"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

29 agosto 2012

Lo dicevo prima, lo ripeto ora: voterò Musumeci"


di Antonio G. Pesce - Non è nell’uso italiano ‘pronunciarsi’ per un candidato politico. Solitamente, si preferisce essere amico di tutti, perché tutti, alla fine, votano per continuare a finanziare la lauta cuccagna, grazie alla quale perfino ciascuno ha in Italia più di quanto gli è dovuto.

Io, che ho da ringraziare Dio e non Mammona, che del resto fa scarsa comparsa nei mie appartamenti, posso permettermi di dire che voterò Nello Musumeci alle prossime elezioni regionali. Perché lo scrivo? Perché l’ho detto altre volte, e nascondere questa mia preferenza ai lettori di Catania Politica, che hanno permesso a questo giornale di prosperare nel suo piccolo, non sarebbe davvero rispettoso. Dunque, d’ora in poi – proprio da questo rigo in avanti – qualsiasi cosa io dica a favore dell’ex presidente della provincia di Catania, deve essere soppesata dal lettore con profondo acume critico. Non chiedo sconti, né è questo il campo e il momento della fiducia incondizionata. Io esporrò le ragioni di questa mia posizione, sicuro che, se altri ne avranno di diverse, troveranno altrettanto accoglimento su queste colonne.

14 agosto 2012

Udc-Crocetta: una lunga storia d’amore


http://www.cataniapolitica.it/wp-content/uploads/2012/08/dc_anticomunismo.jpgdi Antonio G. Pesce – Sentite: ve la posso girare come volete. Però sarebbe uno sbaglio. Non si tratta di dirvi che, alla fine della fiera, Udc e Crocetta avranno una visione etica differente sui grandi temi, perché confido molto nell’intelligenza di gente come Crocetta, e poco nella coerenza di cristiani come molti (non tutti, e le generalizzazioni sono sempre errate) dell’Udc. E poi, in una regione in cui manca il pane per la sopravvivenza, non vedo come ci si possa procurare il companatico per le sfilate di moda ideologica. Non si tratta neppure di visione storiche differenti, come se ancora esistesse un muro a spaccare il mondo in due come una mela, perché quelli come Crocetta non sapremmo dove metterli, e quelli come Udc non saprebbe con chi schierarsi. Dopo De Gasperi, la Dc andava a letto con gli yankee, si ergeva a bastione Nato in Italia ma poi flirtava con i nemici degli Usa.
Il problema è di natura. E sia chiaro – voglio che sia chiarissimo: non si tratta di una battuta di cattivo gusto. Innanzi tutto, perché mi si può dare anche dell’omofobo, dal momento che credo che il diritto non sia una concessione ma una discussione, ma mai della persona di cattivo gusto. E poi perché persone come Crocetta, essendo di buon gusto anch’esse, mi sono più vicine di tante altre.

Io parlo di natura politica. Vuoi o non vuoi, Crocetta e l’Udc sono due animali diversi. L’amalgama non riesce, e lo vedremo. Perché Crocetta è quello che è, perché ha saputo incarnare una politica di un certo tipo – non dico ‘giusta’ né ‘sbagliata’: dico diversa da quella dell’Udc. Crocetta, in fin dei conti, crede nella lotta – la lotta strategica, magari, ma pur sempre lotta per la difesa di una visione del mondo. Deve crederci, perché ha schiere di estimatori che del mondo vorrebbero una palingenesi ora e subito, perché «se non ora, quando?». E risponde il loro papa, don Gallo da Genova: «Adesso!».

L’Udc non riesce a cambiare neppure se stesso. Dice di non amare il cesarismo berlusconiano, e si scandalizza del vecchiume del Cavaliere, eppure rimane un partito con tanto di nome, nel simbolo, di colui che è in parlamento da almeno 30anni. L’Udc ha sempre buone idee, ma non sfondano alle urne, e per questo la piazza non gli piace, neppure la fatica di una lunga opposizione: ama la corsia preferenziale del tecnicismo nazionale o dell’impasto regionale. E sì che l’Italia avrebbe bisogno di un partito moderato e cristiano.

La vogliamo dire tutta? Che cos’è questo moderatismo in salsa rosé, se non un segno di mera continuità con la tradizione? Diciamola tutta: mentre i comunisti se ne stavano alla presunta opposizione (al governo, mica al potere, ché questo sapevano gestirlo anche molto meglio dei democristiani), dalle Alpi alla Sicilia c’erano sempre dei progressisti (socialisti, repubblicani, ecc), che pur di scampare alle grinfie del compagno Stalìn, si accucciavano al seno materno di Andreotti. Perché non è la prima volta, e non lo è neppure in Sicilia, che progressisti e democristiani si fanno le fusa per miagolare all’unisono dal palazzo, anzi. A pensarci bene, tutta la prima repubblica è stata fondata e affondata da questo gioco. E vedi che ci è rimasto – le pezze nel deretano! 


