
All’indomani del congresso di Vienna (1814-15), I Borbone di Napoli «estesero anche alla Sicilia il nuovo sistema amministrativo di ispirazione francese» (p. 125). Siamo nel 1817. Poco prima, per evitare ciò, era apparso a Londra l’ “Appel des Siciliens A La Nation Anglaise garante de la constitution, violèe par le roi de Naples”. L’interessante documento, secondo la Laudani, è stato steso dallo studioso Niccolò Palmeri, noto costituzionalista che, nel 1821, darà fuori il suo Saggio storico e politico sulla costituzione del regno di Sicilia.
L’autonomia siciliana consisterebbe nel fatto che l’Isola ha avuto per prima un proprio parlamento ed una costituzione. Certo, di stampo medievale, ma siamo nel 1140 con Ruggero II. Ed è bene ricordare che le ‘Constitutiones’ promulgate ad Ariano arrivano prima di quelle, ben più note, federiciane, ma anche della Magna Carta (1240). Insomma, questa l’originalità del lavoro della studiosa catanese: aver dato centralità all’opera degli Altavilla, mentre ancora il mondo ‘stupisce’ davanti ad un Federico che, con tutti i meriti possibili, fu comunque degno nipote di un nonno materno così capace.
«In effetti – scrive la Laudani – sia le Assise di Ariano che le Costituzioni melfitane ponevano le basi giuridiche di una nuova struttura dello Stato, orientato verso una concezione del diritto non più “espressione di dogmi universali”, ma semplicemente apparato di norma pratiche che disciplinavano bisogni e interessi comuni» (p. 35). La trasformazione del feudo in regno viene pagato da Ruggero concedendo riconoscimento alla ‘nazione’, che non è da intendersi nel senso moderno, ma come espressione del baronaggio (cfr. 44-5). Il pensiero siciliano tentò una formulazione del concetto di nazione che riuscisse a dar conto delle peculiarità dell’Isola, anche perché «la Sicilia, sotto tutte le dominazioni, si sentì sempre una nazione a se stante, “protagonista della sua storia”e pertanto distinta dalle altre nazione d’Europa”» (p.48).
Si capisce perché, dunque, ogni tentativo di assimilare la Sicilia a Napoli, o anche solo di trasformarne la struttura amministrativa, venisse visto come un attentato alla propria libertà. Ne fece le spese perfino Domenico Caracciolo.
Un libro intenso, che però non può sfuggire al proprio destino: quello di alimentare aspirazioni e altrettanto profonde critiche. La Laudani non cede mai al vezzo del campanilismo, e non solo perché studiosa di rango. Perché davvero quel sistema, che garantiva autonomia e un certo vantaggio sulle altre nazioni, finì col tempo per ingessare la società sicula e cristallizzare privilegi. Un libro di storia delle idee, che può essere letto, mutatis mutandis, come un libro di cronaca. E se così è, vuol dire che molto poco è cambiato. Purtroppo.
Cettina Laudani, L’appello dei siciliano alla nazione inglese. Costituzione e costituzionalismo in Sicilia, Acireale-Roma, Bonanno editore, 2011, pp. 155, € 14,00.
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