assente – astenuto
Messina Manlio sì
Mirenda sì
Montemgano assente
Musumeci assente
Navarria assente
Nicotra sì
Parisi sì
Porto sì
Raciti assente no
Santagati sì
Sciuto sì
Sofia assente no
Sudano sì
Trichini assente
Tringale assente – si
Trovato sì
Zammataro assente – no
Zappalà assente

 Pubblicato il 30 settembre 2011 su Catania Politica 

22 settembre 2011

Consiglio, tutti contro il revisore (e il Bilancio troppo tecnico)

Consiglio, tutti contro il revisore (e il Bilancio troppo tecnico) 

di Antonio G. Pesce - La fine arriva per tutto. Perfino per le parole. Così, ieri sera s’è concluso l’acceso dibattito sul bilancio preventivo, che ha visto coinvolto il Consiglio comunale di Catania. Marco Consoli, il presidente, che si è sorbito questa maratona (e che avrà definitiva conclusione solo la prossima settimana, con due sedute dedicate alla votazione), forse sarà andato a casa con lo scranno appiccicato al fondoschiena, avendo seguito ininterrottamente i lavori. Ma non potrà negare che, ieri sera, c’è stato di che essere soddisfatti.
Ottimi interventi: alcuni per la forma, altri per il contenuto. Prende la parola per primo Francesco Montemagno (Misto-Api), in qualità di capogruppo del misto. Ed esordisce con la richiesta di dimissioni del collegio dei revisori, data la discordante visione del bilancio, emersa palesemente a causa di una nota, fatta giungere dal dott. Lo Certo alla stampa, nella quale si esprimeva un parere discordante da quello collegiale. Sarà questo il punto dolente su cui batterà la lingua di ogni capogruppo – chi per avanzare dubbi sulla ‘serenità’ del collegio, e chi per chiedere chiarezza. Montemagno ha poi messo in evidenza i due punti critici del bilancio: i conti delle partecipate e il bottino che si vorrà fare con le multe. Sul primo aspetto, il consigliere non ha negato che i conti possano essere migliori del passato, ma si chiede se vi sia un reale miglioramento gestionale. Sul secondo, invece, crede che si possa racimolare un bel po’, data che la virtù catanese non si esplica alla guida, ma si è chiesto – retoricamente – se il lavoro che andranno a fare i vigili urbani sia ben supportato dalla macchina organizzativa.
Gli ha fatto eco Rosario D’Agata: ‹‹Questa vostra operazione si potrebbe chiamare ‘cosmesi di bilancio’››. E il trucco maggiore, a detta del capogruppo Pd, sta nel far cassa sulle multe: per raggiungere gli obiettivi previsti dall’amministrazione, la verbalizzazione su strada dovrebbe aumentare del 60%. A D’agata, poi, non è andato proprio giù, che si discuta il bilancio di previsione, proprio quando si sarebbe dovuto cominciare a discutere quello consultivo. È Catania – non ha dubbi D’Agata – ad essere in forte ritardo: Milano, Ravenna, Rimini, Palermo, Enna, Ragusa, Trapani, lo hanno fatto prima. Alcuni assai prima.
Su un punto D’Agata si dilunga molto – mai come il compagno di partito Lanfranco Zappalà, che la sera prima aveva tenuto un discorso di due ore e mezzo – e che potrebbe essere foriero di un approfondimento in aula nei prossimi giorni. L’art. 64 del regol. sul decentramento prevede che le municipalità ‘debbono’ essere sentite su alcuni atti amministrativi, tra i quali spicca il bilancio. Ora, sono state sentite le municipalità, o sono state esse a non far pervenire parere?
Arriva Valeria Sudano, capogruppo del Pid. Le donne – si sa – vanno al nocciolo. Dunque, ci sono stati scappellotti, nell’ordine, per il presidente del Consiglio, reo di aver accettato il parere espresso dal revisore Lo Certo – parere nullo, a detta della Sudano, perché già ella si era battuta perché quello dell’intero collegio fosse chiaro: ‹‹Ci sono pareri favorevoli e pareri sfavorevoli. Non esistono pareri sotto condizione››. Poi è arrivato il turno della stessa maggioranza a cui appartiene il Pid. La Sudano ha fatto notare come – ed è vero – ella abbia seguito tutti i lavori, perché ‹‹dall’opposizione sono arrivate anche delle indicazioni degne note, al di là dei toni che a volte sono superflui›› Ma in aula, oltre lei e la Santagati (Pdl), non c’era nessuno ad ascoltare. Infine, ha chiesto – ed ecco il terzo scappellotto – che anche altre direzioni, oltre quella contabile e i vigili urbani, lavorino intensamente. Ad esempio, la direzione all’urbanistica. Catania conta 135 geometri, ci sono sei funzionari, e le pratiche inevase sono 20mila pratiche. Senza voler incitare alla cementificazione, ‹‹ma può essere che il comune di Acicastello ricavi 1milioni e più per le concessioni, e Catania appena 2milioni?››. E i risultati si vedono: sono stati tagliati fondi ai servizi sociali, soprattutto ai ricoveri per minori disagiati.
Sulla stessa linea dei colleghi, il vibrante intervento del capogruppo di La Destra, Nello Musumeci: ‹‹Siete una giunta di tecnici, di burocrati – ha detto con grande effetto – che non capisce che non ci si può limitare a restare fissi al rigore di bilancio, perché amministrare Catania è capirne le ansie, le aspirazioni, i dolori, ecc››. Musumeci ha espresso perplessità sull’operato dei revisori dei conti, sulle entrate che, a dir suo, sono gonfiate, e si è dilungato – a volte con qualche battuta in siciliano che non dispiaceva – sulle strategie ‘vessatorie’ applicate sugli automobilisti – e soprattutto al centro della città, lì dove il flusso è di provenienza della provincia, e non se ne paga i diversi scotti – quello elettorale soprattutto.
Quando i capigruppo della maggioranza prendono la parola, si avvicina la mezzanotte. Il primo è Salvo Di Salvo, dell’Mpa. ‹‹Questa amministrazione ha saputo salvare Catania dal dissesto finanziario. Non c’è dubbio – ammette sinceramente Di Salvo – che questo bilancio ha un approccio prevalentemente tecnico, forse dovuto anche agli scarsi fondi che arrivano dallo Stato centrale››. Ed illustra il vero errore: se si procedesse ad un vero decentramento, prevedendo delle spese congrue per le municipalità, che così potrebbe provvedere ai piccoli servizi del luogo, ne avremmo in risparmio e del benessere del cittadino. Questo il vero vulnus individuato dall’Mpa nel bilancio.
Tuttavia, Di Salvo ha fatto eco agli altri colleghi, e in modo assolutamente esplicito ha chiesto se Lo Certo sia ancora compatibile col collegio: ‹‹Non è ammissibile che su un atto di competenza, il collegio dei revisori dei conti si presenti con due pareri diversi. C’è un solo collegio, e ci deve essere un solo parere. Il dott. Lo Certo può esprimere quello che è il suo pensiero, ma lo faccia all’interno del collegio, magari lasciandone traccia nei verbali. Ma non può in maniera autonoma esprimere un parare totalmente diverso››.
Così pure Sebastiano Condorelli, capogruppo del Pdl. Condorelli non ha mancato di far notare la propria contrarietà all’atto personale di Lo Certo, mentre ha ricordato – e come capogruppo del Pdl non poteva non farlo – che è vero che il bilancio è disastrato a causa delle spese degli anni precedenti, ma è anche vero – cita il Sole24Ore – ‹‹che nel 2003 Catania risultò la città più appaltante d’Italia››. Condorelli ha invitato ad un’unità di intenti, nel rispetto ciascuno della propria funzione, per presentarsi ai cittadini catanesi a tempo debito – nessuno di attenda elezioni prima – con una città che abbia ‹‹un colore e un risveglio››.
L’intervento, però, che non ti aspetti, arriva a notte fonda. È la replica, per l’amministrazione, dell’assessore Roberto Bonaccorsi, fatto oggetto di troppe (quanto ovvie) attenzioni. E sono botte da orbi. Innanzi tutto per Lo Certo, del quale declassa il parere a ‘nota’, non essendo stati rispettati tutti i crismi della legge. Inoltre, entrando nel merito, attacca punto per punto i dubbi espressi dal revisore. Poi – piccola polemica – punzecchia il consigliere pd Lanfranco Zappalà. ‹‹Mi spiace che non si in aula – ha detto Bonaccorsi – io l’altra sera, nonostante abbia egli finito verso le due e mezzo, l’ho seguito››. È una battuta, suffragata – dice l’assessore – anche da prove visive: una foto scattata dal titolare al bilancio, ritrarrebbe Zappalà e D’Agata, gli unici due rimasti (chi l’ha scattata, e il presidente Consoli che gli era alle spalle, ovviamente no). Addirittura, Bonaccorsi cita il filosofo e scienziato francese Blaise Pascal sulla brevità. Zappalà lo aveva criticato per la brevità della realzione. Bonaccorsi replica: ‹‹Pascal scriveva all’amata, scusandosi che la lettera fosse lunga, ma non aveva avuto il tempo di renderla più corta›› (in realtà, caro assessore, Pascal non scriveva all’amata, ma ai poco amati Gesuiti: è la XVII lettera, datata 4 dicembre 1656, delle Lettere Provinciali).
Dopo la polemica filosofico-letteraria – si cita anche Ungaretti – con Zappalà, e un richiamo alla memoria di Manfredi Zammataro (La Destra-As), che aveva definito ‹‹noioso›› il bilancio (‹‹Abbiamo visto a cosa ci hanno portati i bilanci allegri e frizzanti dei decenni scorsi››), Bonaccorsi ha difeso i tempi di redazione del bilancio, facendo notare come gli enti che lo abbiano approvato prima dei tagli statali, hanno dovuto poi correre alle correzioni. Ed ha invitato ad una discussione accademica:‹‹Ho fatto una ricerca sui bilanci comunali degli ultimi 18 anni. Se mi darete l’occasione di potervela illustrare, vedrete come si finanziavano alcune cose negli scorsi anni››.
Noi di Catania Politica rimaniamo a disposizione.

