"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

29 maggio 2011

Magistrati e Palazzo di Cemento

 Magistrati e Palazzo di cemento 


di Antonio G. Pesce- Un Consiglio iniziato con toni sommessi, quello di ieri. A ricordare le vittime del terrorismo è stato per primo il capogruppo Pd Rosario D’Agata, che ha chiesto un minuto di silenzio per le vittime. Si è accodato anche il Pdl con Carmencita Santagati. Ci sono state – è vero – frecciatine vicendevoli –potevano essere risparmiate, dal momento che Catania non è Milano – ma alla fine l’aula si è ritrovata tutta unita nel silenzio che condanna la violenza. Gemma Lo Presti (LaDestra-AS) ha chiesto che non ci si fermi solo a questo, e con una mozione vorrebbe impegnare l’Amministrazione alla proposta di progetti, che vedano coinvolte le scuole catanesi. Perché rimanga ricordo di chi ha sacrificato la vita per la Patria, e perché il ricordo si faccia memoria. Il vicesindaco Luigi Arcidiacono, nella replica dell’Amministrazione, si è detto d’accordo. Vedremo nei prossimi mesi come si evolverà la proposta.
Ma D’Agata aveva anche toccato il tasto dolente – credeteci – della politica catanese nelle prossime settimane. Cosa accade a Librino? Apparentemente, ci sarebbero problemi di fognatura in qualche palazzo di via Robinie, strada di collegamento tra Librino e San Giorgio. Essendo alcuni appartamenti di proprietà del Comune, D’Agata chiedeva che venissero effettuate le riparazioni da parte dell’ente, e che successivamente venisse richiesto il rimborso a chi ne avrebbe avuto l’onere. Ma non è questo il vero problema. Puccio La Rosa, Fli, lo sfiora, ma è un tasto, oltre che dolente, anche delicato. Chiede all’amministrazione La Rosa: Stancanelli dice che si vuol sgomberare il Palazzo di cemento. Avete già un’idea di quando? E come ci si comporterà con coloro che vi abitano? Domande legittime. La politica, però, è abbottonata. Sa? Non sa? Ed è vero quel che qualcuno afferma? Che l’uscita di Stancanelli non è una delle sue solite boutade, che c’è dell’altro? Cosa?
Si masticano parole, nessuno vuole esporsi. Ma chi si può sbottonare – le tante lingue che sorseggiano un aperitivo o un caffè, mentre altre lingue parlano per ore – dice che non ci siamo molto lontani. Che Stancanelli può non piacere, ma che nessuno sarebbe così imprudente da tirare in ballo quell’annosa questione, se non sa che, prima di quanto si pensi, si possa passare dal dire al fare. Sussurrano che subito, questa mattina, mentre leggete questo articolo magari, ci potrebbe essere lo sgombero del Palazzo di cemento, scale abbattute per impedire l’accesso.
Dicono altro le lingue imbevute di Martini, mentre a Catania scende un tempaccio. Intanto, però, la discussione a Palazzo degli Elefanti continua, e il dovere della cronaca chiama. C’è Manlio Messina, Pdl, che informa l’aula del nuovo impianto Wifi, presto installato a San Giovanni Li Cuti, e finanziato dall’associazione Idee in Azione e dallo stesso Messina. C’è Carmencita Santagati che i parchi comunali siano provvisti di giochi per bambini, magari ricorrendo all’intervento di sponsor. C’è Manfredi Zammataro (LaDestra-AS) che si chiede come mai la Tarsu non sia stata trasformata dall’amministrazione in Tia, cioè da tassa a tariffa, proporzionata al servizio. Francesca Raciti (Pd) segnala buche e strade pericolose all’assessore Pesce, chiedendosi perché sia necessario segnalare (gli risponderà l’assessore: il numero dei vigili urbani è quel che è). Infine, Valeria Sudano (Pid) sulla questione di Stella Polare e Pua.
L’amministrazione risponde con l’assessore Bonaccorsi a Zammataro: i termini per l’approvazione della Tia sono stati prorogati, proprio perché i comuni che avevano approntato il passaggio nei termini già precedentemente previsti, erano appena 1200 in tutta Italia. E risponde con lo stesso Arcidiacono alla Sudano: l’Amministrazione ha inviato la delibera all’aula senza pareri tecnici, perché per l’amministrazione è da respingere. Tuttavia, avendo la Stella Polare presentato una variante, è nelle prerogative dell’aula consiliare esprimersi. Il presidente del Consiglio comunale, Marco Consoli (Mpa), riunirà mercoledì i capigruppo e ne discuteranno (ma neppure lui è sembrato molto convinto della spiegazione del vicesindaco).
Dopo la votazione dei verbali delle sedute precedenti, ecco la questione Sostare. La II commissione aveva preparato una mozione per il miglioramento del servizio. Arrivata in aula, è stata subito subissata di emendamenti. Pur sembrando condivisa, hanno dichiarato la loro astensione Pdl, Mpa e Udc. A loro dire, non avrebbe più senso approvare una mozione stravolta. L’ha difesa solo il presidente della II commissione, Francesco Navarria di Scelta Giovane,  e il Pd, che per voce del suo capogruppo, ha invitato almeno a concordare sul senso della mozione: evitare che vengano preparati altri stalli a pagamento.
Niente da fare. Dopo un’accesa discussione sui parchimetri e sul fatto che non danno il resto, alla prima votazione manca il numero legale.
Si torna a casa. Il dubbio della serata riemerge. Ma CataniaPolitica è un piccolo giornale, e chi scrive non fa parte della casta degli intoccabili. Ormai pensare a voce alta è un lusso, che non ci si può permettere.
Zitti zitti, si torna a casa. Catania silente. Una Catania che aspetta qualcosa ….


Pubblicato il 10 maggio 2011 su CataniaPolitica

De BLU clamavi ad te

De “blu” clamavi ad te 



di Antonio G. Pesce- È possibile – pare quasi certo – che la bozza di modifica dei parcheggi a Catania non avrà lieto fine in Consiglio comunale. La scorsa seduta – noi stessi ne davamo notizia – Mpa, Pdl e Udc si dichiaravano per l’astensione. Probabilmente bolle dell’altro in pentola, perché è evidente quanto sia indispensabile ripensare quel servizio. Martedì sera, invece, ci si è arenati su una caterva di emendamenti e subemendamenti, facendo vertere la discussione in aula attorno al problema dei parchimetri che non danno il resto.
Problema vero. Ma partiamo dal padre di tutti i problemi: a Catania ci sono due modi di posteggiare, ed entrambi a pagamento. O strisce blu, con relativo impiegato Sostare che presenzia un paio di centinaia di metri; o marciapiedi, con annesso parcheggiatore abusivo. Non esistono strisce bianche. Ovviamente, esistono per i motocicli, perché si è creduto bene far diventare virtù la ritrosia del motociclista a pagare la sosta. Ma lì dove si poteva trarre qualche parcheggio non a pagamento, è stato subito tinto di blu, o lasciato alla solerzia abusiva, che di tanto in tanto finisce come i fichi ormai maturi: un colpetto di vento, e cadono. E quel giorno, un giro della Municipale, ed entrano una decina di migliaia di euro nelle casse dell’erario comunale.
Si capisce come ciò non possa protrarsi ancora per molto. La Sostare, quando ha dovuto prendere parola pubblicamente, rispondendo sulla stampa a lettere di alquanto infuriati automobilisti, ha sempre fatto riferimento ad altre città italiane, mostrando quasi stupore per le lamentele ricevute. Chi ha soggiornato in altre parti d’Italia per studio, lavoro o necessità, sa che la Nazione quella è, e abbisogna di un cambiamento generale dalle Alpi a Capo Passero. Ma su alcune cose si può prendere lezione, e magari far meglio in casa.
Ad esempio, vi sono città con piazzole predisposte alla sosta gratuita, quantunque non prolungata. I mezzi di trasporto funzionano in modo efficiente e, in una di quelle spesso indicate come esempio di correttezza, perfino parcheggi scambiatori. E non solo per chi proviene da fuori città. A La Spezia esistono bus navetta tra periferia e centro. Gratis (e puntuali). Risultato? Si decongestiona il traffico del centro, dove magari si ha pure ragione a mettere qualche stallo ad circa € 1,50. Qualche stallo, mica come qui, dove fra poco sloggeranno perfino il mastodontico Liotru per metterci quattro strisce e impiegato.
Diciamocelo chiaramente: da noi gli stalli servono a far cassa – nella migliore delle ipotesi. Perché a volte sembra – dico sembra, magari poi mi sbaglio – che il biglietto di sosta sia un’azione dell’unica azienda ancora capace di impiegare qualcuno a Catania. Se devo spendere 75 centesimi il danno minore è che il parchimetro non mi restituisca il resto di un euro per un’ora di sosta. Ma se proprio ci si tiene alla pagliuzza, quando pare che la trave venga prudentemente celata, allora si faccia come si fa ‘altrove’. Perché non dare il resto a moneta è un conto: non darlo affatto un altro. Chi posteggia, ha diritto a posteggiare per il tempo che ritiene più opportuno. Il resto, piuttosto che darlo con una sosta prolungata, lo si dia con una ricevuta. Certo, alla fine dell’anno, negli sportelli della Sostare ci sarà la fine per scambiare il ‘resto’ in tagliandi con moneta sonante, ma chi vorrà, non avrà perso nulla.
Perché così accade ‘altrove’. Peccato che, su questa soluzione, i signori consiglieri non siano stati informati – almeno questo pare – nelle riunioni tenute con la Sostare. Avrebbero potuto – sempre se avessero voluto – risparmiare tempo sul meno, e andare direttamente al sodo.

