"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

22 dicembre 2008

LA PREVEDIBILITA' DEL MALE



Il male è banale. Banale perché ripetitivo, scontato, facilmente prevedibile. Hannah Arendt ci lascia una grande lezione, ma non subito è stata capita: c’è voluto del tempo. Cristiani, musulmani o ebrei che si sia, fa parte delle nostre più scontate intuizioni che il Bene sia qualcosa di
grandioso. E lo è. E lo è perché trascende la minuta esperienza umana. Il male no, non trascende. È immanente all’atto con il quale lo si compie. Fine a se medesimo. Non mette capo a nulla, e nulla vi ha messo capo, almeno in un senso ontologico.
Ma siamo un poco manichei: ci aspettiamo che, come esista un solo principio del bene, ce ne sia uno pure del male. Errato. Lo sapeva la Arendt, attenta studiosa di S. Agostino, per il quale il male è assenza di bene. Assenza, non presenza. Scrive: “Fatta eccezione per ciò che non esiste, non esiste un essere contrario all'essere che è nel grado sommo e da cui sono tutte le cose che sono. All'essere è infatti contrario il non essere. E pertanto non esiste una essenza contraria a Dio, cioè alla somma essenza e creatore di tutte le essenze qualunque esse siano.”(De civitate Dei XII,2).
Il male non gode della grandiosità del Bene. Perché non ha altrettanta basa su cui poggiare. Possono esserci varie spiegazioni. Di mezzo c’è sempre la libertà. Tuttavia, una prima spiegazione può essere quella di pensare il Bene Creatore come causa e gli enti come effetto: il Bene crea liberamente, e la libertà entra, dunque, a far parte dell’effetto, anche se in un modo affatto diverso da come è presenta nella causa. O ve n’è un’altra di spiegazione: anche Dio, quando gli capita, rischia. Quando amiamo qualcuno, quando ci fidiamo di una persona, quando scommettiamo su di essa, noi abbiamo fede, ed avere fede è ponderare la portata del rischio: la scommessa di Pascal è il più perfetto calcolo probabilistico. Non è cieco affidamento, ma sensata fede. Scommettere non è come tirare a sorte. Si sceglie il cavallo migliore: non è detto che vinca sicuramente. È probabile. Su quattro Arcangeli, l’autonomia dell’amore originario è tramutato in odio solo in uno. Dio sa scommettere.
Ma Dio sa scommettere perché ha fantasia: vede tra le fessure della necessità il barlume del possibile. E vedere il possibile è, per Dio, plasmarlo come il necessario, e forse più, giacché il possibile è possibile per l’uomo, e quando il possibile diventa per l’uomo ciò che è, allora la fantasia di Dio e la volontà dell’uomo coincidono. Il male non sa essere fantasioso né libero: fantasia e libertà sono entrambe segni tangibili dell’infinità dell’Essere. Nell’uomo, pur nella sua finitezza, il Bene offre sempre una gamma di azioni di gran lunga più ampia di quella che offre il male. Il male non è creatore dell’ente: ne può diventare perfino padrone, ma non gli darà mai i natali. E questo ne limita la portata: può asservire ciò che è, ma il suo potere sarà sempre quello delimitato dall’orizzonte dei suoi servi. Il Bene disegna il mondo, il male lo subisce.
Ecco perché non è difficile immaginare il male che si sta compiendo proprio in questo istante, mentre innumerevoli sono gli anfratti delle tenebre in cui s’insinua la luce del Bene. Ecco perché i giornali diventano, leggendoli nel tempo, così noiosi da non meritare più nemmeno l’attenzione di chi li scrive: tant’è, che quel che capita nel mondo trova subitanea collocazione nell’attenzione delle diverse redazioni. I vari caporedattori sanno come spartirsi le bravate del signore di questo mondo.
Ecco perché non è neppure tanto arduo preventivare il male che gli altri ci faranno, le delusioni della vita, gli errori, ecc. Tutto scontato. Alla fine il rischio è che ci si faccia il callo. Però, quando una parola inaspettata, un gesto inatteso fanno vibrare le giuste corde, la meraviglia si serve dell’imprevisto per aprirci ad un orizzonte che si celava nella ruggine del quotidiano.
Le due pettegole incontrate alla fine di una via erano già messe in conto già prima di voltare l’angolo: non il loro viso, non le loro parole, ma la pietra d’inciampo la si poteva ben calcolare. Stupisce ancora oggi – e sono millenni che se ne parla – dell’amore che l’amico scopre e il sorriso che lo bandisce al mondo.