Pubblicato il 22 settembre 2011 su Catania Politica

Fantasia al potere in Consiglio

Fantasia al potere in Consiglio

di Antonio G. Pesce - Caro lettore, ascolta bene. Io la cronaca del Consiglio comunale di ieri sera te la faccio. È mio dovere. Però so che quello che sto per dirti non ti piacerà. In questa Italia in cui ai partiti si sacrificano il futuro dei propri figli, non si può digerire che uno non si metta, col bilancino, a moderare le parole e a contrapporre alla vanagloria di destra la spocchia di sinistra.
Io, ieri sera, non mi sono appassionato al dibattito in aula. Te lo scrivo col cuore. Proprio per nulla. Parlavano i signori consiglieri, questa sera i capigruppo. Però alla fine della fiera ho avuto come l’impressione che, se l’amministrazione non ha le idee chiare, non per questo gli altri comminino nella luce della sapienza. C’è un fatto, caro lettore, che devi tenere in considerazione: è già tanto – è stato un bene? – che Catania non sia un Comune fallito. Di chi sia la colpa non è dato sapere: hai visto qualcuno pagare per quello scempio? Hai sentito qualcuno, che oggi scrive libri ispirati e di alta spiritualità – tal dottor Umberto Scapagnini – dirci come siano davvero andate le cose?
Rimane il fatto che soldi in cassa ce ne sono pochissimi. Che c’è un deficit che va colmato. E che questo dato ha condizionato l’assessore Bonaccorsi nello stendere il bilancio. Forse lo ha fatto male? Forse. Ma ieri sera, di proposte, se ne sono viste poche. Tutti in coro a dire che la politica deve guidare l’economia; tutti a rimproverare un bilancio ‘senza cuore’, che non da spazio alle scelte per limitarsi ai calcoli. Ma tutti dimentichi che siamo, come italiani e come catanesi, ad un passo dal baratro, proprio perché la politica è stata fin troppo fantasiosa. C’è una regola che mio padre ha insegnato a noi figli (tu non lo hai fatto con i tuoi, caro lettore?): non si deve fare il passo più lungo della gamba.
La maggioranza non c’era. Probabilmente deve ingoiare un boccone amaro. Poca possibilità anche per i consiglieri di maggioranza di portare il fantastico al potere. Ci mettono la faccia, come ultimi giapponesi, Carmencita Santagati (Pdl), Valeria Sudano (Pid), e arriva poi Alessandro Porto (Mpa). Opposizioni compatte. In aula a raccontarci tutte gli errori commessi in tre anni da Stancanelli & Sodali. Non c’è voluto molto: chiunque viva a Catania avrebbe potuto farlo. Ma non sempre – a volte sì, bisogna ammetterlo – si è capito il nesso tra la critica e l’oggetto in questione.
Vedremo come si svilupperà la faccenda. Rimane il dubbio che la ‘necessità’ dei conti dia poco spazio a differenziazioni vere e ponderate.


Pubblicato il 21 settembre 2011 su Catania Politica 

Consiglio muto come un pesce

Consiglio muto come un pesce



 di Antonio G. Pesce - Muti come pesci (e non sono miei parenti). Il Consiglio di ieri sera è stata una faccenda sbrigata in una ventina di minuti. Tanto celere che il presidente, Marco Consoli, ha chiuso la seduta con un sorriso tra l’imbarazzato e il deluso.
Potevano parlare e illustrare le loro contrarietà o i motivi di un voto favorevole. E invece, i consiglieri hanno taciuto, rimandando a questa sera la loro arringa finale. Forse.
Hanno parlato solo i presidenti di commissione. Per la nona, Vincenzo Castelli (Udc), e per la prima Francesca Giuffrida (Api). Entrambe le commissioni avevano ricevuto l’atto deliberativo – che non è cosa da poco: si tratta del bilancio preventivo – perché ritenute competenti a trattare l’argomento. Come ha spiegato Marco Consoli, dopo l’intervento in aula del presidente della decima commissione, Antonio Bonica (Mpa), che lamentava la mancanza d’invio dell’atto, è ormai prassi consolidata sveltire il dibattito, evitando di coinvolgere quegli organi che non hanno deleghe attinenti alla materia trattata.
Da registrare soltanto un lungo intervento di Letterio Daidone (Pdl), presidente dell’ottava C.C.P. sui ‘Servizi demografici Decentramento amministrativo Solidarietà sociale’, sugli aspetti sociali del Bilancio in approvazione. Un discorso in cui è sono state messe in rilievo due cose: la situazione drammatica in cui versa l’Italia intera, figurarsi Catania; e le pur limitate risorse economiche del Comune, da gestire come farebbe ‘un buon padre di famiglia’, ed evitando di aggravare, con spese fuori bilancio, la già precaria situazione attuale.

Pubblicato il 20 settembre 2011 su Catania Politica

Sì al Piano triennale dei Lavori Pubblici

Sì al Piano triennale 
di Antonio G. Pesce – Siamo ormai ai botti finali della stagione. I 25 consiglieri presenti – su 45 eletti – ieri sera al Consiglio, hanno prima ascoltato il Piano Triennale dei Lavori Pubblici, illustrato in aula dall’assessore Sebastiano Arcidiacono, e poi la relazione introduttiva al Bilancio di previsione dalla bocca dell’assessore Roberto Bonaccorsi.
Alla fine con 21 voti favorevoli e 2 contrari il Senato cittadino ha approvato il piano triennale delle opere pubbliche con annesso elenco annuale. Alla proposta originaria della Direzione Lavori Pubblici sono stati apportati diversi emendamenti, con l’inserimento di altre opere pubbliche nel piano attingendo a fonti di finanziamento diverse da quella comunale.
‹‹Non è un libro dei sogni, ma dei bisogni›› ha detto Arcidiacono del Piano Triennale, il quale ‹‹disegna la città che vorrei›› Diviso in due parti, quella annuale impatta col bilancio, ed ecco perché va approvata prima. 15 milioni di euro, dunque, da mettere in gara subito, e più di 400 in tre anni, e se si contano anche quelli che verranno stanziati dai privati – si pensi ai parcheggi -, si capisce perché Arcidiacono pensi ad una Catania più prospera e bella. E soprattutto sicura, perché la parte ‹‹caratterizzante›› di questo piano è proprio l’attenzione per la ‹‹sicurezza e manutenzione di scuole, strade, edifici e residenze comunali e impianti sportivi››.
Il piano annuale prevede per le scuole uno stanziamento di 4,9 milioni di euro, 1,670 per gli impianti sportivi, e quasi 8 milioni per le strade. Nel piano triennale, invece, sono previsti 1 milione di euro per tre anni alla manutenzione degli edifici comun; 3,6 per le scuole il primo anno e 1,2 per i restanti due. A questi si sommano altri 3,6 milioni per tre anni per mettere gli edifici a norma. Agli impianti sportivi vanno 800 mila euro, e 1,7 milioni alla Multiservizi per ogni anno, oltre allo stanziamento di 1,2 milioni di euro annui stanziati per le strade.
Molta carne sul braciere, dunque, sul quale non hanno mancato di metterne altra i consiglieri. Sono stati approvati, infatti, diversi emendamenti, tra i quali tre a firma di Porto, Sudano e Condorelli per la manutenzione dell’area sita in via Marino, nel quartiere di Monte Po; la sistemazione di Largo Trentatré tra la via Raccuglia e il Comune di Mistrerbianco; il completamento fognario di San Giorgio Alto; la costruzione di un canile sanitario, proposto da Carmencita Santagati ed altri.
A seguire, la relazione di Bonaccorsi, il quale ha ricordato che i tempi previsti per l’approvazione del bilancio si sono giustamente dilatati, e altrettanto giustamente sono stati prorogati dal legislatore. Perché – supponiamo poco giustamente per Bonaccorsi – dal maggio del 2010 gli enti locali sono fatti oggetto di tagli di trasferimenti, che hanno non poco messo a soqquadro i bilanci comunali. E quello catanese – è risaputo – non è dei migliori. Ed è infatti a questo che Bonaccorsi si riferiva, quando diceva che il Bilancio ha dei vincoli nella storia pregressa, e che riequilibrarlo è stato il obiettivo primario dell’amministrazione.
Bonaccorsi ha poi declamato gli intenti antievasione dell’amministrazione, già messi in pratica l’anno scorso con ottimi risultati. Tra l’altro, una parte del bilancio prevede, un po’ sulla scorta della manovra finanziaria nazionale, di poter far cassa proprio stringendo su multe non pagate e tasse evase. Cosa sulla quale i revisori hanno mostrato qualche rilievo.
Ma ci sono anche degli indubbi risultati, afferma l’assessore al bilancio. Innanzi tutto la riduzione dell’indebitamento di un buon 25% dal 2008, e una tendenza alla decrescita delle spese per il personale e della spesa corrente. Ed è per questo che ha chiesto il più largo consenso. Se lo avrà, sarà dopo la prossima settimana, una maratona non stop di parole e discussioni, che ci si augura sia seguita da più cittadini. Soprattutto da quelli che hanno ricevuto l’incarico a farlo.
Pubblicato il 16 settembre 2011 su Catania Politica