Pubblicato l'11 maggio 2011 su CataniaPolitica

27 maggio 2011

Formazione e riforme mancanti

Formazione e riforme mancanti 

di Antonio G. Pesce - Raffaele Lombardo vanta di aver riformato la sanità siciliana. Affermazione contestata dalla sua ex maggioranza, dal Pdl che presentò un’altra bozza di riforma. Non sappiamo quale delle due fosse la migliore: in politica si fanno delle scelte (condizionate dall’appartenenza o no poco importa), e quella di cui potremmo discutere è quella lombardiana. Che ha sortito l’effetto – allora – di evitare un commissariamento. Tra tagli ai posti letto e chiusure di ospedali, moltissime le proteste.
Ogni riforma, anche se dolorosa, in Sicilia è ben accetta. Nessun dolore è inevitabile, perché in una regione dove la gioventù muore di disoccupazione e il resto della popolazione di povertà (i nostri indici sono i peggiori in Italia), un posto letto in più o in meno non fa differenza (e lo scrivo col massimo cinismo, così che qualcuno si senta offeso, e mi spieghi le ragioni del suo silenzio sulla miseria sempre più ampia dei siciliani).
Ma c’è una riforma che Lombardo non accenna a fare. E pare che nessuno voglia farla. È la riforma della formazione. Decine e decine di enti, che hanno decine e decine di centri, con decine e decine di docenti e tecnici amministrativi. Dovrebbero formare a quelle professionalità di cui manca il mercato del lavoro. E siccome la stragrande maggioranza degli iscritti ai corsi sono ragazzi al di sotto dei 18 anni, è obbligatorio per loro colmare il debito formativo. Cioè devono saper la storia, la lingua e il diritto di quella società a cui appartengono. E, si spera, far di conto.
Cosa rappresenti la formazione in Sicilia, Lombardo lo sa bene (e, con lui, tutta la politica siciliana): ‹‹Per come è strutturata la formazione professionale avremmo dovuto stanziare 500 milioni di euro di fondi regionali – ha dichiarato il presidente della regione all’approvazione, il 17 maggio, del ddl sulla formazione – Con questa cifra, spesa ogni anno, in dieci anni avremmo potuto costruire il Ponte sullo Stretto di Messina››. Lombardo, in quell’occasione, fece notare un’assurdità: ci sono 10 mila formatori, e i centri che, per conto della regione, ricevono l’incarico, hanno un approccio quasi pubblico alla gestione del personale. Insomma: pretendono.
Siccome la formazione è, da un lato e in generale, volano dell’occupazione e, dall’altro e in particolare (cioè nel caso della Sicilia), uno dei capitoli di spesa più corposi per le esangui casse della regione, si capisce che, presto o tardi, dovrà arrivare una riforma strutturale. E siccome la Sicilia vanta il più alto numero di precari nella scuola pubblica, e d’altro canto il presidente Lombardo pare stufo di come venga gestito il personale della formazione, consigliamo alla giunta e all’assessore al ramo, Mario Centorrino, di stufarsi anche del reclutamento. Non è vero che una cosa vale l’altra: ci sono parametri standard nell’assunzione del personale. Se, cioè, ci sono 50 iscritti ad un corso, non ci possono essere 10 classi. Tutto qui. E nel reclutamento, si potrebbe attingere in modo diretto dalle graduatorie della scuola pubblica. I corpo docente di un centro di formazione è composto, per un verso, da persone qualificate secondo la specifica professionalità, e su questi i margini di selezione sono ristretti: se devo attivare un corso di formazione per parrucchieri, il maestro parrucchiere dovrò pur sceglierlo, anche se non esiste una graduatoria (mi sembra logico). L’altra parte dei docenti è composta da professori di matematica, storia, italiano ed educazione civica. Come vengono selezionati? Boh!
Qui il punto, allora: inserire le pur deficitarie procedure nazionali nel sistema di reclutamento regionale. Solo così si potrà equiparare, anche nel punteggio di servizio, l’insegnamento secondario con quello professionale, risparmiare investendo direttamente negli aspetti più produttivi, e dare una boccata di ossigeno alle congestionate graduatorie scolastiche dell’Isola.
Ovviamente, per fare questo ci vuole una riforma strutturale. Ma, soprattutto, serve che la politica – tutta, nessuno escluso –si stufi dei voti che pesca in questo settore. Cosa che pare alquanto difficile.

Pubblicato il 25 maggio 2011 su CataniaPolitica 

(dis)Credito d’imposta

Dis…credito d’imposta 


di Antonio G. Pesce - Miseria, ancora miseria. Il credito d’imposta doveva servire a dare un po’ di respiro alle nostre (pochissime) aziende. Stiamo male, malissimo! La disoccupazione è alta quanto mai (39% quella giovanile, 14% quella generale), duemila aziende chiuse nei primi tre mesi del 2011. Non c’è alcuna speranza per un giovane che cerchi lavoro, che non sia instillata nel cuore da anni e anni di servile accondiscendenza elettorale della propria famiglia. Se in America si mettono da parte i soldi, perché il putto da grande studi nelle migliori università, in Italia, e in modo particolare nella nostra isola, si congela la propria partecipazione alla vita sociale e politica, finché i figli non siano ‘sistemati’. Sistemazione che, oggi, può scadere prima del latte, ed essere pagata con gli spiccioli dell’aperitivo del capoccia di turno.
Senza lavoro non c’è dignità. Parlo del lavoro che realizza l’uomo, non quello che lo annienta in un ritmo incessante di produzione e consumo (ma, visto l’andazzo, il rischio di lavorare troppo proprio non c’è). In un momento di profonda crisi, le aziende siciliane aspettavano un poco di frescura in questo inferno di debiti. Frescura che non è arrivata. Il credito d’imposta doveva essere finanziato con i fondi Fas. Ma i fondi Fas tardano ad arrivare. E, quando arriveranno, non potranno essere spesi come nei piani del governo regionale e della sua maggioranza. E i più banali e ordinari fondi regionali? Non ci sono. Non ci sono, perché devono andare a finanziare una pachidermica struttura regionale, che già un po’ di mesi fa Raffaele Lombardo aveva garantito voler riformare e sfoltire. Partendo dalla formazione (ma questo è un altro capitolo, che – promesso – tratteremo a breve).
Non ci sono fondi ordinari. Sicuri? Speriamo di sì. Speriamo che si tratti solo del fatto, che ormai siamo costretti ad attingere al salvadanaio (perché questi sono i Fas: l’investimento per il futuro), per sbarcare il lunario (cosa che, alla fine, manco ci riesce). Speriamo davvero che si tratti soltanto di miseria, del primo annuncio di un tracollo finanziario non sappiamo quanto imminente, ma possibile. Speriamo si tratti solo di questo.
Perché ci potrebbe essere un’altra spiegazione, assai più grave. Speriamo non si tratti di incompetenza; che non si sia voluto approvare comunque una finanziaria, per coprire il vuoto politico di un progetto ormai da più parti dato per morto, ben sapendo che i nodi, preso o tardi, sarebbero arrivati al pettine; che non si sia giocato sulla dignità di chi lavora, solo per tirare a campare un po’ di tempo, e vedere come (e se possibile) mettere in sesto la baracca.
Questo proprio no. Poveri sì, derubati al massimo. Ma fessi no.