21 dicembre 2008

GIANFRANCO FINI, LE LEGGI RAZZIALI E LA CHIESA: CONSIDERAZIONI DI UN POLITICO (FINITO)

Il sangue chiama. E per non dargli ascolto, alcuni gli gridano sopra. Ed è così che l’on. Gianfranco Fini, oggi presidente della Camera dei deputati, non potendosi liberare di ciò che è stato, tenta di essere ciò che non potrà mai diventare, e cioè un maestro credibile di quell’antifascismo che, fino al 1994, egli vedeva come la peste che ammorbava la politica italiana.

In parte a ragione, perché con la scusa dell’antifascismo sono stati per anni, fino alla presidenza Ciampi, guardati con sospetto la fierezza nazionale e i suoi simboli, quell’inno e quella bandiera che non rappresentano alcuna esaltazione nazionalistica di forza e violenza, ma le note di una marcetta, forse, e i colori di un drappo che hanno accompagnato la rinascita della nostra Patria dalle miniere belghe ai campi di calcio tedeschi. E sempre in nome dell’antifascismo, i barbari, dismessi i colori degli sconfitti, ed indossati i panni dei vincitori, hanno goduto per anni degli allori della libertà italiana, quando, l’avessero avuta vinta a Yalta, in Italia nulla sarebbe cambiato all’indomani del 25 aprile. Lo stesso raccontare talune vicende è costato offese ed insultati ai coraggiosi della penna – e penso a Giampaolo Pansa, dileggiato e accusato di aver tradito il santo dogma su cui si fonderebbe questa chiesa postfascista, come se la differenza non fosse fatta dalla dignità umana e dalla libertà, ma da chi comanda gli eccidi e azzittisce le opposizioni.

Gli antifascisti che hanno vinto non sono tutti quelli che hanno battuto i fascisti, ma coloro che, anche sembrando degli illusi, hanno scommesso su questo mondo, su quel mondo che da la possibilità a questa cloaca di burocrati di stato di dire quel che dice. Non i figli di Stalin, ma i soldati regi e tutti gli antifascisti che, oltre i massacri del XX secolo, hanno saputo vedere la prosperità tribolata degli anni venturi maturare come grano sotto la coltre della libertà.

Questa è l’unica verità. La verità su cui si fonda la nostra Repubblica. La verità che, purtroppo, non si scopre a scuola, ma lentamente, quasi fosse un incontro della vita– e a volte è anche un bene, perché diventa patrimonio non solo di una comunità, ai cui costumi ci si può adeguare anche per vile tornaconto politico, ma di un individuo che ne sposa la storia, la fa sua, e la afferma quale scelta morale irreversibile.

L’on. Gianfranco Fini, che ricopre malamente la terza carica più alta di questo Stato, più degnamente rappresentato dal sudore del lavoro e dall’ingegno della penna che non dalle manovrine dei suoi politici, l’altro giorno, ricordando il settantesimo anno dalla promulgazione delle leggi razziali in Italia, ha dichiarato: ”L’odiosa iniquità delle leggi razziali si rivelò in modo particolare contro gli ebrei che avevano aderito al fascismo. Ma l’ideologia fascista non spiega da sola l’infamia delle leggi razziali. C’è da chiedersi perché la società italiana si sia adeguata nel suo insieme alla legislazione antiebraica e perché, salvo talune luminose eccezioni, non siano state registrate manifestazioni particolari di resistenza. Nemmeno, mi duole dirlo, da parte della Chiesa cattolica”. E se non fosse stato per quel riferimento alla Chiesa, è probabile che l’episodio sarebbe stato inscritto come ennesima puntata di una commedia, recitata male, scritta peggio, di una aspirata legittimazione che, col tempo, tramuta in ridicola comicità.