"L’appello dei siciliani alla nazione inglese" di Cettina Laudani


http://www.cataniapolitica.it/wp-content/uploads/2012/08/Appello-dei-siciliani-alla-nazione-inglese.jpgdi Antonio G. Pesce - La presentazione di questo bel libro di Cettina Laudani, docente di storia delle dottrine politiche a Catania, è avvenuta nell’anfiteatro attiguo alla Biblioteca comunale di Motta S. Anastasia, di cui l’autrice è originaria. A volerlo, l’assessore alla cultura, Salvatore Drago. A presentarlo, Giuseppe Astuto, ordinario di scienza dell’amministrazione, che ne firma anche la prefazione. In quest’occasione, la Laudani è stata chiara: nessun intento politico, e neppure alcun riferimento al duecentesimo anno dalla costituzione siciliana del 1812. Eppure, quello che per lo studioso è materia di ricerca, anche per chiarirsi il problema che lo assilla, diventa, nel corso della Storia, motivo di riflessioni per molti. Non per tutti, ovviamente. E si può star certi, che non lo sarà neppure per la politica, ancorché con la fisima dell’autonomismo.

All’indomani del congresso di Vienna (1814-15), I Borbone di Napoli «estesero anche alla Sicilia il nuovo sistema amministrativo di ispirazione francese» (p. 125). Siamo nel 1817. Poco prima, per evitare ciò, era apparso a Londra l’ “Appel des Siciliens A La Nation Anglaise garante de la constitution, violèe par le roi de Naples”. L’interessante documento, secondo la Laudani, è stato steso dallo studioso Niccolò Palmeri, noto costituzionalista che, nel 1821, darà fuori il suo Saggio storico e politico sulla costituzione del regno di Sicilia.

L’autonomia siciliana consisterebbe nel fatto che l’Isola ha avuto per prima un proprio parlamento ed una costituzione. Certo, di stampo medievale, ma siamo nel 1140 con Ruggero II. Ed è bene ricordare che le ‘Constitutiones’ promulgate ad Ariano arrivano prima di quelle, ben più note, federiciane, ma anche della Magna Carta (1240). Insomma, questa l’originalità del lavoro della studiosa catanese: aver dato centralità all’opera degli Altavilla, mentre ancora il mondo ‘stupisce’ davanti ad un Federico che, con tutti i meriti possibili, fu comunque degno nipote di un nonno materno così capace.

«In effetti – scrive la Laudani – sia le Assise di Ariano che le Costituzioni melfitane ponevano le basi giuridiche di una nuova struttura dello Stato, orientato verso una concezione del diritto non più “espressione di dogmi universali”, ma semplicemente apparato di norma pratiche che disciplinavano bisogni e interessi comuni» (p. 35). La trasformazione del feudo in regno viene pagato da Ruggero concedendo riconoscimento alla ‘nazione’, che non è da intendersi nel senso moderno, ma come espressione del baronaggio (cfr. 44-5). Il pensiero siciliano tentò una formulazione del concetto di nazione che riuscisse a dar conto delle peculiarità dell’Isola, anche perché «la Sicilia, sotto tutte le dominazioni, si sentì sempre una nazione a se stante, “protagonista della sua storia”e pertanto distinta dalle altre nazione d’Europa”» (p.48).

Si capisce perché, dunque, ogni tentativo di assimilare la Sicilia a Napoli, o anche solo di trasformarne la struttura amministrativa, venisse visto come un attentato alla propria libertà. Ne fece le spese perfino Domenico Caracciolo.

Un libro intenso, che però non può sfuggire al proprio destino: quello di alimentare aspirazioni e altrettanto profonde critiche. La Laudani non cede mai al vezzo del campanilismo, e non solo perché studiosa di rango. Perché davvero quel sistema, che garantiva autonomia e un certo vantaggio sulle altre nazioni, finì col tempo per ingessare la società sicula e cristallizzare privilegi. Un libro di storia delle idee, che può essere letto, mutatis mutandis, come un libro di cronaca. E se così è, vuol dire che molto poco è cambiato. Purtroppo.

Cettina Laudani, L’appello dei siciliano alla nazione inglese. Costituzione e costituzionalismo in Sicilia, Acireale-Roma, Bonanno editore, 2011, pp. 155, € 14,00.