Consiglio (al solito) senza numero legale

Consiglio (al solito) senza numero legale 
di Antonio G. Pesce - Stancanelli dorma tranquillo: il piano viario sta funzionando. Qualche piccolo difetto non rende una donna meno bella, ma soltanto più affascinante. Ecco: il piano viario ha lo strabismo. Di Venere però.
Per Il Pd, nella consueta fase delle comunicazioni, ha preso la parola il capogruppo, Rosario D’Agata, il quale ha richiesto l’attenzione della giunta sul quartiere di Santa Maria Goretti. Tutti sanno i disagi – e a pochi metri dall’aeroporto di Fontanarossa – del luogo durante le piogge invernali. D’Agata ha chiesto un pronto intervento dell’amministrazione, per evitare che si ripetano le scene apocalittiche degli scorsi anni. D’Agata ha, inoltre, dato atto, ‘costruttivamente’, all’assessore Torrisi di aver affrontato, per quanto di propria competenza, i problemi di via delle Robinie.
È stata la collega e compagna di partito, Francesca Raciti, ad affrontare la questione del piano viario. E ‘costruttivamente’ ha riconosciuto meriti all’assessore Massimo Pesce per ‹‹il lavoro che sta facendo››. Supponiamo per la direzione dell’operato dei vigili urbani. Tuttavia, la Raciti ha fatto notare come i continui cambiamenti – chiamiamoli ritocchi – comportino disorientamento per i cittadini e uno spreco delle risorse comunale.
Anche Francesco Montemagno (Misto-Api) è stato ‘costruttivo’. Ricordando come in passato non sia stato tenero con la giunta Stancanelli (confermiamo, e aggiungiamo: per nulla), Montemagno ha aggiunto che sì, forse è mancata qualcosa nella discussione preliminare con i commercianti, ma ogni piano ha bisogno di un rodaggio. Ed è parso fiducioso per il futuro.
Insomma, pare che questa volta la giunta Stancanelli abbia azzeccato la mossa, spiazzando tutti e limitando le critiche a dei borbottamenti di rito. Buon pro per la città di Catania, che aveva bisogno di nuovi spazi per i pedoni e di una viabilità più fluida.
‘Costruttiva’ anche Gemma Lo Presti (La Destra) che, in merito ai campionati mondiali di scherma, ha proposto, intanto, di far diventare questo evento, che si svolgerà a Catania tra l’8 e il 16 ottobre, un momento di ‘promozione’ della città. E ha presentato un odg ad hoc, per impegnare la giunta con alcuni ‘consigli’, tra i quali spiccano la pianificazione di luoghi, raggiungibili con mezzi Amt gratuitamente usufruibili, da adibire alla mostra di prodotti e manufatti tipici; e la predisposizione di un numero congruo di biglietti gratuiti per scolaresche e persone diversamente abili.
Diverso il clima, però, quando si è passati alla discussione del piano triennale dei lavori pubblici. Due le pregiudiziali lungamente discusse. La prima, presentata da Rosario D’Agata (Pd), chiedeva di rimandare la discussione ad oggi. Per due motivi. Il primo: non si conosce il parare delle uniche due municipalità che hanno inviato il parare sull’atto.

Ma per questo c’è una spiegazione: sono arrivati dopo i 15gg previsti dal regolamento. Il secondo motivo, invece, verteva sull’opportunità di esprimersi prima della seduta della commissione bilancio, prevista per oggi alle 11.45, durante la quale i revisori dei conti dovrebbero illustrare le motivazioni del loro monito, a che l’amministrazione non accenda i mutui previsti per la somma di 32 milioni di euro. Si tratta di un parere non vincolante, ma che – a detta di D’Agata – sarebbe stato giusto ascoltare.
La pregiudiziale non passa, mentre manca in aula il numero legale, quando c’è da esprimersi su quella presentata da Manfredi Zammataro (LaDestra-AS), secondo cui è illegittimo che alla IX c.c.p. non sia giunta copia dell’atto deliberativo, perché venisse esaminato. Si ritorna in aula oggi.

Pubblicato il 15 settembre 2011 su Catania Politica 

11 settembre 2011

Connivenza col nemico, ovvero un paio di cose spiegate al Pd

Connivenza col nemico, ovvero un paio di cose spiegate al Pd 

di Antonio G. Pesce - Una sera del gennaio scorso fu deciso che sarei stato io, dall’indomani in poi, ad occuparmi della cronaca del Consiglio comunale. Secondo il direttore, quella poteva essere un valore aggiunto alle nostre pagine. Come tutti coloro che tengono la boria per la penna della propria vanità, ne fui un po’ risentito: volevo ancora salvare il mondo dal male.
Col tempo si impara a fare tutto. Ovviamente, si può non diventare dei maestri, e il più delle volte si sbaglia spesso, ma alla fine, con un po’ di volontà, si conosce meglio il proprio lavoro, e si finisce con l’amarlo. Dunque, si può comprendere che dispiaccia il piccato risentimento del Pd consiliare per un mio pezzo, nel quale gli rimproveravo – tra i tanti meriti da sempre riconosciutigli, e perfino nell’articolo in questione – la fiacchezza opposta al nuovo piano viario. Non me la prendo affatto, però. C’è sempre qualcuno più buono, tollerante, democratico e soprattutto integerrimo di altri. Oggi tocca a noi la ramanzina. Domani qualcuno potrebbe farla ai nuovi evangelizzatori.
Non potevo scrivere altrimenti però, e chiunque abbia assisto a quella seduta me ne potrà dare atto. Soprattutto, è mancata una linea netta. Passi che le critiche del Pdl siano lievi, perfino velate. È maggioranza, anche se a volte se lo dimentica. Ma l’opposizione, e soprattutto quell’opposizione che si candiderà a governare per ‘illuminare Catania’, che ne pensa del piano viario? Come avrebbe fatto le cose, se fosse stata maggioranza?
Domande ovvie, ma l’accusa è arrivata puntuale. È ormai una moda – come lo spritz, e prima ancora come l’happy hour (e infatti hanno la stessa durata) – quella di accusare di connivenza col nemico chi non dice quello che si vorrebbe sentire. Prima di D’Agata e compagni, si sono esibiti in diretta nazionale tutti i grandi interpreti della politica italiana: dai ‘tribunali stalinisti’ che turbavano le notti (allora pare le trascorresse dormendo) del Cavaliere, alla ‘macchina del fango’ del centrosinistra attuale.
Siamo del Pdl? Strano modo di esserlo: la stampa locale non si sta spendendo più di tanto nel raccontare i disagi derivanti dall’invenzione stancanelliana, e proprio noi, che siamo ‘collaborazionisti’, stiamo rompendo le scatole. E poi, come mai lo siamo diventati ora, che muoviamo qualche piccola critica, e non ieri, quando ammiravamo la strategia ‘piddina’ e l’opposizione coerente? Infine, bisogna davvero essere iscritti ad un partito, per assumere una posizione scontata come questa – tanto scontata che me ne vergogno un poco – e raccontare i disagi e ammiccare alle proteste contro un traffico ormai impazzito come la maionese? Bisogna davvero essere al soldo di qualcuno, per capire da che parte stare in questo caso?
Continuo a ritenere D’Agata una mente pensante, e che il Pd locale gli debba molto. Questa vicenda è solo una caduta di stile e nient’altro. Ma che dimostra chiaramente, se guardata in profondità, che dentro ciascuno di noi – perfino di me che l’addito allo sguardo del lettore – si nasconde la tendenza ad azzerare qualsiasi altra comparsa, che non sia la propria, sul palcoscenico pubblico.
Perché ciascuno di noi ha la propria parte da recitare. Me lo insegnò nel 1998 – un momento particolare per la mia crescita morale, politica e religiosa – Benedetto Croce, e ancora oggi io stesso non so essere all’altezza di quella pagina. Ciascuno di noi può recitare tutte le parti che vuole, ma soltanto una alla volta. Sempre lo stesso uomo, che deve però lasciare spazio anche ad altri.
Come essere umano, niente di umano mi reputo estraneo. Siamo tutti impastati col fango; siamo carne ed ossa. Chi non ha una certa debolezza, ne potrebbe avere benissimo un’altra. Non è additando al pubblico ludibrio le mancanze (vere o che tali mi appaiono) del Pd, che spero di salvarmi l’anima, bensì recitando il ‘mea culpa’ per quelle che mi appartengono. La verità è che dell’opposizione fatta in aula da D’Agata e compagni ne abbiamo avuta un’impressione, la quale, a sua volta, ci è sembrata una notizia. E se non lo fosse stata, non saremmo ancora qui a parlarne.
Questa la mia parte, quella del direttore, della redazione e di tutto il giornale. Quale quella dei membri del Pd lo sappiamo. Ma quale avrebbe dovuto essere, invece? Semplice: sapere che chi scrive ha un ruolo, e quella del politico è di controbattere, anche energicamente. Ma evitando quei luoghi comuni che confermano, più che smentire, talune supposizioni.