Perché Fini che fa scuola sulle leggi razziali alla Chiesa, è come se alla clarisse avesse fatto la morale Moana Pozzi.

Ridicolo. Perché un uomo che scopre a quarant’anni di aver sostenuto idee sbagliate sarà pure stato sincero, ma sarebbe stato pure onesto se si fosse ritirato a vita privata. E invece, colui che fino al 1990 diceva di credere ancora nel fascismo, oggi sale in cattedra a raccontare una storia che egli per primo, e a seguire i suoi fedelissimi, il ministro della difesa e l’attuale sindaco di Roma, neppure conoscono. Avesse, l’attuale presidente della Camera, letto il De Felice che le riviste di area consigliavano! – magari avrebbe cambiato idea un po’ prima, e soprattutto avrebbe evitato le figuraccia dell’altro giorno. Avesse seguito le polemiche degli ultimi decenni, si sarebbe accorto che non è mai stata messa in discussione la posizione della Chiesa sull’antisemitismo, ma il non aver fatto la voce grossa contro il nazismo (il cui Fuhrer, è risaputo, sarebbe stato un agnellino docile al richiamo del Pastore!). Proprio Pio XI – il papa sotto il cui Pontificato nacquero e crebbero fascismo, nazismo e il razzismo di stato - è stato additato come esempio da seguire, non solo per quello che, pian piano, negli anni è uscito fuori dagli archivi, ma anche per quanto scrisse e disse pubblicamente: lui è il papa dell’enciclica volutamente scritta in tedesco, Mit brennender Sorge, nella quale condannò il nazionalsocialismo con parole durissime; lui che, mentre gli avi di Fini tappezzavano Roma di svastiche, disse: ”Questo è un giorno triste per Roma sopra la quale si erge una croce che non è la Croce di Cristo”, facendo chiudere poi i musei vaticani e l’accesso alla Basilica, per impedire a Hitler di visitarli, e di mettesse piede così nello Stato del Vaticano. Lui, infine, che in udienze con rappresentati del regime disse senza paura né indugio:”Io non come Papa, ma come italiano, mi vergogno (…) Lo dica pure a Mussolini. Il popolo italiano è diventato un branco di pecore stupide (...) Qui sono diventati tutti come tanti Farinacci. Sono veramente amareggiato come Papa e come italiano”. Tanto duro col regime, Papa Ratti, che per anni circolò la leggenda che con la sua morte c’entrasse pure il regime.

Soprattutto, più che ignorante, l’on. Fini è incosciente. Incosciente della sua vita politica. Non quella che ha da venire – se ancora ne ha – ma quella già trascorsa. Incosciente al limite del grottesco. Perché Fini, l’on. Fini, è ciò che è e non già uno squattrinato docente di pedagogia, perché scelto come suo erede da colui che, quelle leggi razziali, le sottoscrisse e le propagandò. Dei morti non si parla, se non se ne può parlare bene. E se si può ricordare che quell’atto infame, quegli anni orribili vennero ripudiati: bene. Ma ciò non legittima i figli dei carnefici ad insegnare alle vittime come vivere il martirio.

Chiedesse ai sopravvissuti della RSI, che per anni lo hanno acclamato e sostenuto, chiedesse a loro l’on. Fini cosa non facesse il regime contro l’Azione cattolica, rea di togliere qualche lupacchiotto dalle grinfie del loro sommo duce; chiedesse quanti ne vennero fucilati di preti e di cattolici non disponibili a tradire la Chiesa e lo Stato per il loro repubblicanesimo fantoccio. Chiedesse l’on. Fini, si facesse qualche domanda, piuttosto che venirci a dare le sue velenose risposte, figlie di un pacchiano progetto di rivisitazione storica. Di una cosa sola poteva andare fiero: della politica sociale del fascismo. Ma di quell’unica preziosa eredità, l’on Fini non si è fatto interprete nelle mutate circostanze attuali, ma l’ha gettata alle ortiche, mettendo su un circo di idee e di strategie culturali ed economiche, che in quattordici anni non gli sono fruttati alcunché. Fisso al 12%, ha dovuto infine, e con lui tutta la sua squadriglia di avventurosi colonnelli, chinare il capo al dio di Arcore. Che oggi, dopo l’anarchismo sui valori dichiarato in campagna elettorale, afferma di “stare con la storia”: ennesima istrionica risposta di un don Rodrigo improvvisato. Anche per spadroneggiare ci vuole classe. Che non è in vendita come le natiche delle sue soubrette.