 



Pubblicato su Catania Politica il 4 agosto 2012 

Il Nord secchione dei professori meridionali

scuola vecchio stile

di Antonio G. Pesce - È l’estate, anche quella nell’epoca dello spread, a destare l’attenzione verso la scuola. Perché, durante l’anno, poi a nessuno importa veramente. Non importa ai genitori dove siano stipati i loro figli, né che preparazione venga data loro per affrontare un mondo non sempre a portata di raccomandazione italica. Né importa – figurarsi! – alla classe politica (ma c’è qualcosa che importa alla classe politica italiana, fuorché il velluto dello scanno attaccato col mastice della vanagloria al deretano?).

Ogni estate è sempre la solita tiritera. Anche questa, con l’Europa mezzo fallita. Così, non sapendo che fare (perché, in linea di massima, manco sanno che sia) per salvare l’Italia dalla speculazione dei mercati (come se non ci bastasse quella dei mercanti nostrani nel tempio della democrazia), ecco che perfino i leghisti discutono di scuola e dei dati usciti dall’ultima prova Invalsi. Che, se possono dire qualcosa, certamente dicono che al Nord lo studio della matematica va meglio. E non è cosa da poco.

Ma è estate – un delirio continuo! Era estate quando Bossi lanciava i suoi strali contro i professori del Sud, rei di avergli bocciato la ‘trota’ per la terza volta consecutiva all’esame di maturità. Era estate – correva l’anno 2009, ma quanto tempo pare essere strascorso! – quando la Gelmini prima, e Berlusconi dopo gli diedero ragione: il Sud non ha una grande preparazione, dicevano una tizia che ha costruito il più lungo tunnel di fesserie nella storia della Repubblica, e un signore, presidente del consiglio, che confonde l’Egitto col Marocco.

Fatta esclusione dell’opinione di chi laurea i figli a Tirana con danaro pubblico, il problema è serio. Alla scuola, e un po’ in tutte le parti della nazione, è chiesto di espletare un ruolo che non è suo: non può sostituire la famiglia, e neppure i servizi sociali. Però, le viene chiesto di trattenere i ragazzi, di non farli andare via, di non farli perdere. Un luogo dove posteggiarsi, soprattutto nei gradi inferiori e obbligatori dell’istruzione, in attesa di un garage migliore. In Sicilia e nel Sud, poi, sbandarsi può significare mettere una seria ipoteca sul proseguo della propria vita: non è grave, se non nella mente bacata di qualche fricchettone di sinistra, non studiare per andare a lavorare ed imparare un mestiere. (Studiare e, poi, imparare un mestiere redditizio è ancora meglio). È grave diventare manovalanza di certe industrie del terrore, e scorie del loro processo produttivo smaltite in qualche cimitero.

Queste richieste improprie al nostro sistema scolastico sono vere zavorre e, seppur diffuse in tutta Italia, non si può negare che al Sud ottengano più attenzione. Tuttavia, quel punteggio migliore nella prova Invalsi – cioè diretta agli studenti delle scuola media inferiore – non è ottenuto in un luogo diverso da quella scuola italiana ‘infestata da meridionali’. Non sono pochi, infatti, i giovani siciliani che, già all’indomani della seconda guerra mondiale, andarono al Nord con valigia di cartone e lauree sudate. Non sono pochi quelli che continuano a farlo ancora oggi. Le presunte lauree comprate, i diplomi fraudolenti abbiamo visto essere un male comune, con l’unica differenza che la povera gente (del Nord, del Sud o di ogni latitudine) i titoli, anche se falsi, se li paga con i propri soldi. Quelle pergamene vere, invece, sono messe alla prova ogni giorno dalla stupidità di alcuni e dalla professionalità di altri. E, in entrambi i casi, non sfigurano. Come gli stessi risultati Invalsi in parte dimostrano. 

Pubblicato su Catania Politica il 25 luglio 2012

La corsa più pazza del mondo .... tutti candidati presidente!

corsadi Antonio G. Pesce - Ci vuole la citazione d’annata: quando il giuoco si fa duro, il candidato scende il campo. Non è così che suona il famoso detto? Ad ogni modo, lo abbiamo sperimentato ad ogni tornata elettorale. E infatti, anche in quella di ottobre, che dovrebbe rinnovare il Parlamento e la presidenza di una regione sull’orlo del baratro (sociale, politico, economico, ecc), già non mancano gli eroici martiri per un lavoro che si annuncia erculeo. E sono in tanti.