Pubblicato il 9 settembre 2011 su Catania Politica

8 settembre 2011

Consiglio: silenzi strani e fughe

Consiglio:  silenzi strani e fughe 
di Antonio G. Pesce - Eravamo sicuri che ci sarebbe stata battaglia. Ci siamo parati lì, davanti al Palazzo degli Elefanti, perché certi di sentire il ruggito dei leoni, e di quella (presunta) città che sta andando in panne a causa del vigile (meno) urbano più famoso di Catania. Pensavamo che la civiltà, insozzata da questo Unno, che dove passa lui (e i suoi piani viari), crescono a dismisura ingorghi e code, pensavamo sarebbe stata difesa dal Senato, in perfetta sintonia con quel che direbbe (a questo punto il condizionale è d’obbligo) il popolo catanese. Credevamo che il ‘ciceroniano’ Saro D’Agata, capogruppo Pd, questa volta sì avrebbe sbottato: “Quo usque tandem abutere, Stancanelli, patientia nostra?” – che tradotto in catanese significa press’ a poco: “Fino a quando continuerai a romperci le sacchette?”. E invece? E invece sembrava che in aula ci fosse la signora contessa con un leggero languorino, e Ambrogio che le faceva spuntare mezzo chilo di dolciumi sotto il naso.
In mattinata c’era stata la riunione tra commercianti e amministrazione, con i primi a non capire che, finché guarderanno al loro particolare interesse di bottega, senza guardare al quadro generale, saranno sempre contrattualmente deboli davanti alla seconda. Ci si aspettava, dunque, che una mano, un coordinamento delle critiche venisse dall’opposizione. E passi che i toni troppo pacati vengano dalla Destra di Zammataro, Musumeci e Lo Presti: lo hanno sempre detto di voler essere costruttivi, e hanno saputo anche dialogare con la maggioranza, quando le circostanze l’hanno richiesto. Anche se questa volta da dialogare proprio non capiamo cosa abbiano.
Ma il Pd? Dov’era, ieri sera, il Pd? Non che siano mancati gli interventi, e anzi quello di Francesca Raciti è stato il più azzeccato: “Che fine faranno gli abbonamenti già stipulati con la Sostare, nei casi in cui gli stalli sono stati rimossi a causa del nuovo piano viario del centro?”. Osservazione acutissima – brava. Ma non è il gruppo che, sulla tassa di soggiorno, ha saputo mobilitare perfino l’opinione pubblica. No, quello di ieri sera è un Pd spento, a cui calava la palpebra (sarà l’umido di questi giorni). Un Pd che non graffia, che non propone, che non salta sugli scanni e non si sporca le mani. Un Pd che si presenta in guanti bianchi, alta uniforme, fa la propria comparsa, e poi si risiede in silenzio. Uno ad uno.
Eppure sono consiglieri che, quando hanno voluto (o creduto), hanno saputo dar filo da torcere alla maggioranza. D’accordo: non c’erano pregiudiziali da presentare, perché non c’erano delibere da approvare, e dunque mancava l’occasione per far sudare la giunta. Però rimane il fatto che, da quando facciamo la cronaca del massimo consesso cittadino, noi un Saro D’Agata che si siede mogio mogio, mentre fuori impazza il clacson del caos e della rabbia cittadino, non lo avevamo mai visto.
E allora delle due l’una: o il Pd, in fondo, non reputa malaccio il piano viario approntato dalla premiata ditta Stancanelli&Co – e allora che lo si dica. O ci si sta preparando alla grande battaglia sulla Nuova Dogana, e allora, forse, era meglio dare agli impazienti catanesi un saggio di opposizione dura e pura. Il momento era quello giusto.
Ai guanti bianchi del Pd si sono accodate anche tutte le altre opposizioni, lamenti da La Rosa (Fli) e Navarria (Sg), ma ci hanno abituati a ben altro sacro fuoco (e fiamme). Lasciando tranquilla una maggioranza imbarazzata che proprio non può, pena il linciaggio elettorale, difendere questo guaio chiamato nuovo piano viario. L’uniche voci quelle di Messina (Pdl) e Sudano (Pid) che ci fanno capire come il gioco delle macchinine di Stancanelli non garbi manco a loro. Ma più di tanto non possono, preferendo sfogarsi contro il solito Cannizzo martire (e assente come tutti gli altri assessori). D’altronde a difendere la linea del Piave del nuovo piano viario manco gli assessori ci riescono, preferendo un’ ignominiosa fuga dai banchi del governo, stile Caporetto, al dare risposte al Consiglio comunale (e ai cittadini). O tempora o mores.
Ps: la seduta d’Aula di ieri sera avrebbe dovuto avere inizio alle 19 ma, come potete constatare dalle foto allegate all’articolo, a quell’ora non vi era quasi nessun Consigliere presente. Forse anche loro sono rimasti imbottigliati nel traffico causato dal nuovo piano viario…

Pubblicato il 7 settembre 2011 su Catania Politica 

Scuola, si riparte (con il caro libri)

Scuola, si riparte (con il caro libri) 

di Antonio G. Pesce – Si riparte. La fine dell’estate non pare ancora vera, dal momento che le temperature, da noi, sfiorano i 35 gradi. Però è così. Lo senti dall’aria che si respira: afosa sì, ma di quell’afa che parla di scioperi, contestazioni, caro libri.
Quest’anno i catanesi avranno un problema in più – la viabilità, ma di questo è bene parlare a suo tempo. Intanto, forse premerà loro sapere che, secondo stime Codacons, quest’anno si spenderà l’8% in più per libri e corredo scolastico. Tuttavia, i rimedi sono tanti, e Catania li offre. Per il corredo (quaderni, penne, zaini, ecc) non c’è molto da dire: facendosi un giro per i negozietti, o andando alla ‘Fiera’, si trovano anche a basso prezzo. Certo, bisogna vedere che cerchi: se tuo figlio non riesce ad andare a scuola senza lo zainetto firmato, la colpa non è di chi te lo vende per 50/60 euro, ma tua che non lo mandi a zappare. Il consiglio è sempre lo stesso: comprare a poco a poco. Non tutto serve subito, e prima che si consumi un quaderno per materia, ci vorranno almeno due mesi (e con i tempi che corrono anche più).
Per fronteggiare il caro libri la città è attrezzata. Catania è disseminata di luoghi per la vendita dell’usato, e si va dalla libreria che arrotonda il magro incasso durante l’anno, alle associazioni politiche e volontaristiche che si offrono di fare da tramite tra venditore ed acquirente. Rimane ancora un sogno un’organizzazione capillare dentro gli stessi istituti, con il corpo docente e quello studentesco a darsi una mano per avere libri subito e a poco prezzo.
Tuttavia, il corpo docente non brilla certo per iniziative di lotta. Divenuto un mestiere come tutti gli altri, il professore sale in cattedra a pontificare, e di tanto in tanto anche per qualche bella interpretazione teatrale nelle piazze delle città. Un consiglio: evitate quest’anno quei ridicoli scioperi che intasano le vie e non servono a nulla. Le armi le avete: evitate di farvi le gite con i vostri ragazzi e bloccate gli scrutini. Perché se il ministro ha una responsabilità oggettiva per aver reso le vostre aule dei carri da buoni, stracarichi di ‘materiale umano’ chiuso in quelle che erano cellette per monaci, voi ne avete uno morale nel non aver fatto nulla per impedirlo. E nell’aver lasciato soli i vostri colleghi precari ad occupare i provveditorati. Da Ragusa a Palermo, chi ormai non ha più nulla da perdere, perché ha perso, con i tagli, anche l’unica fonte di sostentamento, si sta togliendo, asserragliato come in un bunker, anche l’ultima fetta di pane. Qualcuno rischia la vita a causa dello sciopero della fame. Di certo tutti hanno perso la dignità, anche quelli che, durante l’anno, pontificheranno sul valore della democrazia, della libertà, della lotta contro la mafia, e bla bla bla.
Un’ultima parola per i giovani studenti. Soprattutto se siciliani. Tengano presente che di pagnotte non ce ne sono più, e dunque non potrà procurargliela il genitore portaborse del politicante di turno. Saranno costretti a emigrare – e questo è un fatto. Quello che non è deciso – ovviamente – è il loro destino, lì dove andranno. E lasciando i patri lidi – cioè l’Italia intera, mica solo la Sicilia; perché ‘dall’Alpe a la Sicilia ovunque è Legnano’ – capacità, serietà e volontà sono l’unica chiave per una vita dignitosa. E la scuola, volente o no, riesce ancora ad essere l’ultima ‘palestra’ rimasta.

Pubblicato il 6 settembre 2011 su Catania Politica

Volata finale in Consiglio comunale

Volata finale in Consiglio comunale 

Antonio G. Pesce - Settembre di fuoco in Consiglio comunale. Si marcerà a fila compatte per arrivare, a fine mese, all’approvazione del bilancio. Si comincia, per intanto, con domani, martedì 6 settembre. Alle ore 19 Marco Consoli dovrebbe aprire i lavori dell’assise per discutere della concessione dell’impianto sportivo “Palestra Atletica Pesante”, e per la modifica delle convenzioni per il servizio pubblico di accoglienza, mantenimento, tutela educazione ed istruzione dei minori indigenti.
Sarà solo l’inizio di un lungo percorso. La sessione del bilancio prenderà l’avvio il 14, quando si comincerà a discutere del piano triennale delle opere pubbliche. Il 15 sarà in aula l’amministrazione per illustrare il bilancio di previsione. Il 19 e il 20 sarà la volta dei presidenti delle commissioni consiliari permanenti e dei consiglieri (e qui c’è da aspettarsi che si faccia notte – il povero cronista di CataniaPolitica gradirebbe vedere i propri lettori con i termos di caffè sotto Palazzo degli Elefanti!). Il giorno successivo si concluderà il dibattito, quando avranno preso parola i capigruppo e avrà replicato l’amministrazione. IL 27 e il 28 – se Sant’Agata ce la manda buona – sarà il momento della votazione.