È però su quei valori – alla libertà soprattutto, tanto decantata negli slogan di partito – e su quella storia che gli italiani devono ancora sperare. La storia non è marcia, ma cammino, pellegrinaggio. Si viaggia in ordine sparso, ma ciò che nascondono i mesi e gli anni, i secoli svelano, ed è l’ordine della libertà.

Presto i primi saranno gli ultimi, e gli ultimi i primi. Per intanto, Fini ha capito da dove tira in vento. Prima di lui in molti: da Nerone a Diocleziano. Almeno quelli, però, non si facevano campagna elettorale in sacrestia.




NOTE A MARGINE


(1) Trovo e pubblico questa breve bibliografia. Chi sa che non serva al distintissimo onorevole come ripasso.


Elenco degli atti della Chiesa Cattolica contro il razzismo antisemita del nazismo.

Febbraio 1931: lettera pastorale dell’episcopato bavarese, che condanna gli errori del razzismo.
23 gennaio 1933: lettera pastorale di monsignor Gfoellner, vescovo di Linz, contro il paganesimo e il razzismo nazista.
Dicembre 1933: sermoni del cardinale Faulhaber che stigmatizza la persecuzione contro gli Ebrei.
21 dicembre 1933: lettera pastorale collettiva dell’episcopato austriaco.
9 febbraio 1934: messa all’indice del libro di A. Rosemberg, Der Mythus des 19 Jahrhunderts (Acta Ap. Sedis, 1934)
7 giugno 1934: lettera pastorale collettiva dei vescovi tedeschi.
19 luglio 1935: messa all’indice del libro di A. Rosemberg, An die Dunkelmänner unserer Zeit. Eine Antwort auf die Angriffe gegen den “Mythus des 19 Jahrhunderts” (Acta Ap. Sedis, 1935).
14 marzo 937: enciclica di Pio XI Mit brennender Sorge che condanna le dottrine del nazismo (Acta Ap. Sedis, 1937); il testo, clandestinamente introdotto e diffuso in Germania, viene letto nelle chiese.
19 giugno 1937: messa all’indice del libro di C. Cogni, Il Razzismo (Acta Ap. Sedis, 1937)

