"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

28 novembre 2012

Destra e sinistra: la diade che non passa


di Antonio G. Pesce - Sta tornando di attualità un dibattito che credevamo morto tra le spire del partitismo degenere di questi ultimi anni. Ci sono ancora ragioni per dirsi di ‘destra’ o di ‘sinistra’? Parrebbe di no, e a dimostrarlo non è solo la discussione teorica, ma anche la nuda pratica politica. Il potere ha sempre bisogno di legittimità per esercitarsi. Non è un fatto naturale che un uomo decida (quale che ne siano i margini di manovra) sulla persona altrui, e non è altrettanto scontato sapere in che mondo dobbiamo abitare. L’agenda Monti, sottoscritta dai maggiori (o ex tali) partiti politici italiani, fa della necessità il suo fondamento: necessità di regolari i conti, di pagare i debiti, di fare sacrifici, almeno la parte consistente e meno abbiente del Paese. Ma anche questa è una scelta ideologica, che avrà anche le sue pur buone ragioni, non potendo però vantare alcuna ineludibilità dogmatica.

Il 'sistema' di Crocetta

crocetta pro loco

di Antonio G. Pesce - Adesso che, in ballo, non c’è più il potere – quella strana cosa per cui gli esseri umani venderebbero anche la madre – potremmo lanciare il nostro endorsement per chiunque, così come pubblicare qualsiasi sozzeria. Nessuno avrebbe di che obiettare. Silenzio, quasi indifferenza. Ci basta, invece, analizzare le ultime mosse del nostro presidente della regione.

La giunta è stata completata. Crocetta faceva la voce grossa in terra sicula, mentre poi si recava a Roma per discutere con Udc e Pd dei possibili assessori. Ottima mossa, perché ad un Politburo di stretta nomina presidenziale non ci avrebbe creduto nessuno, e in fin dei conti non avrebbe rappresentato una maggiore garanzia per i siciliani, anche per quelli che Crocetta non l’hanno votato. Siamo in una fase critica come mai, ed è bene sapere prima di chi potrebbero essere meriti e demeriti. Per cinquant’anni suonati questa Repubblica si è fondata sullo scaricabarile, grazie anche ad un sistema informativo che ha taciuto le colpe, se non addirittura mistificato i fatti.

8 novembre 2012

Il Grande Fratello Gay



 Articolo del giugno 2000.

di Antonio Giovanni Pesce - Il Grande Fratello Multimediatico si è mosso, la lavatrice delle intenzioni e dei pensieri già incomincia a fare la centrifuga alle altrui convinzioni: panni bianchi e panni scuri vengono lavati nella stessa acqua, con la stessa temperatura. Il fast-food della cultura dispensa cibi in nome dell’appetibile conformismo e del consumabile gusto: niente è più buono, tutto è buonista. Così, i salotti del televisore, dove ogni sera Trans. & Omo si avvicendano per esprimere i propositi delle loro manifestazioni, le buoni intenzioni di una convivenza pacifica e tollerante – verrebbe da dire che “bella scoperta”! – oggi, in questi giorni più che mai, si popolano di santoni della civiltà, di grassoni baffuti, che non hanno nient’altro da dire che esprimere melense teorie sull’emancipazione sessuale, sulla libertà dei costumi e altre cose del genere Sodoma e Gomorra.

7 novembre 2012

Le Politiche del 2001


Articolo del maggio 2001




di Antonio Giovanni Pesce - L’altalenante umore della fortuna è l’ultimo a decidere le vicende umane, ma il primo a riderne. E così, se la sconfitta della sinistra pareva chiara ed inesorabile quando, erano le ventitré, venivano diramati i primi sondaggi, alle prime ore della notte Folena metteva quasi indubbio la vittoria della Casa della Libertà, in virtù di “dati diversi da quelli dei sondaggi”. Quali dati abbiano avuto dalle sezioni, i dirigenti dell’Ulivo, questo non ci è dato sapere. Eppure all’alba, e man mano che continuava lo sfoglio (unico protagonista di queste politiche), le parole dette nella notte parevano frutto più di una visione o, peggio, dettate dal sonno e dalla stanchezza, che non da una, seppur minima, probabilità. Ma si sa: i vincitori esultano troppo presto, per non rasentare l’impertinenza, così come gli sconfitti si dichiarano tali (anche se con svariati e non sempre riusciti eufemismi) troppo tardi, perché non cadano nel ridicolo. 