Pubblicato il 5 settembre 2011 su Catania Politica

L’angoscia. Ovvero la pessima idea di chiudere così il centro storico

L’angoscia. Ovvero la pessima idea di chiudere così il centro storico 
di Antonio G. Pesce - Siamo tutti d’accordo che è meglio fare l’amore e non la guerra? Bene, allora siamo anche d’accordo che la piazza principale di una città dovrebbe servire solo al passeggio, e che la nostra piazza Duomo dovrebbe essere chiusa interamente al traffico, per far sì che cittadini e turisti possano passare tranquillamente dalla piazza a via Etnea senza rischiare il collo nel traffico catanese.
Certo, interdire un luogo alla circolazione automobilistica non vuol dire, ipso facto, renderlo più affascinante o più vivibile, però può sempre rappresentare un buon inizio. Tuttavia, la proposta della giunta comunale di chiudere al traffico una parte consistente di via Vittorio Emanuele – divieto già di fatto esistente per i mezzi di trasporto pubblico a causa del cedimento, avvenuto otto mesi fa, di una parte del sottosuolo – sta suscitando aspre polemiche. Che, prima di essere commentate, meritano di essere accompagnate ai ricordi. Ricordi di parecchie stagioni fa, quando erano in restauro sia piazza Duomo che l’adiacente piazza dell’Università. I più giovani non hanno sperimentato cosa volesse dire perdersi nei gorghi che allora si formarono, quando la solita fiumana dell’ora di punta circumnavigava la fabbrica di Palazzo degli Elefanti.
Non sono, dunque, mere polemiche: è l’esperienza che tuona, riportando alla mente l’angoscia che si provava ad attraversare la città.
Ma poi – chiediamoci: davvero le cose le si deve fare così? Stancanelli, dopo molte pressioni, ha deciso di consultare i commercianti della zona. E non si vede il perché, dal momento che traffico e commercio vengono abbinati solo a Catania – altrove è l’esatto opposto: la gente va in centro a fare compere, non già a perderci le coronarie. Però non ha sentito l’esigenza di ponderare meglio l’attuabilità immediata del piano. Insomma, hai una maggioranza che ha dovuto ingoiare il rospo della tassa di soggiorno, firmandoti un assegno in bianco, senza sapere come verranno spesi gli introiti relativi, e tu, per tutta risposta, che fai? la rimetti in imbarazzo con una pur condivisibile idea, ma da attuare prima che il P(iano) U(rbano) del T(traffico) sia pronto. E senza dare altra alternativa.
Davvero non c’è altra soluzione, che far entrare il serpentone fin dentro il budello della città, sperando che non si incagli? E ancora: siamo sicuri che il provvedimento ‘chiuda’ piazza Duomo? Non ci si potrebbe limitare a rendere anche visivamente ‘concluso’ lo spazio della piazza, magari con fioriere di buon gusto (e, se non fossimo nell’Italia del fu Michelangelo, oggi in mano a un manipolo di pazzi sperimentatori del cattivo gusto, verrebbe da confidare anche in una soluzione architettonica), lasciando che il traffico scorra normalmente a fianco?
Sono solo ipotesi. Sicuramente il sindaco le avrà vagliate attentamente, e i tecnici minuziosamente analizzate. Resta il fatto che, a volte, bisogna prima imbracciare un fucile per difendere la donna con cui si vorrebbe, poi, fare l’amore. Tutti vorremmo la pace, ma è importante calcolare anche a che prezzo. E, solitamente, i prezzi scadenti sono della roba che non dura molto.

Pubblicato il 2 settembre 2011 su Catania Politica

La maggioranza batte un colpo

La maggioranza batte un colpo 
di Antonio G. Pesce - Tassa di soggiorno approvata. Dimostrazione che, quando la maggioranza vuol fare la maggioranza (e non la vacanziera o, peggio, l’assenteista di Palazzo degli Elefanti), riesce ad imporsi in aula, e a spalleggiare una giunta un po’ pasticciona, con la Cinquegrana, assessore spaesato al Turismo, accompagnata in aula dal direttore generale del suo assessorato.
Però si è dovuto combattere casa per casa – diremmo con lo stile da cronisti di guerra. Ognuno ha il proprio ruolo, e l’opposizione ha tenuto la posizione, trincerandosi finalmente dietro ben più plausibili argomenti tecnico-legali, che non quelli da talk-show già messi in campo per commuovere il cuore di una città, che soffre ben altra miseria di quella che chiede per contributo a chi viene a visitarla.
‹‹Dici donna e pensi danno›› si sarà detto Stancanelli, seguendo da casa il quarto d’ora iniziale, durante il quale una Gemma Lo Presti (LaDestra-As) in assetto di guerra non si è tirata indietro. E in effetti, il problema sollevato non era di poco conto: mentre il decreto governativo lega la tassa al bilancio di previsione, facendola diventare operativa dal primo gennaio dell’anno seguente l’approvazione, la giunta aveva pensato, invece, al primo agosto come inizio dell’operatività. Non c’è contrasto? A supporto arriva Rosario D’Agata, capogruppo Pd: in questo caso, il regolamento sarebbe perfino retroattivo.
A questo punto, interviene a modificare il testo, con un emendamento tecnico, il dott. Belfiore, direttore dell’assessorato competente. Tuttavia, mentre sulla retroattività si può intervenire (la delibera era stata preparata per essere approvata a luglio), davvero si può procedere all’approvazione, o non si dovrebbe, piuttosto, ritirate l’atto deliberativo per maggiori approfondimenti legali, come richiede espressamente la Lo Presti con una formale pregiudiziale? Il Consiglio viene sospeso per un abbondante quarto d’ora per dare tempo ai tecnici di studiare con attenzione la relativa giurisprudenza.
Il rientro, però, è amaro per l’opposizione. La giunta è pasticciona, ma pare che abbia le spalle ben coperte dalla solita selva di leggi e leggine in cui prospera (?) la povera patria italiana. Insomma, a prima vista c’è un contrasto, se non fosse che lo stesso legislatore è tornato più volte sulla materia. La Lo Presti, però, non ritira la pregiudiziale, ma la modifica in parte: si ritiri l’atto per meglio approfondirlo. Che è come chiedere al lupo affamato di non sbranare l’indifeso agnello solo per carità cristiana. Figurarsi. La pregiudiziale non passa. Ma passano a raffica gli emendamenti e i sub emendamenti proposti della maggioranza.
Tra quelli che saltano, però, spicca quello proposto dalla VII Commissione comunale al Turismo, con il quale si voleva ancorare il gettito d’entrata a precisi obiettivi, tra i quali: linee speciali di trasporto per turisti in direzione di aeroporto, Plaia, Scogliera; informazione, cartellonistica, strumenti informativi. Il parere contabile, però, era negativo, giacché per i tecnici comunali non erano chiari i costi. Passa invece l’esclusione dalla tassa del turismo giovane e universitario. Ottima cosa. Come pure che alla fine, seppur cambiando pelle nel senso che diviene ordine del giorno presentato da Manlio Messina, il Consiglio approva “il pacchetto migliorie” alla tassa di soggiorno individuate dalla Commissione al Turismo.
Passa il subemendamento, a firma di Valeria Sudano (Pid), Manlio Messina (Pdl) ed altri, al secondo emendamento proposto dalla stessa commissione: sarà istituita una commissione comunale ad hoc per decidere l’utilizzo dei fondi. Come a dire alla giunta: noi ti approviamo una tassa dai contorni assai incerti, ma scordati di utilizzare gli introiti a tuo piacimento.
Si continua ancora per qualche ora, tra cavilli legali e battaglie retoriche, ma alla fine la tassa di soggiorno è approvata. Prima scaramuccia – mica tanto piccola – della battaglia che si attende sul bilancio.

Pubblicato il 31 agosto 2011 su Catania Politica

Consiglio, tasse e Rita Cinquegrana

Consiglio, tasse e Rita 

di Antonio G. Pesce - Solo un minuto di silenzio, in memoria del mai abbastanza compianto Libero Grassi, ucciso vent’anni fa dalla mafia, divide il primo ruggito in aula, ad opera del capogruppo Pd Rosario D’Agata, durante le comunicazioni, dalla dura battaglia seguita sulla tassa di soggiorno.
Filo conduttore Rita Cinquegrana, interpellata sia per il festival Belliniano, la cui paternità pare contesa da Regione e Provincia, sia appunto sulla tassa per il turismo. In mezzo, la solita Catania che soffre. Francesco Navarria (Misto-SG) aspetta ancora che si completino prima dell’inizio di settembre (come promesso), i mai iniziati lavori per la manutenzione del ponte sul Tondo Gioieni, Lanfranco Zappalà (Pd) e Gemma Lo Presti (La Destra-As) temono la deriva del traffico in città, per via dell’idea di chiudere al traffico la parte di via Vittorio Emanuele adiacente a piazza Duomo. Infine – e vedrete che ci ritorneremo nei prossimi mesi – la preoccupazione di Nello Musumeci, capogruppo de La Destra, per i ritardi dell’amministrazione nel presentare un proprio progetto di Piano Regolatore Generale al Consiglio, col rischio del commissariamento. Anzi, Musumeci ci mette il carico: che non sia un gioco delle parti tra Regione e Giunta, al fine di scaricare la colpa sui consiglieri, e dare via libera al commissario?
Anche il sottosegretario al Lavoro, come già aveva fatto Puccio La Rosa (Misto-Fli), chiede alla Cinquegrana maggior ragguagli circa il festival belliniano, e ricorda come più volte non sia decollata la relativa fondazione, per un’organizzazione che non sia sporadica, proprio a causa de mancato impegno dell’ente comunale. La assessore ha replicato che si sta pensando al festival del prossimo anno, perché in queste cose ci vuole un’attenta programmazione.
La Cinquegrana è stata protagonista – suo malgrado – della discussione seguita alla breve relazione sulla tassa di soggiorno. Le lamentele dell’opposizione sono, quasi tutte, riassumibili nel rimprovero fatto all’amministrazione di non aver un progetto chiaro per il turismo di Catania, di mancare di capacità concertativa con le associazioni di categoria e gli operatori turistici, e di voler fare soltanto cassa.
Discussione lunga, a volte accesa, il più delle volte alquanto pretestuosa, soprattutto quando si afferma, con tono patetico, che la tassa influirà sul povero cittadino dell’hinterland, venuto in città – evidentemente col carretto o a piedi – per controlli medici e costretto a soggiornarvi. Insomma, non passerà così facilmente, perché, al di là delle remore da libro Cuore, il pur banale balzello poteva essere presentato meglio da parte dell’amministrazione nel massimo consesso civico.