Pubblicato il 21 maggio 2011 su CataniaPolitica

Giovani e sicurezza alla guida

Giovani e sicurezza alla guida


di Antonio G. Pesce- I ragazzi arrivano quasi puntuali. Guardano le Mini della Bmw schierate davanti allo stand. Bella giornata a Catania. Bel clima – in tutti i sensi. Un po’ di incoscienza, e sembrerebbe soltanto una festa. Li credono superficiali. A guardarli bene, i ragazzi di tutti i tempi sono sempre molto allegri. Oggi si insegna loro ad esserlo sempre. A non farsi prendere dall’ansia, perché l’allegria e il divertimento danno il giusto tempo alla giovinezza. L’ansia no! L’ansia è dei grandi, dei vecchi, di chi ha voglia di arrivare troppo presto e troppo presto se ne va.
Sotto lo stand li accoglie un alto ufficiale della Polizia di Stato. E tu quasi non credi che, di tanto in tanto, giovani motorizzati e Polstrada hanno di che dirsene. Ci fermiamo ad ascoltarli. In fin dei conti, se facciamo a meno degli stereotipi, vediamo un padre che parla con una cucciolata di imberbi studenti, che quando presi sul serio con serietà rispondono. Ascoltano. Chiedono. Ci scappa la battuta, si sente anche la fragorosa risata del gruppetto. Complimenti all’ufficiale: la divisa, che pur tiene con tanto di stellette, copre appena di blu la passione di chi non vorrebbe più vedere altre lenzuola bianche, altro selciato rosso. Catania ha un cielo azzurro, e appena un poco di vento.
Ottavio Vaccaro, assessore alle politiche giovanili, segue con attenzione. Ci sono i consiglieri comunali Manlio Messina, Giacomo Bellavia, Francesco Navarria e Francesca Raciti. Arriva il deputato regionale Pdl Salvo Pogliese. Si attende il sindaco. Ci fermiamo a parlare con Alberto Spampinato, consulente al Ministero della Gioventù che ha voluto questa giornata. È insieme al consigliere provinciale Claudio Milazzo.
‹‹Catania è stata scelta perché è una grande città dalla vita sociale molto intensa›› ci dice Spampinato. ‹‹Duplice è l’obiettivo del Ministero. Innanzi tutto, informare i ragazzi sulle nuove norme del codice della strada. E poi avviare un percorso che affronti il problema della sicurezza non più in termini di repressione. Si ha sicurezza con la cultura della prevenzione e con quella della responsabilità››
Prevenzione e responsabilità: i due valori su cui pare punti la Meloni. Spampinato ricorda l’altro (e fortunato) progetto avviato dal ministero: Naso Rosso, cioè il servizio di accompagnamento a casa dei ragazzi un po’ alticci dopo i quattro salti in discoteca. Ci ricorda anche qualche dato. Siamo vicino allo stand: possiamo sentire anche le domande che i ragazzi rivolgono all’agente. In una manciata di metri danzano l’immagine della vita e l’immagine della morte. Spampinato ci spera che serva. Ci sperano in molti lì.
Arriva il sindaco. Prima se lo accaparrano i giornalisti. Stancanelli chiama accanto a sé Vaccaro,  un po’ defilato. Lo ringrazia. Ringrazia il ministro Meloni e ringrazia la MINI. Poi si va sotto lo stand. Stancanelli prende il microfono. I ragazzi ascoltano. Sorridono. La giusta velocità della vita, sotto il cielo di maggio.


Pubblicato il 18 maggio 2011 su CataniaPolitica

18 maggio 2011

Per Salvatore Niffoi i sogni non muoiono mai

di Antonio G. Pesce- Non muoiono i sogni. Semmai, si smette di sognare. Si smette di saper trarre dal proprio tesoro cose nuove e cose antiche (cfr. Mt 13,52). E quando si smette di sognare; quando l’uomo non sa più trarre nulla dal proprio mondo interiore, vuol dire che il deserto della barbarie è di molto avanzato.
Questo ultimo romanzo di Salvatore Niffoi, Il lago dei sogni (Adelphi, 2011), è opera tipicamente vichiana, perché è storia di storia. Ma anche inno alla letteratura fatto innalzato dalla letteratura stessa. La barbarie qui, e non l’umano, nasce, come in Vico, da un tuono, da uno sconvolgimento quasi divino. Un grande boato, un terremoto che ricaccia gli uomini di Melagravida nelle caverne di un’incoscienza spersonalizzata e spersonalizzante, dove l’incubo vero è la realtà monca in cui si vive. Monca, perché priva di quella spiritualità – il mondo interiore appunto – che è la parte più consistente del reale.
Perché, infatti, la realtà è tale solo se manca il sogno? Perché la terra dovrebbe avere ancora un senso, se mancassero sogni e progetti, speranze e illusioni, desideri e rimpianti – se mancasse lo spirito? La redenzione sta tutta lì, in quel lago Loconio, sotto il cui specchio d’acqua vive una civiltà dimenticata (obliata appunto dalla ‘tristura’ della terra, ma che, invero, ne rappresenta l’intimità). La dimenticanza della storia collettiva, che è anche dimenticanza di sé, dell’amore giovanile e delle speranze del futuro.
Itria Panedda Nilis le aveva perse entrambe. Un giorno, d’un tratto, quando il marito morì (o si diede per morto). Così cominciò a non vivere, quei giorni che il marito non avrebbe vissuto, sperimentando della vita la morte, ultimo capitolo certo, ma non l’unico. Eppure, la redenzione era alle porte. Lì, davanti a quello specchio. Lì dove si ri-comincia a sognare. E quando il sogno afferra Itria, comincia ad diffondersi per Melagravida, infettando innanzi tutto Martine Pajolu, col quale la giovane lo condividerà fino a quando i ‘bestioni’ non lo ‘sveglieranno’, appendendolo per il collo.
No, non si può più sognare. Il dio della Montagna – che non è il Dio di Itria né di padre Bruno, ma del mitologismo che incatena la gente del paesino – tornerebbe a tuonare e a falciare la vita. meglio vivere da morti che morire da vivi.
Eppure ormai gli eventi stanno precipitando. Il sogno è in Itria. Non la lascerà più. Ne uscirà dal ventre nove mesi dopo, portando il nome del padre, Martine. Ma ormai s’è sparso ovunque. È radice profonda nell’esistenza di Itria, che, abbandonato Melagravida, si trasferisce nelle sue vigne, vivendo di lavoro, certo, ma soprattutto di letture. Sogni. Sogni innanzi tutto degli altri, anche quando l’intero paese dice che senza letteratura si può vivere (o sopravvivere? e che vita è quella, insensata, della nascita e della morte a mo’ di bestia?). Ma verrà il tempo anche di ‘partorire’ i propri, ogni nove mesi come dei figli. Come quel figlio che con lei cresce, e che come lei si nutre di sogni. Egli figlio di un sogno che ha generato vita, innanzi tutto nell’esistenza di chi lo ha generato.
Il sogno, ormai, non giace più nascosto nel tempo. È tornato. Passa all’attacco. Il male indietreggia. Dopo un sogno Seppedda Palidda prende la decisione di redimersi, raccontando tutto il male commesso da don Severino Nodosu, il prete che non sa sognare e non vuole che si sogni. Ma il sogno colpisce, non distrugge. Risveglia. Chiusosi in convento, egli tornerà a sognare – forse sognerà per la prima volta – e morirà santo, sepolto accanto a Santu Sarvadore. A don Severino si rivolgerà Itria, ormai intrappolata nelle cripta, e il bacio sulla fronte della salma e la successiva salvezza suggellano la rappacificazione dei due nel Sogno. Forse il prete penitente, negli ultimi suoi giorni, poté leggere l’incunabolo del 1499, la cui ricerca aveva condotto Itria lassù in alto?
Ormai è tutto deciso. Per Itria è vicino il momento dell’incontro. Quello col marito, Tzesiru Baffia? Quello con gli extra-terrestri. Con gli ‘alieni’, con coloro che si sono resi stranieri a se stessi, perdendo la memoria, obliando il loro mondo interiore. Sono extra-umani, gente di un altro pianeta (o di un’altra parte del pianeta, o di un’altra epoca o, ancora, l’altra parte di ciascuno di noi – di noi uomini del XXI secolo), a cui il la razionalità scientista ha ‘disincantato’ il mondo: ‹‹Le nostre macchine – dicono – avevano segnalato la presenza di due persone che ai libri e alla scrittura hanno consacrato la vita intera. Senza volerne trarre alcun profitto. Esclusivamente per il loro piacere. Questo è un piacere che noi abbiamo perso con il progresso. Memorie artificiali sempre più sofisticate, monitor che hanno sostituito la carta. Automatizzate l’alimentazione e l’espulsione delle feci. Tutto in fretta, senza neanche capire dove si andava, felici di navigare con cavi, fibre ottiche, onde elettromagnetiche. I libri distrutti e condensati nelle potentissima memoria elettronica della Grande Mente. Distrutti anche giornali, fumetti e riviste. Distrutto quello che aveva a che fare con carta e inchiostro. Ma la Grande Mente un giorno si ribellò e andò in tilt. LO fece con cattiveria quasi umana, perché cancellò tutti i dati e poi si suicidò esplodendo. E così noi siamo rimasti orfani, senza storie, senza libri né parole. Ci eravamo abituati a cliccare e cercare, senza lavorare di fantasia, senza ricordare››.
Più d’una profezia andina, dovrebbe preoccuparci l’appiattimento del cuore alle imposizioni del raziocinio.
 