13 aprile 1938: lettera della Congregazione dei seminari e università al cardinale Baudrillart che ingiunge alle istituzioni scientifiche cattoliche di confutare le tesi del razzismo.
19 aprile 1938: lettera pastorale collettiva dei vescovi tedeschi.
3 maggio 1938: visita di Hitler a Roma. Il 30 aprile, Pio XI aveva lasciato il Vaticano per Castelgandolfo dichiarando che l’aria di Roma gli era irrespirabile; ordinò anche la chiusura dei musei del Vaticano e proibì alle strutture religiose di esporre le bandiere con i colori del reich nazista: «Non si può non trovare fuori posto e intempestivo il fatto di erigere il giorno della santa Croce l’insegna di un’altra croce che non sia la croce di Cristo», dichiarò Pio XI. Per di più, fu precisamente il 3 maggio che l’Osservatore Romano, giornale della Santa Sede, pubblicò la Lettera contro il razzismo, datata 13 aprile, mentre taceva completamente sulla visita di Hitler a Roma.
15 luglio 1938: in seguito alla pubblicazione, da parte di un gruppo di scienziati fascisti, di un documento in dieci punti, favorevole al razzismo e all’antisemitismo, discorso di Pio XI contro il «nazionalismo esagerato che innalza barriere tra i popoli…» (Osservatore Romano del 17 luglio)
21 luglio 1938: discorso di Pio XI davanti agli alunni del Collegio della propaganda, che rappresentava trentasette nazioni: «Cattolico vuol dire universale… Non vogliamo dividere niente della famiglia umana…. L’espressione “genere umano” rivela l’unità della razza umana… Possiamo chiederci com’è possibile che, sfortunatamente, l’Italia abbia avuto bisogno di imitare la Germania…. La dignità umana è di essere una sola e grande famiglia, il genere umano, la razza umana… Ecco la risposta della Chiesa….» (Osservatore Romano del 23 luglio).
6 novembre 1938: discorso del cardinale Faulhaber, arcivescovo di Monaco, sul senso cristiano della comunione nella fede, non nel sangue.
Novembre 1938: pubblicazione da parte del cardinale Van Roey, arcivescovo di Malines, di un discorso che condanna il razzismo e il suo mito del sangue.
13 novembre 1938: discorso del cardinale Schuster, arcivescovo di Milano, contro il mito razziale.
17 novembre 1938: lettera del cardinale Verdier, arcivescovo di Parigi, che aderisce al testo di monsignor Van Roey.
6 gennaio 1939: discorso del cardinale Piazza, patriarca di Venezia, che condanna l’antisemitismo razzista.
… …
(da: “La Chiesa cattolica di fronte alla questione razziale”, del padre predicatore Yves M. J. Congar, stampato dall’Accademia degli Incolti in occasione di un convegno promosso a Milano dal gruppo ecumenico cristiano-ebraico, il 30 novembre 1998)


(2) Che Fini, con la sua carriera sepolta nella bara della Camera, e il suo partito consunto dal predellino, abbia tentato di farsi ricordare, è tutt'altro che una scortese insinuazione. Però, è da notare quello che dichiara il rappresentante della comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, noto per la sua acredine verso il Cattolicesimo. Prima, ha chiesto al Vaticano di scusarsi, dal momento che egli, come italiano, "non accetta che uno stato straniero offenda il suo Presidente della Camera". E già qui ci sarebbe da chiedergli chi sarebbe lo straniero: il direttore dell'Osservatore Romano? Italiano. Padre Giovanni Sale s.j., storico di Civiltà Cattolica? Italiano. E magari due italiani che, alle scorse elezioni, votando alla meno peggio, avrenno dato qualche voto a quel vuoto contenitore che è il PDL.

Ma c'è di più. Chi ha già sentito sentenziare Pacifici, sa che non poteva non riservarci l'ultimo colpo di scena: scnetisce pure il suo presidente della camera, pur di andare a parare sempre lì. Ossessionato da Pio XII come Otello dalla gelosia, dichiara:"Roma, 18 dic. - (Adnkronos) - ''Non abbiamo intenzione di entrare nella vicenda della beatificazione di Pio XII, non e' affare del mondo ebraico. Ma se la si vuole fare per descriverlo alla storia quale non e', noi non lo possiamo accettare". E' quanto dichiara il presidente della Comunita' ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, in un'intervista a Red.tv. Pacifici ricorda che Pio XI ''combatte il nazismo'' e ''nel 1937 fa un'enciclica in tedesco perche' vuole combattere il nazismo, che rappresenta in quel momento un'ideologia pagana che minaccia la Chiesa cattolica. Poi si attiva per condannare i provvedimenti sulla razza ariana'', anche se, secondo il presidente della Comunita' ebraica romana, non tanto ''per la parte della discriminazione degli ebrei''. ''Sta per realizzare un enciclica in difesa degli ebrei, quando muore - aggiunge - e Pio XII non fa nulla per proseguire nell'opera, rimane in silenzio''.Insomma, sostiene, ''non ci sono prove'' di nessun genere che Papa Pacelli si sia opposto alle leggi razziali, di suo pugno, sottolinea, ''non c'e' una riga di condanna'' su quelle leggi, che, conclude Pacifici, ''piu' che razziali definerei razziste''.