Pubblicato il 30 agosto 2011 su Catania Politica

Il soggiorno di Bonaccorsi

Il soggiorno di Bonaccorsi 


di Antonio G. Pesce – L’estate sta finendo (a dire il vero, è già finita), e Catania si spopola dei non molti turisti che l’hanno affollata. Ci sarà tempo per fare un bilancio, e ancor di più ce ne dovrà essere per un’attenta analisi della situazione.
Questa sera, però, il Consiglio comunale discute della tassa di soggiorno, con la quale avrebbe dovuto far cassa e investire proprio sul turismo. ‘Avrebbe’, visto che andava approvata prima delle ferie – almeno – e non ora che la festa è passata. Catania ha una vocazione marittima ed estiva: nonostante il vulcano più alto d’Europa lo abbia a una trentina di chilometri, il catanese medio va a ‘sciare’ con la busta di plastica sotto il deretano. Non aspettiamoci milioni di turisti sul Mongibello, quando i primi a non degnarlo siamo noi, che ci aspettiamo la neve – che spesso non c’è, date le nostre temperature – quando invece l’Etna offre paesaggi stupendi da esplorare.
Comunque sia, la maggioranza pare intenzionata a sbrigare la pratica già questa sera. Pdl e Mpa sono convinti di riuscirci: se sapranno suonar la sveglia a quei consiglieri che spesso rimangono a casa (perché si siano fatti eleggere è poi un gran mistero), Condorelli e Di Salvo, i due rispettivi capigruppo, potranno tener fede alla loro promessa. Si poteva, però, concedere qualcosa all’opposizione, che lamenta un fatto assolutamente vero: non è chiaro come verranno spesi i fondi derivanti dalla tassa. Di sicuro – perché lo impone la legge – non potranno essere stornati per altro, ma solo per il turismo. Tuttavia, seppur non si tratti di un iniquo balzello, come più volte abbiamo detto, non si vede perché l’opposizione dovrebbe firmare un assegno in bianco.
Da questa faccenda emerge, però, il livello di coscienza che la classe politica ha della situazione economica italiana, e in modo particolare di quella siciliana. Signori, la pacchia è finita, ed è finita da un pezzo. Spendiamo più di quanto abbiamo in cassa, e non possiamo più chiedere allo Stato di organizzarci le vacanze estive: il problema non è più solo come si debba trascorrere l’ ‘estate catanese’, ma tutt’e trecentosessantacinque giorni dell’anno. Il meno che possa capitare, è che Catania non abbia eventi in estate, quando il grande evento che l’affligge, l’enorme disoccupazione, non le darà tregua ancora per molti anni.
È come in una famiglia: quando non arrivi a fine mese, tagli il meno necessario. Il divertimento e il riposo che questa bellissima città può offrire, sono per chi non è oppresso dall’angoscia di non aver di come arrivare a fine mese. È giusto che se li paghi chi ha tempo per svagarsi e riposare. E non chi è schiavo ormai della precarietà sociale, entrata furtiva nella nostra storia, lasciandoci perfino privi della speranza di un po’ di giustizia.

Pubblicato il 29 agosto 2011 su Catania Politica

L’Ancien Regime siculo

L’Ancien Regime siculo 

di Antonio G. Pesce - Ce ne stiamo andando in vacanza. Noi di CataniaPolitica, s’intende. E solo in quanto povere penne di questo fogliaccio, perché intanto la vita continua, e bisogna trovare sostentamento per farla continuare. L’età media della redazione è bassa, e altrettanto basso è lo spessore del portafogli. Molti di noi hanno perso tempo a studiare. Dovevamo metterci in politica.
La notizia è che l’on. Gaspare Vitrano è stato riammesso nella sua carica. Il deputato siciliano Pd, l’altro giorno, aveva annunciato, da galantuomo qual è, di rinunciare ai propri ‘benefit’ da onorevole: un ufficio personale all’Ars e la macchina blu, che gli spettano in quanto deputato segretario. Bene. Ci vogliono questi esempi, in un momento in cui la gente pare averne abbastanza di privilegi da Ancien Regime.
Tuttavia, quello che l’onorevole non ci spiega, è come avrebbe potuto approfittare di molti benefit, se non può rientrare all’Ars. Anzi, non può rientrare in Sicilia. Infatti, ha l’obbligo di soggiorno fuori dall’Isola. Insomma, lui avrà rinunciato per bontà d’animo – siamo certi di questo, e non abbiamo motivo di non crederlo -, ma si dovrebbe almeno convenire che, anche quando non fosse stato così onesto, avrebbe comunque avuto parecchi problemi a vivere da uomo di casta.
Intanto, la reggia di Versailles, sita a Palermo, è un mondo fuori dal mondo anche per il semplice inserviente, che guadagna più di un ricercatore strutturato (a tempo indeterminato, per intenderci) di qualsivoglia università italiana. Anni di studio sprecati: bisognava fare altro, mettersi al servizio, piuttosto che giocare al giovane chirurgo, giovane docente, giovane ingegnere, eccetera.
Ora, che il troppo stoppia, è più che evidente. Ancora c’è la speranza di un posto di lavoro al Nord, o la pensione del papà, perfino quella del nonno, e allora si tace. Nonostante si stia male, tutti abbiamo una stampella, e ci si rassegna al male dell’emigrazione. Ma quando anche questo finirà – basti vedere il fuggi fuggi dei docenti siciliani verso un Nord ormai saturo – allora si scoprirà ciò che è sotto gli occhi di tutti: siamo una polveriera.
I siciliani hanno ben poco. E quel poco che hanno se lo tengono stretto. Ma quando s’accorgono che non hanno nulla da perdere, la prima cosa che fanno saltare in aria è la pazienza. C’è chi ce la sta depredando ogni giorno di più.

Pubblicato il 5 agosto 2011 su Catania Politica

Politica ingolfata, Catania ammazzata

Politica ingolfata, Catania ammazzata 
di Antonio G. Pesce - Il Consiglio comunale, ieri sera, è saltato. Pratica archiviata in meno di cinque minuti. Solo che, in questo caso, la faccenda è molto più grave del solito assenteismo.
Riassunto delle puntate precedenti. Si doveva discutere della tassa di soggiorno per il turismo. Una piccola cosa, per passare al piano triennale dei lavori pubblici, e infine al bilancio. Non se ne fa nulla, perché non c’era in aula l’assessore competente. In realtà Rita Gari Cinquegrana, l’assessore competente, non c’è che nell’organigramma della giunta, perché nessuno ricorda un suo comunicato stampa, una sua intervista, un suo intervento in aula., una sua proposta, che riguardasse anche per sbaglio la questione turismo. La Gari fa il sovrintendente del Bellini, non l’assessore al Turismo. Ma tanto Catania non è una città turistica, non serve a nulla averci l’assessore. Avrà pensato il sindaco Stancanelli che la Rita Gari Cinquegrana ha nominato e continua a tenere in Giunta.
I consiglieri comunali saranno un po’ stizzosi, però ognuno deve fare la propria parte, e se l’assessore non c’è, si ha pure il diritto di chiedere che sia proprio l’avente delega a relazionare in aula. Si passa al punto due dell’ordine del giorno, cioè la ‘bazzecola’ del piano triennale dei lavori pubblici. Solo che, anche in questo caso, gli strafalcioni non si contano. Tra le piccolezze che si possono enumerare, c’è il ritardo dell’atto e la sua correttezza. Nella seduta del 2 lo aveva fatto notare anche Manfredi Zammataro (LaDestra-As): mancano documenti importanti in allegato. E pare sia così. Pare che davvero, oltre che avviare l’iter in ritardo, il sindaco e la giunta (o chi per loro) non abbiano fatto tutto perfettamente. E se non sappiamo quanto dobbiamo (o possiamo) spendere, pare sia dubbio anche che si possa approvare un bilancio. E c’è il rischio del commissariamento.
Basta? Mettiamoci il carico: la maggioranza latita, ed è vero che il numero legale viene a volte tenuto dalle opposizioni.
Ora è chiaro che la situazione è fin troppo grave. Un paio di domane sono d’uopo. Innanzi tutto, sulla tassa per il turismo. Lo abbiamo già scritto: non ci sono soldi? d’accordo, turiamoci il naso e accettiamola. Un paio di euro non sono la fine del mondo. Non c’è un piano preciso? D’accordo, tra galantuomini, e per il bene di Catania, se ne può discutere davanti al gruzzoletto raccolto. Anche questo non sarebbe la fine del mondo. Ma accidenti, come si è potuto credere che l’opposizione, che se è opposizione un motivo ci deve pur essere, non avrebbe sollevato la questione dell’assessore al turismo? È da mesi che ce la portiamo dietro. Rita Cinquegrane avrebbe potuto essere la persona giusta. Non lo è, non già perché non sa dove mettere le mani; non lo è perché queste mani non vuole mettergliele. Non sappiamo il perché – d’accordo, fattacci suoi. Ma saranno pur fattacci nostri avere l’assessore all’unico ramo ‘produttivo’ o no? Se abbiamo un assessore al turismo e non già all’industria, è perché di industrie, a Catania, ne sono rimaste un paio, e tanto per tenere alta la bandiera e non ammainarla. Siamo alla fame punto. Altro che disoccupazione: siamo alla fame. Facciamo lavorare almeno le strutture ricettive e ricreative, altrimenti siamo spacciati.
Ci saranno alti motivi politici, non dubitiamo, per questa situazione anomala. Chissà quali equilibri sposterebbe una nomina ad un assessorato che, soprattutto dopo l’approvazione della tassa, avrebbe un cospicuo portafoglio da gestire. Ma caspita: un po’ di decoro.
E sui lavori pubblici? Avete forato una ruota, non fatevi forare l’altra. E invece ritardi su ritardi, e con tanto di fogli che mancano. Anche in questo caso era davvero così difficile immaginare che l’opposizione avrebbe chiesto spiegazioni? E come imporgli il (presunto) ‘buon senso’, quando gli stacanovisti delle maggioranza si contano su un palmo della mano, e i restanti sono sempre a spasso per le vie – fanno politica ‘tra la gente’, però poi si scordano di andare a votare quelle delibere che servono all’amministrazione della vita sociale della gente.
È solo un’impressione, o stiamo facendo di tutto per arrivare al commissariamento del bilancio catanese? Diciamolo chiaramente. E altrettanto chiaramente diciamo che stiamo ammazzando un uomo morto. E il morto, ormai, è la nostra bella città.