Salvatore Niffoi, Il lago dei sogni, Adelphi, 2011, pp. 155, € 18,00.














Pubblicato il 14 maggio 2011 su CataniaPolitica

16 maggio 2011

Se il Palazzo è a 'visione' alternata

Se il Palazzo è a ‘visione’ alternata 



di Antonio G. Pesce- L’altra sera, il giovane cronista, data la stanchezza, la fame e la mancanza di una doccia, ha dimenticato di fare una precisa analisi sulla trasformazione dell’homo politicus davanti alla telecamera. Lo fa ora, scusandosi con quanti avrebbero voluto leggere di ‘democrazia elettonico-virtuale’ (che non è una mala parola, ma la traduzione nazionalpopolare di e-democracy), ben sapendo che chi, alle due della notte, stava accoccolato nel proprio letto tra le braccia della propria dolcissima metà, non potrà capire il mal di capo di chi ha dovuto sorbirsi una trentina di discoli ragazzi.
Veniamo al dunque. Marco Consoli, presidente del Consiglio comunale di Catania, conclude sempre i lavori dell’assise, ricordando se la seduta successiva sarà o no coperta dal servizio televisivo. Il Comune lo ha appaltato al gruppo Megaproduction, che fa bene il lavoro che fa, e non si tratta di bieca solidarietà corporativa. Trasmissione sul digitale terrestre, sul canale D1channel e sul sito dell’azienda. Inoltre, sul sito del Comune, è possibile seguire la diretta. Non è chiaro se sia un servizio in proprio dell’ente, o anche questo curato dalla ditta appaltatrice.
Ora, non è difficile notare che la trasmissione ha mutato ogni cosa. L’altra sera, forse prendendo spunto dai signori deputati, i signori consiglieri richiamavano spesso l’attenzione di chi li ‘seguiva da casa’, dei cittadini che li ‘stavano ascoltando’, della comunità che li ‘stava vendendo’. E che siano abbastanza coscienti del fatto che ci siano un pubblico televisivo a disposizione, sembrerebbe indicarlo le stesse sedute non coperte dal servizio. Uno non è che vuole pensar male, ma in proporzione, sono quelle che si concludono cinque minuti dopo l’apertura per mancanza di numero legale.
È un male, questo protagonismo? O meglio: è solo un male? Ci sono cose in politica che, nonostante non siano un bene in sé, possono diventarlo se il cittadino, più che al moralismo, presti attenzione alla logica dei comportamenti umani. Chi vuole apparire, ha bisogno di un pubblico. E in Italia per troppi anni, nonostante comizi e manifestazioni, la politica non ne ha avuto. Bene o male, oggi è data la possibilità di sfruttare questo narcisismo democratico per un fine più grande, che è quello della partecipazione attività della cittadinanza.
Semmai, un cittadino (e con esso il mondo dell’informazione, se informa è innanzitutto una questione etica e non già lavorativa) dovrebbe battersi non contro gli istinti di altri esseri umani, che alla prova dei fatti si mostrano né meglio ma neppure peggiori di lui, ma perché le possibilità di controllo aumentino. In questo senso, non si capisce perché il Consiglio, nonostante abbia una pagina del sito comunale dedicata alla diretta, non possa trasmettere online tutte le sedute dell’assise consiliare. Ancora: non si capisce perché la stessa pagina non sia curata; che non si possano fare ricerche delle registrazioni passate; che l’ultima seduta possa essere visionata dopo parecchi (è un eufemismo!) giorni dallo svolgimento. Non solo, ma perché non è possibile visione i vari spezzoni, riguardanti i singoli interventi, durante la registrazione, nonostante siano indicizzati?
Questo è quel che non funziona. Ed è una questione meramente tecnica. Non gli istinti degli uomini, che hanno pregi e difetti e andrebbero tutti soppesati col bilancino del cuore.
Intanto, altri paesi e altre città si stanno organizzando, quantunque siano forti le resistenze all’apertura delle anguste sale consiliari all’occhio della gente. A quegli italiani che dicono tante cose, della cui conoscenza pare sicuro il politico di turno che la usa a suo piacimento. Ma che, in alcuni, casi, non sanno neppure come si svolga una seduta. Farglielo sapere, ancorché per proprio tornaconto personale, è un atto democratico. I mezzi ci sono. Speriamo ci sia anche la volontà.