Lo scatto più potente, sul Mortirolo della politica isolana, lo hanno lanciato due di sinistra: Claudio Fava e Rosario Crocetta, con il primo che non si è risparmiato di tirar subito fuori la daga: «Non mi sembra che la candidatura di Rosario Crocetta – ha dichiarato Fava, candidato Sel, parlando con i giornalisti all’Ars - contenga elementi di rottura dall’attuale sistema. I suoi big sponsor, d’altronde, sono Lombardo attraverso il gradimento già espresso dal capogruppo del Mpa all’Assemblea siciliana, e l’editore Mario Ciancio». Colpo duro, per tentare di affondare il quotatissimo (e non solo a sinistra) sindaco di Gela. Che, oggi, lancia il suo comitato “Crocetta presidente” e illustrerà il programma dei primi 100 giorni. Inoltre, il primo di agosto ha inc ontrato a Roma Fioroni, che si detto preoccupato per la divisione delle forze progressiste in Sicilia. Insomma, è già in pol. Anche perché il Pd non ha un suo nome. Ci ha provato il senatore Pd Vladimiro Crisafulli a svegliare il partito, ma la sua auto-candidatura non ha entusiasmato molto.

Un nome su cui potrebbero indirizzarsi i democratici, anche in vista di alleanza a più ampio spettro (nazionale), è quello del capogruppo Udc al Senato Giampiero D’Alia, che già parla da candidato in pectore: «La Sicilia è in una fase di emergenza economica, finanziaria e sociale che impone ai partiti uno sforzo collettivo e una maggiore responsabilità». Se D’Alia fosse davvero il candidato Udc, addio sogni di gloria per Fabio Granata, il cui nome comunque non è stato accolto molto bene, forse per via del passato: nonostante il genuino impegno antimafia e quello di polemista antiberlusconiano dalle pagine del sito de IlFattoQuotidiano, Granata è stato assessore con Cuffaro e presidente di Cine Sicilia con Lombardo. E tutti, ora, tenteranno di dimenticare il primo amore grammichelese.

Resisterà Massimo Russo, a cui ufficialmente l’Mpa ha chiesto di provare la corsa alla presidenza: l’assessore alla Sanità, che traghetterà la Sicilia alle nuove consultazioni, ha chiesto tempo per pensarci. Sa che una parte del partito, sotto sotto, non vede male neppure Crocetta.

A destra il nome sicuro è quello di Gianfranco Micciché con il suo Forza del Sud, cercando di compattare il centrodestra siciliano. Un outsider potrebbe essere Nello Dipasquale, sindaco ex pidiellino di Ragusa vicino alle liste civiche di Zamparini, ex padron del Palermo calcio. Ad infastidire maggiormente Micciché potrebbero essere Innocenzo Leontini, capogruppo Pdl all’Assemblea Regionale Siciliana, che mira ad “unire il centrodestra” (‘na parola), e Francesco Cascio, attuale presidente dell’Assemblea siciliana, il quale, però, non si è sbilancio troppo (anche per non bruciarsi troppo velocemente). Forse, potrebbe essere la buona volta di Nello Musumeci, indimenticato e indimenticabile presidente della provincia di Catania, ente inutile ma che con lui aveva il suo senso. Qualcuno ne già dopo il pr imo mandato di Cuffaro, e poi ancora al posto di Lombardo, ma in An, prima che Berlusconi divenisse il male assoluto (o quasi), gli preferirono il giochetto delle poltrone. Ora, potrebbe essere arrivato il suo turno, anche perché è difficile non vedere l’affanno del Pdl in Sicilia.

Infine, Gaspare Sturzo, pronipote di don Luigi, magistrato, docente di diritto penale, e soprattutto – a leggere quello che scrive – una testa pensante (e non ce ne sono molte in giro, di questi tempi, nei palazzi del potere), il quale potrebbe avere dalla sua più di quanto non si creda: è, infatti, un fautore del partito unico dei cattolici; e Cateno de Luca, fondatore di Sicilia vera, che ha l’appoggio di Forza Nuova e del Movimento dei Forconi (a dire il vero, non c’è candidato che non possa vantare almeno un forcone dalla sua), e che qualche giorno fa ha scritto su Facebook: «Sto completando di scrivere i punti programmatici del nostro progetto "rivoluzione siciliana".... Hai dei suggerimenti da segnalare?»

2 agosto 2012

CATTOLICESIMO DEI COSTUMI - Pensiero LXXVI



Il cattolicesimo è la versione spirituale della dieta mediterranea: tutto e con moderazione.