Pubblicato il 4 agosto 2011 su Catania Politica

Consiglio tra epica e farsa

Consiglio tra epica e farsa
di Antonio G. Pesce - Se non fosse che, infine, s’è conclusa in farsa, la seduta di ieri sera del Consiglio comunale di Catania avrebbe avuto un che di epico. Iniziata con un minuto di silenzio per Mariella Lo Giudice, ha conosciuto momenti di vera tecnica politica e di grande oratoria.
Iniziamo con la prima. Saro D’Agata (capogruppo Pd) ormai è noto per le sue pregiudiziali: sa trovare peli perfino dentro l’uovo. E, nell’Italia politica delle starlette da rotocalco di serie B, in cui la Sinistra è allo sbando, avendo sostituito il materialismo storico con lo sballo neoborghese del nichilismo libertino, è un piacere vedere ancora qualcuno che sa usare i vecchi ferri della politica.
Si doveva parlare della tassa sul turismo. E chi ne doveva parlare? L’assessore competente non c’è (e chi è un po’ svezzato a queste cose sa il perché), fa notare D’Agata. E minaccia pregiudiziale. Il presidente del Consiglio, Marco Consoli, si limita a notare, innanzi tutto, che ha ragione D’Agata: l’assessore non c’è, e non si è giustificato; tuttavia, l’Amministrazione è rappresentata da tre assessori. D’Agata non sente ragioni. D’un tratto, colpo di scena: l’assessore ha bisogno di una mezz’oretta per arrivare. Ma ancor più impressionante è sapere che un assessore al turismo Catania ce l’ha: mai visto in aula, si tratta comunque della prof.ssa Rita Cinquegrana.
Però, Domenico La Rosa (Misto) propone che si passi al punto due. Il Consiglio approva. Si passa al punto due. Altra tegola per l’amministrazione. Il rimedio è peggio del male: approvazione del piano triennale dei lavori pubblici. D’Agata passa all’attacco. Pregiudiziale: non si può trattare questo atto prima del 13 settembre, perché non sono decorsi sessanta giorni dalla pubblicazione sull’albo pretorio. Su questo aspetto scoppia una bagarre legale. Viene consultata l’avvocatura del Comune, che invece dà parere favorevole. Puccio La Rosa (Fli-misto) concorda con D’Agata. Replica Letterio Daidone (Pdl): secondo la normativa vigente nella Regione Sicilia, l’approvazione definitiva del piano dei lavori pubblici avviene col bilancio di previsione.
La pregiudiziale viene respinta, e l’assessore Sebastiano Arcidiacono inizia la sua relazione. Due i punti su cui pone l’attenzione: l’edilizia scolastica e le strade della città. Alla fine, però, fuoco incrociato di D’Agata e Nello Musumeci (La Destra), presente in aula e per lungo tempo meditabondo. È proprio da Musumeci che arriva l’attacco più duro della serata: la Destra-As abbandona l’aula. Musumeci si sente disgustato da quel che è avvenuto, e lo dice chiaramente: l’assessore al turismo non è presente, semplicemente perché non c’è. La Cinquegrana ha permesso al sindaco di usare il proprio nome, ma non è mai stato un assessore vero. Ed ora, per coprire questa assenza, si discute di una questione così delicata – i lavori pubblici – senza che l’amministrazione sia preparata. E tutto questo, mentre è la presenza dell’opposizione a mantenere il numero legale: dov’è la maggioranza?
Mentre La Destra abbandona l’aula, D’Agata formula un’altra pregiudiziale: il piano proposto prevede l’accensione di mutui per un totale di 30 milioni di euro. Ma secondo la relazione del collegio dei revisori dei conti le tasche catanesi non possono permetterselo. Dunque è necessario, per discuterne, che sia presente il collegio in aula.
La pregiudiziale non passa. Ma non viene neppure respinta. In un’aula quasi vuota, manca il numero legale. Alla riapertura, dopo la sospensione di un’ora, a detta del segretario salvatore Nicotra non c’è nessun consigliere presente. Si continua questa sera. (Caldo e pedalò permettendo).

Pubblicato il 3 agosto 2011 su Catania Politica

Tassa di soggiorno, il meno ingiusto dei balzelli

Tassa di soggiorno, il meno ingiusto dei balzelli 
di Antonio G. Pesce - Questa sera, numero legale permettendo, la maggioranza pare intenzionata ad approvare la delibera sulla tasse di soggiorno. Tra le novità legislative introdotte dal governo Berlusconi, che non avrebbe dovuto “mettere le mani nelle tasche degli italiani”, questa pare essere la più gettonata dalle amministrazioni locali, solitamente così restie a recepire tutto ciò che non è obbligatorio.
Tuttavia, a far del moralismo ci vuol poco. Diciamoci la verità: gli enti locali non hanno più un euro, e forse non ne ha più neppure lo Stato. Dove siano andati a finire i nostri soldi, e se siano stati spesi bene, è discorso da farsi in altra sede. Qui c’è un problema da affrontare: dove pigliare il danaro per non far crollare il patrimonio artistico del mondo? Come favorire lo sviluppo turistico del nostro Paese?
La tassa di soggiorno ha due limiti ben chiari normativamente: non può essere superiore ai cinque euro, e gli introiti che ne derivano non possono essere spesi diversamente dall’ambito turistico. In poche parole, tra i balzelli italici, questa sarebbe il meno ingiusto. Anche perché peserebbe su chi ha deciso di divertirsi, e in teoria non dovrebbe guardare agli spiccioli. D’accordo: divertirsi non è reato. Ma per gli italiani ormai è un lusso: che lo paghi, almeno, chi se lo può permettere (russi, tedeschi e francesi). Sperando, ovviamente, che non finisca come i danari provenienti delle multe, che ‘normativamente’ andrebbero impiegate per costruire parcheggi, e invece ormai sono una forma di introito per i comuni. O come i fondi Fas, da impiegare per lo sviluppo, e invece a volte finiscono a risanare le casse di amministrazioni poco accorto (a dir poco).
Insomma, con patti chiari, la tassa è legittima. Come tutte le necessità. Si fa presto, infatti, a parlare di ‘primavera’ catanese, senza tenere conto degli attuali bilanci degli enti pubblici. Poi, magari, c’è che chi ha poco, e non ha neppure le idee giuste per saperlo gestire (e questo è anche vero). Ma cosa dovrebbero prevedere questi patti chiari? Si sa che, a regime, la tassa non dovrebbe superare 2,50 euro a notte. Quello che non si sa, però, è l’impiego. Sì, verranno usati per rilanciare il turismo. Ma come esattamente? Senza una risposta chiara a questo quesito – senza un vero progetto, difficilmente l’opposizione potrebbe votarla. E a ragione.
Tuttavia, dall’alto di quel poco di esperienza acquisita nell’assistere alle sedute consiliari, è meglio prevenire un’obiezione, e invitare l’opposizione a non formularla: la tassa – si dice – inciderebbe sul prezzo degli alberghi, penalizzando il flusso turistico. Difficilmente chi ha deciso di spendere l’equivalente di quanto ormai hanno in tasca le famiglie catanesi per mangiare una settimana, si farà scrupolo degli spiccioli in più che gli si chiede. E comunque, se tanto si teme la tirchieria altrui, potrebbero farsi carico della tassa gli albergatori nostrani, magari attuando degli sconti ad hoc sul prezzo del soggiorno.
La situazione non è facile. E non si può pretendere che paghino sempre gli stessi la pulizia, la ristrutturazione, i servivi e l’animazione di una città su cui sono altri a guadagnarci. Poco? Figuriamoci che debba dire chi campa un mese con l’equivalente di quanto spende un turista russo in una settimana.

Pubblicato il 2 agosto 2011 su Catania Politica

7 settembre 2011

Giambattista Vico e la lezione della Storia. Una lettura del testo di G. Zanetti

Gianfrancesco Zanetti, Vico eversivo.