Pubblicato il 13 maggio 2011 su CataniaPolitica

Tra assessori assenti e Sostare




di Antonio G. Pesce- Quando Rosario D’Agata (Pd) esordisce che vi è, in Consiglio comunale, un problema politico da porre, e lo fa con l’enfasi ciceroniana che lo contraddistingue, la pur poca esperienza suggerisce all’affamato, stanco, sudato cronista di telefonare a casa, e di avvisare che non lo aspettino per cena. E forse – ma si trattò in quel momento di una semplice intuizione – neppure per la buonanotte.
Infatti, inizia la battaglia. Il consiglio doveva iniziare almeno un’ora prima. Alle 19.31 Marco Consoli lo sospende per venti minuti, attendendo che per l’amministrazione si presenti qualcuno. Alle 19.50 riprendono i lavori, ma la cosa ha contrariato non solo D’Agata, ma anche il collega di partito Lanfranco Zappalà e il capogruppo dell’Mpa Salvo Di Salvo. Dove sono gli assessori Arcidiacono, Bonaccorsi, Pennisi e Vaccaro indicati dal sindaco come rappresentanti dell’amministrazione? Dei quattro c’è solo, puntuale, l’assessore allo sport Vaccaro. E Torrisi. L’assessore “ecologico” è presente anche se non toccava a lui essere in Aula. Di Salvo ringrazia Torrisi, altrimenti i lavori non avrebbero potuto svolgersi (e magari lo affamato, stanco, sudato cronista sarebbe stato a casa ad appena le 20).
I lavori però si fanno. Due comunicazioni squisitamente politiche, innanzi tutto. D’Agata, appunto, che invita la maggioranza a farsi vedere in aula, date le molte convocazioni saltate per assenza di numero legale, e Di Salvo, che si dice contento dell’incontro dell’Amministrazione con le parti sociali, ma invita il sindaco a passare dalle parole ai fatti. Poi, è il turno Manlio Messina, Pdl, chiede lumi su un cartello di divieto di balneazione vicino al solarium del lungomare, Piazza Europa, che presente da tempo immemorabile è stato ora abbattuto, da chi? Dalla natura? O dall’uomo (dipendente comunale) secondo il Corriere della Sera, e si trova tra gli scogli. Tranquilli: il bagno ve lo potete fare. E’ la risposta di Torrisi. Che però evidentemente non ha ben compreso la domanda. L’assessore verde ha spiegato che il cartello deve essere posto per legge, poiché lì vicino c’è una sbocco di acque bianche che, seppur bianche e non fognarie, comunque vanno segnalate. Inoltre, la distanza tra lo sbocco e il solarium è ragguardevole, e il cartello non è da riferirsi allo specchio di mare di fronte allo stallo. Si ma perché il cartello ora è stato abbattuto? Per non dare fastidio ai bagnanti del solarium, che potrebbero avere qualche dubbio salutistico nel fare il bagnetto?
La parola passa a Manfredi Zammataro (La Destra), ma sempre di solarium si parla. Perché quello della più bella spiaggetta di Catania – e nel descriverla, Zammataro ritrae meglio di Manet – cioè San Giovanni Li Cuti non è stato installato? La risposta dell’Amministrazione è semplice: siccome non ci sono tanti soldi, e a San Giovanni Li Cuti i residenti si sono lamentati del chiasso (me la lasciassero a me la casa, che a sopportare il chiasso ci penso io!), si è pensato di far fuori quello. Logico no?!
Francesca Raciti (Pd), comunica dello sbando in cui versa villa Pacini, e chiede ragguagli all’Amministrazione circa la videosorveglianza. C’è o non c’è? E se c’è, perché ci sono capre che vanno a pascolare in luoghi adibiti a persone civili, distruggendoli (non dice proprio questo, ma questo è il senso)? L’assessore Torrisi dice che sì, la videosorveglianza c’è ed è funzionante, ma registra e non è presente alcuna sala operativa, per impegnare nell’immediato una squadra di vigili urbani. Ora, Torrisi ci è simpatico, per carità. Ma se le telecamere funzionano, ci vuole tanto a visionare la villa, e a controllare le registrazioni, per vedere se qualcuno, non avendo altro da fare, ha pensato di fare uno scempio?
D’accordo, lasciamo stare, ed ascoltiamo Carmencita Santagati (Pdl). Intervento incentrato sul Palazzo di cemento: riqualificarlo è un segno di speranza per Catania. E quel palazzo è lì da anni (almeno un quarantennio, diciamo), e in degrado dal 1990. Che cosa hanno fatto le altre Giunte, non solo quelle di centrodestra, ma anche quelle di centrosinistra? Apriti cielo: le cateratte della polemica si aprono in aula, e il presidente Marco Consoli (Mpa) a stento riesce a riportare la calma.
Non è un serata calma. E tanto per calmarci, passiamo a Sostare. Per circa tre ore il dibattito verte sui vari emendamenti. Diversi vengono ritirati, altri non approvati. C’è un duro scontro tra Francesco Montemagno, Api (è un partito giuriamo) e Manlio Messina, che si punzecchieranno per tutta la seduta. Ma alla fine Messina sbertuccia le asserzioni di Montemagno evidenziandone le lacune sul CdS, Catania è praticamente tutta zona a traffico elevato (la Zona 1) e quindi non vale il rispetto delle proporzioni tra stalli blu e bianchi, e le smemoratezze politiche, è stata la giunta Bianco a inventarsi la cosa. Messina sbaglia solo a prendersela con l’abbigliamento di Zappalà: ci piace l’accostamento cravatta rossa con camicia azzurra.
Ma continua lo scontro. Arrivano i pompieri? Giacomo Bellavia, Pdl, non ci pensa due volte: ‹‹Stiamo solo perdendo tempo con una mozione, che non impegna più di tanto l’Amministrazione››. Vincenzo Castelli, Udc, si fa sentire dall’alto contro Montemagno, che riprende parola più volte. Saltano gli emendamenti sul resto (le macchinette non rimborsano l’esborso superiore alla sosta prescelta), sui quindici minuti di tolleranza, e quello de La Destra, che chiedeva di eliminare gli stalli presenti in carteggiata.
Quando la mozione torna nuda e cruda, così come era stata licenziata dalla II commissione permanente, ci provano D’Agata e Francesco Navarria, Scelta Giovane, a ricucire lo strappo. Ma è troppo tardi: la maggioranza non ne vuole sapere di votare quel testo originale, per quanto inizialmente approvato. La mozione non passa, nonostante un ultimo accorato appello di Navarria. Appello davvero, perché chiama e ringrazia i membri della Commissione che a quella mozione hanno lavorato. Ma è troppo tardi. Anche per l’affamato, stanco e sudato cronista.

Così hanno votato la mozione Sostare: (lì dove presenti due indicazioni, si tratta dei voti in primo e secondo appello)
Presenti 26
votanti 12
favorevoli 12
astenuti 14

Non approvato

Balsamo assente
Barresi astenuto
Bellavia astenuto
Bonica astenuto
Bottino assente
Calanna assente
Castelli astenuto
Castorina assente
Cimino assente
Condorelli assente
Consoli sì
Corradi assente
Curia assente
D’agata sì
Daidone astenuto
Davola assente – sì
Di salvo astenuto
Gelsomino sì
Giuffrida astenuto
Giustolisi assente – astenuto
La Rosa domenico assente
La Rosa epifanio sì
Livolsi astenuto
Lo presti sì
Marco assente
Marletta astenuto
Messina A assente
Messina M astenuto
Mirenda sì
Montemagno sì
Musumeci assente
Navarria sì
Nicotra assente
Parisi assente
Porto assente
Raciti sì
Santagati astenuto
Sciuto assente – astenuto
Sofia assente
Sudano astenuto
Trichini assente
Tringale assente
Trovato assente
Zammataro sì
Zappalà sì


Pubblicato il 12 maggio 2011 su CataniaPolitica

11 maggio 2011

Multiservizi, Tarsu e Pua

Multiservizi, Tarsu e Pua 



di Antonio G. Pesce- Aperto dal vice presidente vicario Puccio La Rosa, e proseguito con la presidenza di Marco Consoli, il consiglio comunale inizia con mezz’ora di ritardo. Nel dibattito, argomenti che scottano.
Manlio Messina (Pdl) ritorna sulle vicende che hanno visto coinvolti gli operatori della Multiservizi. Non è rimasto soddisfatto delle risposte avute dall’amministrazione nell’ultima seduta. Di 170 operai, solo 60 hanno accettato il contratto con la Dusmann. Perché, invece, 110 persone hanno scelto di non farlo, rimanendo disoccupate? Perché – dice Messina – quel contratto è umiliante: nella migliore delle ipotesi, quattrocento euro al mese a causa della riduzione del monte ore lavorativo. E non c’è neppure la speranza che le cose cambino: dal Ministero quelli sono i fondi stanziati per la pulizia nelle scuole, e quelli rimangono.
Messina non si ferma al caso specifico. Chiede di dare dignità ai contratti lavorativi con le partecipate comunali, e per farlo è necessario un cambiamento di rotta. Udite udite: assumere solo attraverso concorso pubblico, e audio-video registrare gli esami. Nonché, avere una commissione nominata da terzi.
Mizzica, gli riuscisse….!!!
Valeria Sudano, capogruppo del Pid, invece era un poco nervosa. Si è fatta scappare anche qualche espressione colorita (ma colorita per educande di inizio secolo: rimane una persona di garbo): gli è stata trasmessa la delibera della variante Pua senza alcun allegato, senza il supporto di alcun parare tecnico. Insomma – dice la Sudano – qui c’è qualcuno dei dirigenti che non vuole assumersi le proprie responsabilità, lasciando che ricadano tutte sull’aula. Per chi non lo avesse capito, la Sudano pone un problema serio: il ruolo del consigliere comunale è quello di prendere scelte politiche, ma avendone chiare le ricadute di natura tecnica (possono essere economiche, legali, ecc). A istruire il politico deve essere il tecnico con le proprie competenze professionali. Ovviamente, un tecnico che dice come stanno le cose, è un tecnico che dice sì o no politici. E, dal quel che si è capito, qualcuno non se la sente di farlo.
Ultimo a prendere la parola, Manfredi Zammataro (La Destra-AS), a cui proprio non è piaciuta la storia dell’aumento della Tarsu. E va bene che l’amministrazione deve far quadrare i conti, anche tenendo conto del taglio degli stanziamenti nazionali, ma farlo così proprio no, non gli piace. Il servizio non era granché, e tale è rimasto. Lo sanno i turisti, che Zammataro ha visto in piazza Duomo fotografare i rifiuti lì presenti (ci permetta, tuttavia, di fargli notare che, tra tante belle ragazze che si vendono in giro di questi tempi a Catania, lui è andato a beccare gli unici villeggianti cretini). E lo sanno i commercianti, che il mattino devono ripulire le strade piene di spazzatura non smaltita la sera precedente (verissimo: chi scrive ricorda una passeggiata romantica tra via Etnea e via Umberto nel mezzo di cumuli di immondizia un venerdì sera).
Quindi, figurarsi se si possa approvare un aumento. E, poi, neppure il metodo va bene, oltre che il contenuto. Si prendono decisioni, senza averne discusso con il consiglio e con le associazioni dei consumatori.
La replica dell’amministrazione è stata affidata all’assessore Carlo Pennisi, anche perché si doveva discutere dei debiti fuori bilancio del comparto dei servizi sociali. Pennisi ha ‘registrato’ il malcontento di Messina, ma ha fatto sapere che il sindaco e l’amministrazione hanno avuto molta attenzione per il caso: attenzione non sempre accompagnata da notizie veritiere su ciò che si poteva fare. Alla Sudano, che aveva chiesto conto anche del ritardo del piano commerciale, ha garantito la sollecitudine del sindaco nel seguire il caso (affidato, è bene ricordalo, alla gestione di un commissario regionale), e a Zammataro ha ricordato che l’aumento della Tarsu è imposto dalla legge, che obbliga alla copertura integrale del costo del servizio con la suddetta tassa. Infine, ha parlato del ‘debole amore’ a Catania per la pulizia delle strade, e del fatto che ancora nulla di concreto è stato deciso, e che il sindaco si è limitato, colle sue dichiarazioni, ad aprire un dibattito.
Chiuso il dibattito.