6 novembre 2012

Il calcio è la guerra civile italiana combattuta con i gol.

Gli Europei del 2000 e la guerra di posizione tra Berlusconi e Zoff. Ci siamo permessi anche queste polemiche....

di Antonio Giovanni Pesce - Lo ha scritto chi sa chi e chi sa quando, ma rimane ancora valida l’immagine della vita come un teatro, e delle sue vicende come atti di una tragedia, se grandi sono gli attori, o quadri di una operetta, se sono comparse di mezzo taglia. Potevano concludersi come se fossero stati una immensa Iliade, questi europei del 2000, una Iliade nella quale l’Achille di turno, l’italiano Francesco Toldo, dopo aver annientato la compagnie troiano-olandese, si fosse arreso davanti alla Moira, piangendo per la sconfitta subita dalle Erinni-francesi, l’unica a trovare il suo tallone. Una Iliade rivisitata, certo, ma sempre eroica, sempre epica. Invece, come si suole fare in Italia, il paese di Pulcinella e Pantalone, la falsa giunge quasi un attimo dopo il dramma, e non sai se piangere per il giorno prima, o ridere per le vicende del giorno successivo.


5 novembre 2012

Quando D'Alema perse il Baffo. E il partito.

Un articolo del giugno 2001. 
Titolo del novembre 2012. 



di Antonio Giovanni Pesce - Qualche tempo fa, Massimo D’Alema, in una intervista divenuta libro, aveva di che parlare sulla normalità del nostro paese, senza mai immaginare che, da lì a qualche anno, poco più o poco meno, quella stessa normalità avrebbe fagocitato le sue ambizioni di divenire, a tutti gli effetti, il leader indiscusso di uno schieramento composito. Che ne avesse la stoffa, di questo nessuno ne ha mai dubitato: un vaso di acciaio fine, ben temprato nella fornace delle ideologie e della guerra fredda, in viaggio verso una legittimazione politica ( che un  politico di razza, quale egli è, sa  di poter trovare solo nell’esercizio del potere), dopo il fallimento del comunismo italiano e non, in compagnia di vasi d’argilla, vuoti, che solo i ricettacoli della storia avrebbero potuto riempire.

2 novembre 2012

La Chiesa forte è la Chiesa debole

Un articolo del 2000 sul vero significato dell'atto con cui la Chiesa di Roma, regnante Giovanni Paolo II, chiese perdono per le colpe del passato. Un atto con cui una casta Madre chiese perdono per le sozzerie dei figli perpetrate a suo nome.



L’efficienza è tutto, è nella qualità della salute, esaltata paganamente come un continuo di vigore e forza, che la nostra epoca, l’epoca dei grandi raggruppamenti economici, l’epoca della dittatura democratica, nella quale piccole oligarchie economiche ed esigue maggioranze maggioritarie hanno il loro dominio nella “cosa pubblica” e, facendo leva sul lassismo morale, cercano di radicarsi nell’anima della persona, che la nostra epoca trova il suo unico e indiscusso valore. Il perdono non abita più qui, dice l’uomo del ’900, perché in ballo, ormai in ogni discorso, in ogni disputa, in ogni rapporto, egli non vede più i normali termini del confronto, bensì, in una dilatata ottica frutto della diffidenza inculcata nei cuori degli uomini dalle ideologie, egli vede la lotta per la sopravvivenza, si batte perché il suo primato sull’altro sia un dato di fatto, e non frutto di un reciproco riconoscersi. Ecco, che il perdono, atto che annulla ogni distanza fra uomo e uomo, e che anzi pone a  mercé dell’uno che se lo vede richiesto l’altro che lo richiede, è bandito dalla scena politica come di quella culturale, e se non fosse per qualche sceneggiata, che a volte vediamo campeggiare sugli schermi dei televisori, e osannata dagli incensi dell’ipocrisia dell’informazione irreggimentata, noi perderemmo tanto il concetto di “perdono” quanto il nome.