Ma non era pure Pio XI.... e le dichiarazione del suo Presidente della Camera? Insomma, il buon Pacifici dichiara oggi, dichiara domani, e accusa chi non dichiara con la stessa alacrità sua. Se Pio XII avesse preso esempio da lui, lui non ci sarebbe neppure. Intelligentibus pauca.


(3) Collezione davvero interessante di citazioni finiane. Il pulpito dal quale viene la predica.
1) Opinioni di Fini sul fascismo e Mussolini (1987-1992)

Con la formula “Fascismo del Duemila” intendo dire che nei confronti del fascismo non vi puó essere solo nostalgia o rimpianto, legittimi in chi l’ha vissuto, ma patetici per chi è nato dopo....Per questo ho scritto di segreteria “post-fascista” in termini anagrafici...Il fascismo è stato una grande intuizione politica, non completamente attuata, che contiene risposte convincenti ai problemi del nostro tempo...Il fascismo aveva intuito che l’uomo è al centro del divenire e non puó essere assoggettato a logiche materialiste. Il fascismo aveva anche capito che Stato e Nazione non possono essere separati e che i problemi del mondo del lavoro non si risolvono con il capitalismo nè con il comunismo. Sono ricette valide anche per l’Italia d’oggi. Questo è il fascismo del Duemila (18 dic. 1987).

Un sogno per la società italiana
Ho registrato la volontá collaborativa di molti camerati giovani e meno giovani...Cercheremo di attualizzare il nostro sogno, dimostrando che nel fascismo ci sono elementi validissimi per la societá italiana...Nessuno puó concepire il fascismo come un inferno calato sull’Italia (quotidiano “La Repubblica”,15 dic.1987.)

Radici profonde
Non ritengo che sia un paradosso per il Msi, così legato alla sue radici, avere un Segretario nato nel Dopoguerra. Vuol dire che quelle radici sono feconde, e che ci sono nuove generazioni che credono nella concezione della vita e nella visione del mondo che fu del fascismo.(11 marzo 1988).

L’intuizione mussoliniana di una terza via
Sono convinto che l’intuizione mussoliniana di una terza via alternativa al comunismo e al capitalismo sia ancora oggi attualissima... Il nostro compito è quello di attualizzare, in una società post-industriale alle soglie del Duemila, gli insegnamenti del fascismo che con la Carta del Lavoro del 1926, l’Umanesimo del Lavoro di Gentile e i 18 Punti di Verona della Repubblica sociale italiana ha lasciato un testamento spirituale dal contenuto profondamente sociale, dal quale non possiamo prescindere (1 aprile 1988).

Il mio fascismo
Il Msi si é sempre schierato fin dall’inizio per l’interpretazione, attualizzandoli, degli ideali del fascismo, per farli vivere in questa nostra società. Oggi il Msi continua su quella strada...Noi siamo oggi in Italia la destra, una destra autenticamente fedele alle origini....Il mio fascismo, che è quello di coloro che sono nati dopo la guerra, è soprattutto una concezione della vita tesa a porre l’uomo al centro del divenire. È una organizzazione sociale per superare il capitalismo e il comunismo....Questo è il fascismo del Duemila, tutto il resto oggi non ha significato, e certamente non puó essere giudicato in termini politici ció che appartiene alla Storia...Noi abbiamo soltanto questa presunzione: di non rinnegare il passato e di coglierne gli aspetti positivi...Io non voglio tagliare le mie radici, non per calcoli politici, ma perchè questa è l’essenza del Msi. (25 maggio 1988.)

Fascismo, libertà e pluralismo
Il fascismo coniugato con la libertà e con il pluralismo costituisce nell’attualità il punto essenziale di riferimento per un partito che, come il Msi, intende rinnovare l’Italia senza complessi verso la Storia nazionale. (13 giugno 1989).

Niente abiure
Nessuno può chiederci abiure della nostra matrice fascista...Non si capisce appieno il Ventesimo secolo e quel che accadde all’Est, se non si comprende la natura del fascismo.(“Il Giornale”, 5 gennaio1990).