Pubblicato il 7 maggio su CataniaPolitica

Il cappio della povertà in Sicilia

Il cappio della povertà in Sicilia 



di Antonio G. Pesce- Ieri lo ha dichiarato l’assessore regionale Massimo Russo: la Sicilia non darà il proprio assenso al riparto del Fondo sanitario nazionale 2011, se non verrà autorizzata ad utilizzare 685 milioni di fondi Fas per ripianare un debito di oltre duemiliardi e mezzo di euro contratto in campo sanitario.
Non è la prima volta che accade qualcosa del genere. Nel 2009 il senatore e sindaco di Catania, Raffaele Stancanelli, intervistato da un tizio che di professione fa il giornalista e che di notizie ci campa, dichiarava candidamente che sarebbero arrivati 140 milioni di euro (sempre Fas) per coprire il deficit catanese.
C’è di strano, in tutta questa faccenda, che i fondi Fas (fondi per le aree sottoutilizzate: insomma sottosviluppate, ma non lo si dice) dovrebbero servire a creare ricchezza, non ad alimentare povertà. Non dovrebbero servire a ripianare debiti, i quali intanto non dovrebbero essere contratti, e se ci sono, andrebbero superati con una riforma strutturale. Che – è evidente – in Sicilia porterebbe a considerare ospedali, reparti e ambulanze come qualcosa di diverso da un ufficio di collocamento. E questo non lo si può fare, perché dal dirigente sanitario al primario, fino all’ultimo barellista tutti tengono famiglia.
Lo stesso mi è stato detto l’altro ieri, quando tentavo di spiegare l’inutilità (tranne che per il politicante di turno) dei cantieri scuola. Cercavo di far capire che, in quel modo, la povertà alimenta altra povertà, che sarà pagata da altrettanta povertà. Ovviamente l’ho spiegato in modo più piano, ma il concetto quello rimane: c’è chi ha bisogno di lavorare, e che cosa gli si dà? Non un lavoro, né la possibilità di qualificarsi per trovarne uno, ma solo un paio di mensilità. Che, se non già da chi li incassa, saranno scontati dai figli.
È un cappio che ci sta soffocando. Non riusciamo ad uscirne. Non ci riusciamo, perché la miglior arma per soggiogare un popolo è affamarlo, frattanto che, di tanto in tanto, si sfama qualcuno. È il delinquente che tiene un pugno una massa di gente, sol perché egli ha una pistola: chi il fesso che si becca il primo colpo? Intanto, continua la fiumana che porta via migliaia di giovani siciliani. Ad andar bene, li accolgono Londra, Parigi, Monaco, New York. Se va male, finiscono a doversi scusare della loro presenza in qualche valle padana.

Pubblicato il 6 maggio 2011 su www.cataniapolitca.it

7 maggio 2011

NEWS - Và, Pensiero! Filosofia e Risorgimento - Ciclo di seminari L.E.I.F (Catania)

Nel quadro delle celebrazioni del 150esimo anniversario dell’Unità nazionale, il Laboratorio di Etica e Informazione Filosofica (L.E.I.F.) della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Catania organizza un ciclo di seminari, dal titolo «Va Pensiero! Filosofia e Risorgimento», aventi come argomento l’analisi filosofica di tematiche morali e politiche del nostro processo unitario.
Il primo degli incontri, il 10 maggio, vedrà come relatore il prof. Santo Burgio, docente di Storia della cultura europea, e avrà come tema: Cattolici contro il papa-re: il caso Passaglia. Seguirà il 17 maggio l’incontro con il prof. Giuseppe Bentivegna, docente di Storia della filosofia, che parlerà del Risorgimento meridionale: tematiche di ricerche e prospettive storiografiche.
Il seminario del 16 giugno sarà tenuto dal prof. Giuseppe Pezzino, docente di Filosofia morale, sul tema: Una lettura liberale del Risorgimento: B. Croce e G. Gentile. Conclude la prof.ssa Maria Vita Romeo, docente di Filosofia morale, con un seminario dal titolo ‹‹Io non sono Gesuita: la morale che professo è quella dell’Evangelio». Ideale politico e polemica religiosa in V. Gioberti.
Gli incontri si svolgeranno nella sede del L.E.I.F, stanza 260/1 dell’ex Monastero dei Benedettini, alle ore 10.

6 maggio 2011

Consiglio comunale di Catania, tra tasse e polemiche

Consiglio, tasse e polemiche 
 

di Antonio G. Pesce- Vi risparmieremo due cose del Consiglio comunale di Catania svoltosi ieri sera. Innanzi tutto, gli auguri al neo sottosegretario al lavoro, Nello Musumeci, perché glieli hanno fatti tutti ma proprio tutti. Inoltre, la discussione e il voto sull’ordine del giorno. E non perché fosse mera formalità: figurarsi. Si parlava di debiti, e di debiti fuori bilancio. E di debiti contratti, tra le altre motivazioni, per questioni sociali. In alcuni casi, per aiutare sfrattati a cui la legge stessa impone di dare soccorso. Quindi, roba che scotta. Ma sono una sfilza di debiti, e in ballo c’è dell’altro: c’è da sapere se non ne siano stati contratti degli altri frattanto (e Rosario D’agata, capogruppo Pd, è sicuro di sì), e come Carlo Pennisi voglia riprendere in mano un assessorato, quello ai servizi sociali, che da sempre si è mostrato senza briglie.
Sarà per un motivo o per un altro, davanti al primo emendamento della prima delibera è venuto a mancare il numero legale. E nulla di fatto neppure nella ripresa dei lavori, alle ore 22.55. A tenere banco, però, durante la solita fase iniziale dei lavori, cioè quella dedicata alle comunicazioni, è stata la dichiarazione del sindaco, Raffaele Stancanelli, riportata da diversi organi di stampa, tra cui il nostro giornale CataniaPolitica, di volere – o dovere – aumentare la Tarsu e di voler introdurre una tassa di soggiorno.
Gemma Lo Presti si è mostrata assolutamente contrariata della tassa turistica. Catania ha una forte vocazione al turismo, ma fino ad oggi che si è fatto – si è chiesto il consigliere de La Destra-Alleanza Siciliana – per far diventare reale questa potenzialità? Più possibilista Manlio Messina, che ha, innanzi tutto, fatto notare come sia ‘una cattiva abitudine’ quella di informare il Consiglio comunale per mezzo stampa. Ma sulla tassa di soggiorno ha chiesto garanzie: destinare il tutto all’incremento dei servizi turistici. Carmencita Santagati, capogruppo Pdl, si è mostrata del tutto favorevole: è una questione di responsabilità – ha detto. L’importante è che l’aumento della Tarsu non incida sui ceti meno abbienti. Per quanto riguarda la tassa di soggiorno ha fatto notare la capogruppo Pdl che , in fin dei conti, è una cosa ‹‹che va valutata attentamente››¸ perché, anche se per una notte, il turista che giunge in città usufruisce di servizi che sono, normalmente, pagati dai cittadini.
Questi i due problemi lungamente dibattuti. Neppure il Pd si è sottratto alla discussione con Lanfranco Zappalà. Ma l’intervento, foriero di un’aspra polemica, è stato quello del consigliere Puccio La Rosa. Ironicamente ha chiesto: dov’era il sindaco Stancanelli, nonché senatore, quando la finanziaria del governo Berlusconi decurtava a Catania 18 milioni di euro di stanziamenti, in nome del federalismo fiscale? Perché l’ha votata? E poi: non è pure membro della commissione bilancio del Senato? Non se n’è accorto di quanto stavano togliendo alla sua città?
La stoccata di La Rosa, però, non sarebbe rimasta senza replica. Dopo il vicesindaco Luigi Arcidicano, prendeva la parola l’assessore al Bilancio, Roberto Bonaccorsi, che dava alcune risposte. Primo: la tassa di soggiorno – è previsto dal legislatore – deve andare interamente all’incremento del turismo, e per questo è stata pensata. Se ne può parlare, ma questi saranno i termini: il gettito interamente allo scopo per cui sarebbe introdotta. Secondo: la Tarsu non viene aumentata per una decisione unilaterale della giunta Stancanelli. La verità è che il legislatore, la corte dei Conti, l’assessore regionale al ramo hanno indicato chiaramente, che lo smaltimento dei rifiuti deve essere coperto integralmente dalla Tarsu.
Fin qui, dialettica. Ma l’affondo di Bonaccorso arriva: ‹‹Non voglio difendere Stancanelli – afferma sornione – perché ne ha le capacità per farlo da solo. Ma vorrei ricordare al consigliere La Rosa, che il taglio dei 18 milioni di euro di stanziamenti a Catania risale al maggio dell’anno scorso….››. Ed è arrivato, a questo punto, pure la replica di La Rosa. Seppur richiamato più volte dal presidente del Consiglio, marco Consoli, si è sentito distintamente: ‹‹Saremo durissimi….››. Per chi non lo avesse già capito (ma sono in pochi, e lo stesso Bonaccorsi, sorridendo, ha evitato di completare): nel maggio del 2010 gli esponenti di Fli erano ancora nel Pdl. Dunque,….
Consoli impiega un po’ a riportare la calma in aula. Per fortuna, anche il consiglio di Catania ha avuto il suo momento di pace: un minuto di silenzio, chiesto da Rosario D’Agata, per ricordare Vittorio Arrigoni, il pacifista ucciso a Gaza.