31 ottobre 2012

Crocetta: sarà vera rivoluzione?

croc

di Antonio G. Pesce - Non deve essere difficile diventare democratici: sei chiamato ad esserlo, soltanto se l’esito della consultazione ti garba. Altrimenti, sono gli altri – sempre questi altri di mezzo! – che non hanno capito. Tanto valeva, allora, togliere loro il diritto di esprimersi. Crocetta è presidente della regione. E da chi come me non è democratico, non può che arrivare l’augurio – il sincero augurio, perché di altri tipi non se ne vede il bisogno – che riesca lì dove altri hanno fallito: evitare quanto meno di far danni, se non addirittura fare qualcosa di buono. Per chi come lui – in Italia sono circa un milione quelli nelle sue condizioni– campa di politica, un fallimento non toglie nulla. A chi, come noi, sopravvivere nonostante la politica, potrebbe significare un ulteriore aggravio di spesa e di malcontento. Tanto ci basta per sperare che gli vada bene, e che nessuno gli remi contro per banale calcolo partitico. O ci si salva tutti insieme, o affonda solo chi non ha il salvagente delle prebende di Stato e dei privilegi di casta. Non è poco quello che porto a testimonianza della mia sincerità d’intenti.

30 ottobre 2012

Quando l'Europa tremava per Heider

Mario Monti, presidente del Consiglio dei ministri, afferma che il rischio di questa Europa, che egli sta così zelantemente contribuendo a costruire, non abbia alcun problema che non sia l'irrazionale euroscetticismo velato di populismo.
Ricordiamo quando si tremava per l'austriaco Heider, frattanto morto in un incidente stradale.
Era il novembre del 2000.

Sarà stata isteria collettiva. Sarà che questa Europa, così propensa a parlare di soldi e moneta, quando parla di politica non trova le parole giuste o, peggio, non è dotata delle appropriate categorie mentali. Quanto meno la calma sarebbe auspicabile se non, addirittura, necessaria. Che ne è stato dell’Austria dell’orco cattivo Haider? Se al grottesco italiano, fino ad ieri, non si ponevano limiti né antagonisti, ormai la concorrenza è assicurata: l’Austria non è più un paese di vecchi relitti nazisti, ma, secondo gli stessi esperti nominati dalla UE, il più civile dei paesi dell’unione, o uno dei più civili. E, dopo qualche mese dalla sua riammissione a pieno titolo nell’Unione, il caso è definitivamente chiuso. Sepolto diremmo.

29 ottobre 2012

L'Europa di Nizza

Era l'8 gennaio del 2001, quando scrissi questo articolo. Tanto per ricordarci come siamo giunti alla situazione attuale. 


Nizza non ha risollevato le sorti dell’Europa: moriremo forse azionisti di questa patria, piuttosto che suoi cittadini? Per ora sappiamo soltanto che ci tocca usarne il denaro, parlare l’unica lingua che il mondo economico europeo conosca, quella dell’Euro, e tacere per il resto. Nessun battaglione sarà chiamato “forze armate europee”, né, tanto meno, si è voluto dare soluzione ai vari intoppi politici, ai quali una così disomogenea struttura da luogo. Soldi. Di soldi si è parlato a Nizza, e tutti sappiamo come i soldi siano valori deboli, ai quali ci si aggrappa quando non si ha di meglio da offrire. Soldi, dicevamo. Non speranze comuni alle quali guardare tutti insieme, non prospettive, seppur vaghe, di un futuro che ci attende, né, ancora, linee politiche da seguire per lasciare in eredità, alle future generazioni, quanto meno l’incombenza morale di sbrigarsela loro, la faccenda dell’unione politica: niente di tutto questo. Soldi e, quel che è peggio, bieca “amoralità” globale.

26 ottobre 2012

Ricordando Craxi




 Articolo scritto per il Corriere del Sud. L'originale porta la data del 29 gennaio 2000. Ne vado fiero ancora oggi di averlo scritto. E proprio oggi, che quel '92 non pare affatto lontano, si comprende meglio come alcuni, ancorché colpevoli, pagarono per tutti. per quelli stessi che, rimasti nell'ombra, hanno continuato a far marcire una nazione.
Il titolo è stato apposto in questa edizione.