Mussolini: una figura necessaria
Il pensiero e la figura di Mussolini sono un riferimento di carattere storico e per certi aspetti di carattere politico non soltanto indispensabile al Msi, ma necessario all’Italia per capire se stessa e riconciliarsi con la sua storia (5 febbraio 1992).

Il merito del fascismo
Se nel 1922 il nostro Paese non divenne una repubblica sovietizzata, il merito fu del fascismo(29 marzo 1992).

Una Piazza per Mussolini
L’identità ideologica del Msi si manifesta anche nei rituali (come il saluto romano). Ma il Msi fa politica e non si ferma ovviamente ai rituali. Mussolini sarà consegnato alla storia soltanto quando gli antifascisti avranno accettato di confrontarsi serenamente e senza pregiudizi con il suo pensiero e le sue opere.In quel momento non penso però che Mussolini sarà appeso ad una parete come un quadro. A lui, come Cavour, Mazzini e Garibaldi, saranno intitolate piazze e monumenti. (“ Il Giornale”, 19 ottobre 1992).

Post-fascismo: non rinnegare, non restaurare
Il Msi rappresenta una destra neofascista? Io credo in tutta coerenza che il fascismo sia consegnato ormai in modo irreversibile alla storia e al suo giudizio. Nessuno ci può chiedere di rinnegarlo nel momento in cui diciamo chiaramente che non vogliamo restaurarlo. Siamo anche noi, come tutti gli italiani, non neofascisti, ma post-fascisti. (12 dicembre 1992).


2) Gianfranco Fini e l’antifascismo (1988-1993)

L’antifascismo: un non valore
Il Msi si è sempre rifiutato di considerare l’antifascismo come una sorta di mito unificante, di unica ragione di vita di questa Repubblica. E a maggior ragione ci auguriamo che nel prossimo futuro i nostri figli siano giudicati per quel che dicono, per quel che pensano, per quel che fanno e non per quello che hanno fatto i loro padri e i loro nonni nel 1945. E allora l’antifascismo di per sè non è un valore. (8 gennaio 1988).

Una Repubblica ipocrita
La pacificazione nazionale sotterrerebbe definitivamente un mito ipocrita: quello di una Repubblica che nata dalla resistenza, pretende di continuare a campare sull’odio fra italiani. (9 febbraio 1992).

L’antifascismo non è la pietra fondante della Repubblica di tutti gli italiani
Abbiamo scelto il 25 aprile perchè è giunto il momento di confrontarsi con questa data di cui rimane qualche traccia solo in coloro che nel ’45 erano antifascisti in buona fede e che pertanto rispettiamo. Ma pretendo lo stesso rispetto anche per coloro che erano dall’altra parte, per chi è stato sconfitto dalle armi, non certo dalla storia. Non accettiamo più a distanza di quasi cinquant’anni, che dell’antifascismo si possa fare la pietra fondante della Repubblica di tutti gli italiani. Fino a quando le istituzioni non ricomporranno le ferite e non renderanno i giusti meriti, sarò autorizzato a dire che non vi è nel nostro Paese alcun tipo di partecipazione popolare per una data celebrata da chi ha fatto dell’antifascismo il proprio mestiere. (26 aprile 1992).

La “Via dell’Onore” e la “Resistenza”
Oggi in Italia la necessità di seminare ancora odio è di chi non può dire altro che “abbiamo fatto la resistenza”, e non di coloro che scelsero la via dell’onore risultando sconfitti soltanto con le armi. (12 ottobre 1993).

3) Intermezzo: una profetica avvertenza del 1989

G. Fini e il tempo dei Camaleonti
C’è da stare molto attenti affichè non arrivi il tempo dei camaleonti, cioè dei comunisti che cercano affannosamente di riciclarsi con nuove formule e sotto nuove forme e nuovi nomi. (30 dicembre 1989.)
(fonte: blog)

15 dicembre 2008

PENSIERO XLI


Non brama d'essere eterno protagonista, colui che vivendo non è stato mai comparsa.