Pubblicato il 5 maggio 2011 su Cataniapolitica

4 maggio 2011

Il Pd traballa (Lombardo pure)

Il Pd traballa (Lombardo pure)
Antonio G. Pesce- Ci prova Enzo Bianco, ma proprio non gli riesce. Non gli riesce di essere d’accordo con questo Pd siciliano. Che ieri era in conclave con l’inviato ‘romano’ Maurizio Migliavacca. E per decidere cosa? Che, poiché il Lombardo-quater mostra luci ed ombre, e la finanziaria è stata tanto ‘leggera’ che quasi non si è vista, allora è giunto il momento di ammetterlo: ‹‹quella del governo tecnico è una stagione in esaurimento››.
E per tutta risposta, si sonda il campo: vedere se ci sono le condizioni per un governo politico. Perché qui, sempre a sentire indiscrezioni, il Pd punta a ‘elaborare’ una propria strategia alternativa a quella berlusconiana, facendo della Sicilia un laboratorio nazionale. Insomma: prove ‘politiche’ di grande coalizione, una specie di Cln che, visti i presupposti, non si sa bene se fatta per mandare a casa Berlusconi, o per regalargli l’ennesima vittoria facile.
A leggere il comunicato di Bianco, diramato a fine riunione, si intuisce la battaglia interna: «Esprimo profonda soddisfazione per quanto deciso su quattro punti salienti: 1) è stata dichiarata conclusa, “esaurita” la stagione politica del sostegno al governo tecnico della Regione; 2) un’alleanza politica che dia vita a un governo sostenuto da tutte le forze che si oppongono a Berlusconi non potrà che essere sancita da una legittimazione democratica che passa per il voto; 3) è stata fissata al 19 giugno la data per l’approvazione del regolamento per il referendum sul sostegno al governo Lombardo, al quale potranno partecipare tutti gli elettori del Pd che lo desiderino come stabilito dallo Statuto del partito; 4) è stato deciso che il referendum si terrà entro fine settembre. Per queste ragioni – ha concluso Bianco – abbiamo condiviso la proposta avanzata dal coordinatore della segreteria nazionale Maurizio Migliavacca e del segretario regionale Giuseppe Lupo››.
Bianco e, con lui, quelli che i referenda li hanno davvero promossi – pensiamo al senatore dell’ennese Mirello Crisafulli – sperano di risolvere la faccenda con l’ennesimo ricorso al voto interno. Ma da qui a settembre ci sono quattro mesi. E nel frattempo? Nel frattempo Lombardo potrebbe fare il suo quinto governo. Ci metterebbe dentro un paio del Pd – anche qualcuno in più -, di Fli e, se è possibile, dell’Udc. Saremmo appena a fine maggio, inizi giugno. Mancherebbero ancora tre mesi. Tre mesi in cui ‘sperimentare’ il rito collettivo del suicidio. Perché un governo del genere non servirebbe a nessuno, tranne forse al Pdl.
Non servirebbe al Pd. Il governo tecnico si può ancora giustificare con la scusa di far ripartire l’economia siciliana – e anche su questo ci sarebbe da discutere, se i risultati sono poi questa finanziaria qui…. Ma quello politico? Con Lombardo inquisito tra l’altro. Fanno presto Giuseppe Lupo e Antonello Cracolici a dire che le vicende giudiziarie del presidente della Regione non li riguardino: non è questo che il Pd dice e ha detto in circostanze simili, anche nei confronti di Lombardo che – è bene ricordarlo – a sinistra è stato a volte perfino diffamato. E se poi arriva il rinvio a giudizio? che si dirà? che la magistratura ha sbagliato? O si pensa che, siccome è alleato del Pd, questo non potrà mai accadere?
Non conviene a Fli, soprattutto in questo momento. Sarebbe come provare la collusione col nemico. Alleanza amministrativa? Per favore, serietà! Amministrare la Sicilia significa amministrare il 10% della popolazione italiana. Non sarebbe un accordo che si possa far passare come una delle tante alleanze che i fratelli-cortelli dell’ex Pdl unitario faranno per le prossime amministrative.
Non converrebbe allo stesso Lombardo, il quale più d’una volta ha saputo giocare d’anticipo, anche con un certo coraggio. A dire il vero, già la sta tirando troppo. Forse non gli regge il partito – Lombardo non è uno sciocco, è un politico di razza. E stupisce che non veda come la confusione lo stia immobilizzando, e come l’immobilità sia sinonimo di rigidità cadaverica per chi governa. Se dunque è troppo ora, figuriamoci con una grande coalizione grandemente traballante.
E con un Pd che non chiarirà facilmente la sua linea. Enzo Bianco lo scrive, e pure Enzo Bianco è uno di quelli che ci sa fare:‹‹Per queste ragioni abbiamo condiviso…››. Cioè, perché ogni ipotesi di coalizioni passi per le urne e un appoggio a Lombardo dal referendum interno. Altrimenti, una fetta del Pd sarà traballante come le pendici da cui proviene. E nelle quali aveva già affrontato colui che ora, obtorto collo, si trova a sostenere.