Bologna, Il Mulino, 2011, pp. 135, € 13,00, ISBN 9788815147301



Recensione di Antonio G. Pesce – 13/5/2011

Nel maggio del 1994 Donald Phillip Verene, filosofo americano ancora in forza alla Emory University, tenne quattro lezioni all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofi di Napoli. Il tema, che poteva sembrare insolito, era la presenza di Vico nel mondo anglosassone (diventerà anche un libriccino, pubblicato da Città del Sole l’anno successivo).
Approfondendo quelle appena abbozzate linee di ricerca, perfino chi scrive ebbe modo di constatare la ricchezza delle analisi di cui era stato fatto oggetto Vico nella lingua di Shakespeare. Non solo, ma in un contesto sociale come quello anglosassone (e ancora non erano usciti alcuni scritti di Rifkin né quello ben noto di Huntington), il filosofo napoletano ‹‹offre una via per pensare il mondo umano come totalità. Noi viviamo in una società frammentata e tecnologica, in cui non c’è un’unica immagine guida, una vasta esposizione delle nostre origini e del nostro ruolo nella storia›› (p. 9).
Leggendo quegli appunti, non stupisce tanto che anche gli Stati Uniti abbiano un proprio istituto vichiano, e che i New Vico Studies siano un apprezzato bollettino di studi sul Napoletano. Fa pensare, invece, quel che dichiara Verene, lasciando intuire anche la connotazione spiccatamente teoretica e non meramente filologistica della lettura anglofona (e statunitense in modo particolare) di Vico: ‹‹Ma l’elemento più importante è che Vico offre una via per pensare il mondo umano come totalità. […] Vico appare come una figura nuova che sembra parlare come un contemporaneo e rianimare in un modo nuovo gli interrogativi classici e le prospettive del pensiero antico e umanistico›› (pp. 9-10)
A questa linea interpretativa pare legarsi Gianfrancesco Zanetti, che i vichisti hanno avuto modo di apprezzare in altri saggi, pubblicati sul «Bollettino del Centro di Studi Vichiani» di Napoli. Del resto, lo stesso autore scrive: ‹‹Questo non è uno studio storico-filologico su Vico; è invece una riflessione sulla presenza nei suoi testi di temi e suggestioni che possono interagire in modo interessante con settori a mio avviso importanti del dibattito filosofico contemporaneo›› (p. 7).
Tra i temi a cui accenna Zanetti c’è quello dell’eguaglianza. Jeremy Waldron ne distingue due tipi: quella di base (basic equality) e quella normativa (equality as a goal). Ovviamente, in Vico non si può negare la presenza di quella di base; e l’autore, che conosce molto bene il testo vichiano e lo ha frequentato per anni, non la nega affatto – pensiamo all’opera di Solone e di tutti i “Soloni” che conducono all’Età degli uomini e alle repubbliche democratiche. Né, ancora, vuole negare che poggiare l’eguaglianza normativa su quella di base abbia un suo valore logico. Quello che Zanetti vuole fare, puntando sul meglio del pensiero filosofico italiano, è mostrare che la società, il “mondo”, è anche una costruzione etica, seppur intendendo per etica qualcosa di diverso da un’indagine che si fondi sul presupposto della razionalità senza alcuna considerazione delle emozioni.
La disuguaglianza tra ebrei e bestioni, tra storia sacra e storia profana, è data anche da ‹‹fattori istituzionali, come l’educazione›› (p. 27), e quando i plebei reclameranno uguaglianza, lo faranno perché – come recita la Degnità XCV - ‹‹gli uomini prima amano d’uscir di suggezione e desiderano ugualità››. Questa eguaglianza, frutto di conquista e non già di un fatto naturale, ha riverberi importanti su temi di scottante attualità. Zanetti ricorda il dibattito degli anni Sessanta negli Stati Uniti sui diritti della comunità afro-americana, ma noi possiamo argomentare più in generale: ammettiamo pure di sposare l’idea che l’eguaglianza sia un dato di natura. Davanti ad un QI intellettivo molto basso, come potremmo replicare? Possiamo impelagarci in una discussione sul valore di test di questo tipo, e potremmo anche citare visioni alternative sull’intelligenza umana. Rimarrebbe comunque il dubbio che le cose stiano in un modo, e che non ci sia alcun motivo per cui debbano mutare. Ma la descrizione di ciò che è non impone un disegno su ciò che ha da essere. Buona parte della nostra vita, infatti, è sorretta più da ciò che speriamo e progettiamo per il futuro, che da quello che possiamo constatare circa il presente.
Una visione dell’eguaglianza come obiettivo (as a goal) più che come fatto, ci permetterebbe di vedere in un QI basso uno stimolo alla ricerca di forme sempre migliori e più ampie di inclusione, oltre che essere una visione squisitamente etica del reale, perché considera gli uomini come fine, e come fine che si deve raggiungere ogni giorno di più, e non come un dato di natura meramente acquisito. In questo, dunque, mentre non nega la concezione naturale dell’uguaglianza, Zanetti dimostra di ripensare in modo originale più che Vico, i temi attuali del dibattito morale, soprattutto in campo anglosassone. In verità, egli non disdegna affatto quella tradizione italiana che nella storia, più che un volano di dottrine relativistiche, ha saputo vedere quel farsi del mondo e dell’uomo – del mondo dell’uomo – che è questione più di scelte che di teoremi.
C’è etica, però, laddove si riconosce l’esistenza di una comunità, dalla quale ci si sente interrogati. Nel secondo capitolo, Zanetti fa sua la distinzione proposta da Bernard Williams, e ripresa da Avishai Margalit: le emozioni bianche sono quelle che possiamo provare anche in perfetta solitudine – pensiamo alla paura della morte, un sentimento che molti provano negli attacchi di panico. Le emozioni rosse, invece, sono quelle che proviamo quando siamo fatti oggetto non già del nostro sguardo, ma di quello altrui. Riproponendo un confronto tra Hobbes e Vico, che lo stesso Zanetti ammette essere locus communis, si nota come nel primo prevalgano emozioni di carattere ‘bianco’, e come siano invece di carattere ‘rosso’ in Vico. Certo, anche per il Napoletano la prima emozione, quella provata dai bestioni davanti al tuono, è la paura, ma in questo caso il senso è diverso: essi interpretano quell’evento come il segno della presenza di qualcuno, come di un occhio che li scruta. Cominciano ad accoppiarsi di nascosto, e dalla religione, quale timor Dei, si genera la vergogna (il pudore). ‹‹Non è affatto lo stesso tipo di paura – scrive Zanetti – fondamentalmente soggettiva e individuale, che si presta fra l’altro anche ad essere deliberatamente utilizzata da individui astuti; si tratta, piuttosto, di una paura condivisa che spinge gli individui a organizzarsi in un ordine sociale›› (p. 69).
Le prime norme vichiane sono istitutive, cioè innanzi tutto creano qualcosa. Poi, ovviamente, comportano anche delle norme regolative, cioè norme che comandano o proibiscono di fare qualcosa. In questo senso, notiamo come, giusta l’osservazione di Zanetti, in Vico si riscontri una prima forma d’identificazione tra Stato e società: la preminenza data all’istituzione, e non già alla regolazione, impone, a rigor di logica, di prendere atto che non vi è un ente al di là della societas che lo genera, e questa viene facendosi mano a mano che fa quello. Infatti, in seguito Zanetti ricorda che ‹‹le regole regolative possono essere rivolte a individui; le regole costitutive possono essere rivolte unicamente a gruppi›› (p. 83).
Risultato di questa preminenza di emozioni rosse è il ruolo fondamentale che in Vico assume il matrimonio: un tema molto dibattuto nei paesi occidentali, non solo per le diversità che si riscontrano tra diverse culture (pensiamo alla poligamia), ma anche dentro una stessa cultura (pensiamo alla relazione omosessuale). Un tema, inoltre, che, a differenza di quello della famiglia, è stato poco trattato, e a cui solo Vico ha dato la giusta importanza (‹‹il filosofo del matrimonio›› come leggiamo a p. 87). Solo quando i plebei avranno diritto alle nozze solenni, il processo di umanizzazione si potrà dire compiuto. Solo allora il passaggio dalla forma aristocratica a quella democratica sarà pressoché compiuto, oltre che irreversibile. Ai plebei non era permesso sposarsi, perché essi non potevano farlo: era ritenuto contro natura. Ma essi si ribellarono per ottenere uguaglianza.
Questa credenza, per cui sarebbe stato contro natura il matrimonio che non fosse ‹‹more ferarum››, non è un inganno: è una credenza collettiva, creduta fino ad un certo punto anche dai plebei. È in un linguaggio di miti che si esprime la verità eroica, che deve aver avuto qualcosa di vero: ‹‹si tratta di una verità costituita, fatta attraverso l’azione di un insieme di credenze collettive che si cristallizzano appunto in determinate realtà istituzionali›› (p. 95). Il risultato è chiaro: ‹‹la lotta per una maggiore inclusività dell’istituzione matrimonio è aspra e mette anzi differenti concezioni in conflitto: il suo esito è però infine un ingentilimento dei costumi, che – come si è accennato – nella Scienza Nuova comprende anche per esempio, quella che Vico chiama tenerezza del sangue. Si fanno cioè ora politicamente disponibili, insieme a una più inclusiva forma di eguaglianza, nuovi sentimenti e nuove emozioni›› (pp.114-5).
L’originalità dell’impostazione e l’impellenza dei problemi affrontati fanno del Vico eversivo di Zanetti un’opera particolare nell’orizzonte scientifico italiano degli studi vichiani. Speculativo nei fini, filologico nell’impianto. Peraltro, è un libro scritto con molta onestà intellettuale, perché talune obiezioni l’autore se le muove da solo; senza essere mai categorico nel tracciare confini tra concetti, facendo notare le diverse sfaccettature. Infine, quando deve giudicare il mondo attuale, mostra una serenità di giudizio che non è facile riscontrare in certi dibattiti.
Ma un libro ha sempre una propria storia, che l’autore non riesce mai completamente ad esaurire. Non fa eccezione il lavoro di Zanetti. Infatti, non pare provato che il risultato storico debba essere questo ingentilimento, che condurrà all’accettazione politica di matrimoni ‘diversi’.
Tra l’altro, possiamo leggere che il matrimonio è ‹‹anche occasione per un energico ricorso all’argomento del consensus omnium, dove l’ omnium dell’universalità non si riferisce a individui singolarmente considerati, latori magari di una ragione critica e libertina, ma a nazioni›› (p. 88). Questo perché la razionalità ‹‹si rivolge primariamente all’individuo, e funziona sulla deliberata connessione mezzo-scopo›› (p. 109). C’è un di più nella sapienza che ci viene dalla storia, fatta di prudenza e di buon senso comune, che il singolo non riesce ad esperire. La tesi, secondo cui verum factum conventuntur, non garantisce la conoscenza del singolo individuo, ma quello dell’umanità intera, cioè di milioni di uomini nel loro rapporto reciproco, sia esso orizzontale tra contemporanei, sia verticale tra l’umanità in epoche diverse. Questo filo, creato dall’emozione rossa della vergogna, viene spezzato da un’altra emozione simile: l’orgoglio. Cioè la tracotanza umana di esperire il reale tramite il raziocino scientifico (nell’accezione che questa parola ebbe tra Sei e Settecento).
Detto questo, è necessario osservare che è stata una scelta poco felice quella di accomunare matrimonio poligamo e omosessuale, perché pongono problemi diversi e s’inseriscono in modo diverso nella storia, passata e attuale. Si potrebbe obiettare che la concessione di “nozze solenni” a connubi differenti da quello fondato su un uomo e una donna sia un cedimento all’orgoglio, che conduce alle ‹‹particolari proprie utilità di ciascuno››. Ci chiediamo, infatti: in virtù di cosa le pur legittime scelte di singoli formano una ‹‹razionalità sociale›› (p. 66), vincolante nella Storia?
In questo caso, purtroppo, Zanetti cade nell’errore di esaurire il processo storico prima ancora che si sia realizzato. In altri termini, non c’è una ragione per sostenere che le cose, che attualmente stanno andando in un verso, si evolveranno conseguentemente. Non c’è ragione, ancora, per sostenere che il futuro è della Scienza, o del Proletariato, o della Religione, solo perché, allo stato attuale, le cose stanno andando in una di queste direzioni.
La Storia futura, insomma, non è “vera”, per il semplice ed importante motivo che non è stata ancora realizzata.

Indice:
Presentazione
  1. Eguaglianza in Vico
  2. Il bianco e il rosso
  3. Il sovversivismo dell’immanenza
Bibliografia
Indice dei nomi