14 dicembre 2008

PENSIERO XL


A volte si viene qualificati più dall'interlocutore che si sceglie, che non dalla madre che si ha avuto in sorte.



11 dicembre 2008

PENSIERO XXXIX


Vivere è il modo più confuso di fare storia, ma anche il più sincero.



10 dicembre 2008

PENSIERO XXXVIII



Temete gli occhi di vostro padre. E quelli di vostro figlio. Perché se Dio vorrà giudicarvi in questa terra, lo farà con i loro occhi.



7 dicembre 2008

ARMANDO MASSARENTI: l'8x1000 gli tocca!



A detta di alcuni, quel Sole che brilla per 24Ore sul mondo della finanza italiana e non solo, si sarebbe un tantino eclissato negli anni scorsi, e soprattutto negli ultimi mesi, per non vedere – e i maliziosi dicono per far finta di non vedere – quello che si stava per consumare nel nostro misero ed umano mondo: lì, nelle sfere eteree del cielo, tutto andava bene; qui, giovani analisti e non titolati economisti dicevano che tanto bene le cose non stavano andando. Chi avesse ragione è sotto gli occhi di tutti, con o senza l’illuminazione artificiale del giornale di Confindustria.

Però lì, dalle parti di Ferruccio De Bortoli, nel suo inserto culturale che esce ogni domenica, le idee in fatto di vita umana e di diritti umani ce le hanno chiare: più impossibile è la missione, più ci azzeccano. Guarda caso, è proprio con l’economia che si perdono in un bicchiere d’acqua.

Nel Domenicale di questa settimana (7 dicembre 2008), Armando Massarenti tratta la questione dell’opposizione della Chiesa al testo della moratoria, presentata all’ONU, contro la pena di morte agli omosessuali, con la stessa onestà intellettuale con la quale il giornale dal quale vende i suoi filosofemi ha trattato l’incipiente collasso economico che sta portando milioni di esseri umani a dormire per le strade. "Contorte" le ragioni della Chiesa, secondo Massarenti. Per il giornalista e filosofo – filosofo per gli argomenti che tratta, giornalista per l’acume che usa nel discuterli – sarebbe una posizione contorta quella di chi dice no alla pena di morte, ma senza accettare che venga incarcerato chi ha una visione morale diversa del pastrocchio politicamente corretto a cui i tanti Massarenti, in vena di popolarità comprata a scapito della ragione, piegano il capo. Non si tratta di accettare la pena di morte per gli omosessuali – tutt’altro – ma di non accettare l’incarcerazione per quanti, pur rispettando gli uomini e le leggi, continueranno a dire che (1) la scelta del sesso non è una scelta personale (e innanzi tutto non dovrebbe esserlo proprio per coloro che negano la natura psicologica della questione), ma determinata biologicamente, e comunque (2) le scelte sessuali dei singoli non dovrebbero avere valore per gli assetti politici delle società.

Omofobia si chiama l’eresia del XXI secolo. Tu dici che la natura sta in un certo modo; che basterebbe che guardassero nel microscopio, col il quale si può notare che, quale che sia l’orientamento psicologico delle persone, quello biologico del DNA è chiaro, e lo è nei secoli; che nessuno vuole negare i diritti fondamentali della persona, ma che questi non bastano perché si acceda al riconoscimento pubblico, cioè secondo il diritto, del proprio stile di vita; e che, comunque, un conto è rispettare anche i cambiamenti sociali imposti per opera delle lobby e dei tanti Massarenti di turno, volenti o nolenti, e un altro è pretendere che tutti si conformino ad un modo di pensare: insomma, fate quel che volete, ma non chiedeteci l’abiura.

Ora, se grazie a quest’atto di umana civiltà, i pericolosi bigotti come me dovessero finire in cella, qualcuno ricordi al posto mio a Massarenti che ormai è ad un passo dal farsi riconoscere come chierico della nascente chiesa laica d’Italia. Finalmente, dopo aver servito la causa dei potenti, potente lo potrà diventare pure lui. Magari grazie ai fondi dell’otto per mille che gli toccherebbero.