Pubblicato il 3 maggio 2011 su CataniaPolitica

Sondaggione bollente

Sondaggione bollente 

di Antonio G. Pesce- Il lettore attento, che in questi ultimi due anni è campato di pane e CataniaPolitica, si ricorderà quanta insistenza, da parte nostra, nel dire che i sondaggi non hanno – non ne possono avere – valenza scientifica. Non si torna indietro: neppure questo sondaggione ne ha punto. Questo però non significa, ovviamente, che non abbia valore politico. Sicuramente, cioè, non dice come stanno realmente le proporzioni elettorali, ma indica quale possa essere lo schieramento delle forze. Proprio perché CataniaPolitica non è un giornale di parte, e proprio perché tutti ci riconoscono una certa indipendenza, qui si danno appuntamento gli elettori delle più svariate formazioni politiche. Cioè giovani e meno giovani che, come vedono il web campo di militanza, vedono la competizione elettorale come un momento di prova, durante il quale spendere energie.
Non è il voto nel nostro sondaggione che conta. Conta che, mentre certi partiti danno appuntamento ai propri simpatizzanti sul nostro fogliaccio, gli stessi mobiliteranno forze che altri non avranno. La politica non è un ballo per debuttanti: è fatta per gente che va in giro a raccattare anche un voto, perché in democrazia, piaccia o no, alla fine le teste si contano e non si spaccano.
E, se all’impegno sul web ne corrisponderà uno simile per le vie della città, qualcosa potrebbe accadere. Qualcosa di (apparentemente) insensato. Partiamo da Scelta Giovane. Da mesi era evidente la loro attività: a Catania città e in quell’immenso hinterland che è la metropoli catanese. Possono piacere o no – sotto il sondaggione, una miriade di critiche e di complimenti: ognuno scelga la propria parte – ma non si può negare che hanno una vitalità, che nelle altre formazioni pare un poco appannata. E che dire di Fli? Potrei scrivere per ore contro Fini e i suoi sodali a Roma, elencarvi centinai di sondaggi che danno i futuristi boccheggianti a Catania, ma resterebbe comunque il fatto che, per quanto piccolo, il loro partito si è fatto sentire anche nel piccolo di questo fogliaccio.
Ora, facciamoci una domanda: perché Pdl e Pd sono sotto? Si dirà: ma il sondaggio non è scientifico! Tante grazie: lo so da me. Quello che però si dovrebbe spiegare, è perché dei quasi 15mila lettori di Catania Politica, e tra il mezzo migliaia di votanti, i due partiti più grossi abbiano racimolato meno di due neonati movimenti? Non avrebbero dovuto far man bassa di voti e schiacciarli? Se non si è fedeli nel poco, si potrà essere fedeli nel molto?
Un’altra obiezione si può fare: il Pdl e il Pd hanno un elettorato più ‘tradizionale’, meno legato alla formazione e informazione virtuale. Più gente di una certa età, insomma, che naviga meno spesso. Bene. Incassiamo: siamo un giornale di under-40. Ma un under-40 non rischia di avere una marcia in più, e di tirarsi dietro l’intera famiglia, avi compresi? Inoltre, chi crede che si vincano le elezioni con gente che, in pancetta e giacchetta, va a votare, non solo misconoscere la storia, ma si condanna all’oblio. Il Pd ha vinto, quando aveva il calore dei ‘giovani’ (e meno giovani) che riempiva pullman, piazze e, conseguentemente, seggi. Il Pdl ha stravinto, quando Berlusconi ha saputo crearsi la sua ‘comunità’ – adepti, devoti, militanti: ognuno dica quel che vuole, non cambia di molto la faccenda – dandole una direzione (che, per quel che mi riguarda, fu già allora discutibile).
Scelta Giovane e Fli hanno una loro comunità. I due grandi partiti no, o troppo dilaniata al proprio interno. Ovviamente, alla fine la partita sarà sempre quella. Non sappiamo che coalizioni ci saranno. Al di là di tutto, vincere in colazione è una mezza sconfitta: chi può, vuole vincere innanzi tutto da solo, o quanto meno dimostrare la propria potenza. E le due neoformazioni potrebbero essere due spine nel fianco. Conviene rischiare? Non sappiamo quanto tempo ci divida delle amministrative a Catania. Ma fossi un dirigente del Pdl o del Pd, incomincerei a coagulare forze fresche attorno al mio progetto, e rivitalizzerei quelle già esistenti. Signori: in politica la forza genere altra forza. E se uno si mostra debole, anche una sola volta, è come una gazzella zoppa. Non si aspetti l’alba sulla savana per ruggire e per cominciare a correre….


Pubblicato il 2 maggio 2011 su CataniaPolitica

3 maggio 2011

Ducismo italiota

Di buono (e mi scuso preventivamente con le menti belle che leggono) la guerra in Libia lascerà soltanto la chiarezza delle parole. Non c’è più ‘anima pia’ che non usi lo schietto vocabolo che richiama l’altra faccia della storia umana. Sono finiti nel dimenticatoio parole come ‘ingerenza umanitaria’, ‘forza di interdizione’, o la più poetica ‘operazione di polizia internazionale’.
La Costituzione, appunto. Fino a ieri, ci raccontavano che la colpa del suo deterioramento fosse da imputare soltanto al Cavaliere nero di Arcore, sempre pronto a tentare un putsch come se Palazzo Chigi fosse una birreria di Monaco. Oggi non so quanti possano sostenere che il male che nuoce gravemente alla salute della democrazia italiana sia raccolto in un pacchetto di voti, per quanto consistente, assiso su un tacco di dieci centimetri. Il linguaggio della politica si è fatto molto più complesso di quanto i benpensanti siano disposti a concedere, e l’analisi che se ne può fare lascia poco spazio a diagnosi alternative: siamo un popolo malato di ducismo.
Qualche settimana fa Asor Rosa ha lanciato la sua brillante idea: ristabilire la democrazia, cancellandola. Come principio logico fa qualche grinza, ma l’illustre accademico è notoriamente un nostalgico dell’Armata Baffuta e il Manifesto delle primavere passate, tanto da volerne suscitare una in casa nostra. Stupì, invece, non solo il plauso della piccola intellighenzia, quella che sui social network lamenta la mancanza di libertà e l’incombente terrore ad opera di un barzellettiere, ma addirittura che un ragionamento in sé alquanto bislacco, venisse appoggiato da un pezzo a firma di Gianni Vattimo, uno dal ‘pensiero debole’ ma – apparentemente – dalla mano forte, apparso sul giornale che, più degli altri, ha fatto della legalità la propria bandiera. Che copulare a pagamento e ritoccare bilanci sia più pericoloso che un centinaio di carri armati per le vie di Roma? Che un generale sia meno inquietante di una signorina dai modi civettuoli?
È evidente ormai: per un ‘Paese civile’ sono più disdicevoli le sfilate dei perizoma che quelle dei galloni, più le indiscrezioni sessuali che i ragionamenti golpisti. Tra qualche decennio, quando di questa partita speriamo sarà finito pure il tempo di recupero, salterà all’occhio attento della blatta da emeroteca lo scempio che si è fatto della Costituzione, senza peraltro che i suoi detrattori fossero coscienti del loro ruolo.
Non è nelle mie corde il ‘costituzionalismo’ quale ideologia politica. Non penso che si possa giustificare, in uno Stato liberale, la sacralità di qualche testo. Ma non mi è estraneo il rispetto delle regole, e quello della logica dei comportamenti (meglio conosciuta come ‘coerenza’), soprattutto quando sono sobrio e non appesantito da giorni di crapule festaiole. Abbiamo preso una brutta china, e ce ne pentiremo. La prudenza, che è la virtù essenziale della politica, avrebbe dovuto imporci di soppesare ogni passo. Ci siamo messi a correre, invece. Non è difficile pensare che, primo o poi, sul lastricato della storia lasceremo spalmato mezzo ginocchio.
Basti pensare al dibattito sul ‘legittimo impedimento’, contro il quale è pronto un referendum – l’unico su cui non ci sono contromosse da approntare. Per alcuni, non c’è motivo per cui il presidente del Consiglio debba avere più garanzie di un qualsiasi ministro; non è scritto da nessuna parte (semmai si può dedurre il contrario) che un soggetto, nell’impossibilità di poter coniugare governo della nazione e disbrigo delle proprie pratiche penali, non possa essere sostituito; dimessosi un premier, insomma, se ne fa un altro, senza peraltro passare dalle urne. Questo prevede la Costituzione. Questo è vero. È vero da quel primo gennaio del 1948. Ma allora perché scannarsi in una guerra fratricida, per trovare l’uomo giusto da contrapporre al Cavaliere? Perché salire su pullman, andare in bicicletta, lanciare slogan dal vago sapore americano, se tutti i giochi vanno iniziati e finiti in Parlamento? Perché ad un volto giustapporne un altro? Ad una squadra un’altra? Ad una ‘pianificazione’ (alias ‘programma’) una diversa?
Giusto o sbagliato (come penso) che sia, in questi vent’anni abbiamo confuso la chiarezza con lo spettacolo. Non sono moralista: distinguo, soltanto, la commedia dell’umano dalla farsa del potere. Tuttavia, da persona che su un palco c’è salita, seppur ai tempi dell’oratorio, so bene che il miglior modo di non arrossire è restarsene dietro le quinte. Altrimenti, prima o poi capita di calarsi troppo nella parte da sembrare ridicoli nei momenti di pausa.
E se almeno dessimo l’impressione di volerci fermare qui, potremmo ancora (ma in parte) rimediare. È che pare che il passo, pian piano, si stia facendo sempre più lungo della gamba. Pensiamo all’art. 11 della Costituzione. È fuor di dubbio che permetta operazioni militari. Ma è altrettanto indubbio che ogni testo, se espunto dal contesto in cui è stato prodotto, può dire ogni cosa. Davvero i bombardamenti, per quanto intelligentissimi, rientravano nelle intenzioni dei padri costituenti? E fornire armi ed addestramento militare ad una parte della popolazione contrapposta ad un’altra, sono quelle ‘operazioni di polizia internazionale’ che potrebbero essere accettate dal succitato articolo? Insomma: le risoluzioni dell’Onu a quale diritto possono divenire la chiave ermeneutica del dettato costituzionale italiano?
Non c’è testo, in una democrazia, che non possa venire riscritto. C’è solo una regola da seguire: discuterlo. C’è, infatti, chi preferisce la lingua al pugno.

Pubblicato il 3 maggio 2011 su TheFrontPage