Per un buon cristiano, sapersi peccatore va di pari passo con la consapevolezza di non poter mai diventare un buon giudice: non può condannare o assolvere, colui che ha ben chiaro come sia deficiente di luce, e come questa, fonte di salvezza, gli sia stata donata da Chi lo ama profondamente. Certamente non conquistata, né meritata mai, per quanta buona volontà possa profondere il peccatore per la propria redenzione. Non tocca a noi, dunque, che abbiamo ben chiare queste coordinate di vita, dare l’ultima sentenza: ciò che egli sia stato come uomo, il chierichetto della Milano post-bellica, il giovane militante socialista, il capo del terzo partito politico italiano, il presidente che ha sfidato gli States, la pietra di volta d’un sistema di corruzione e malaffare, tutto questo se lo porta nella tomba, lì, in quel bianco cimitero sulla riva della costa tunisina, la lapide sulla quale si riflette quella tanto agognata costa, quei lidi che egli, se non da uomo libero, non avrebbe mai baciato, e d’ora, che è morto, non bacerà più. 

23 ottobre 2012

Intervento Nato in Kosovo







 Articolo dell'agosto 1999 per il Corriere del Sud.

di Antonio Giovanni Pesce - Che il passato  ritorni, questo non ci è dato sapere. Certo è che il presente difficilmente dimentica, e alcune parole, che avremmo voluto non sentire più(in certi contesti), ricompaiono, dall’abisso della storia, come bestie fameliche, pronte a divorarci quel poco di sonno che i tempi duri ci concedono.
Una volta ancora la parola “Serbia”: ieri, 1914, popolo che lotta per una sua dignità, oggi, 1999, manipolo di nazionalisti irriducibili che, disprezzando qualsiasi ambasceria, massacra per la propria civiltà, che vede in pericolo – e non a torto – dagli “yenkee” americani e dai musulmani albanesi. Ieri come oggi: 1914, 1936, 1999, Balcani, terra di fuoco, crogiolo di lingue, culture, religioni, tenute insieme per decenni dal terrore che incuteva il regime del maresciallo Tito e dalla fame del sistema comunista, e divisesi, in pochi anni, per ricercare un anelito di libertà, quella libertà per anni negata e sempre agognata.

Kultur e Zivilisation a Pek







 Articolo pubblicato sul Corriere del Sud nella seconda metà del 1999. Nulla di originale.



La guerra del Cossovo e le immagini, nella loro brutale verità, che ci giungono dalla cittadina di Pek, nel territorio della quale i nostri militari stanno rinvenendo, ad uno ad uno, i tasselli di quell’immenso scenario di morte e distruzione, opera di menti insane che vestono un’ideologia e una divisa perché, senza queste, non saprebbero bene chi siano, riaprono cicatrici mai bene sanate.
E non solo. Perché le posizioni di certa cultura serbo-russa (ma, si faccia attenzione, una piccolissima parte delle intelligenze di quei paesi) sembrano richiamare, per l’uso di parole come “terra”, “sangue”, “istinto ed eroismo”, alcune posizioni assunte dalla cultura tedesca dall’inizio del secolo fino alla sua metà,  ma soprattutto  durante la “vigilia” dei due conflitti mondiali, e un discorso, quello su kultur-zivilisation, che ha visto, confrontarsi due modi di essere, latino o nordico, di immaginare il futuro, di costruire il presente. E, soprattutto, ha visto coinvolta tutta l’intelligenza europea, i migliori intellettuali, nei momenti più tragici della storia del nostro continente.

Quelli che se la cantano

Si potrebbe aggiungere: "Quelli che ritornano".
Ritrovo questo scritto di tredici anni fa, da quest'anno perfino attuale. Il ritorno di vecchi stereotipi nella competizione canora più amata e odiata dagli italiani. 


Quelli che se la cantano, probabilmente se la sarebbero pure suonata da soli, se non avessi avuto i miei trentotto e mezzo. Di febbre, si capisce. E così, questo virus stagionale non risparmia nessuno, me compreso, che rincaso prestissimo, con le ossa tutte rotte, e con uno stato mentale che certo non incita alle letture di prestigio. L’Ente ed essenza, di San Tommaso d’Aquino, giace nel silenzio, sotto la pila dei libri accatastati sulla scrivania. La Fides Et Ratio del Sommo Pontefice, viste le polemiche che ha suscitato, merita un più che vigile lettore, ed io proprio non ci sono. Giornata dura, che piega pure un duro come me.
Cena, plaid e pantofole. Coraggio, mi dico, i ragazzi della tua età con una febbre da cavallo combattevano in Vietnam… che ti potrà capitare?

22 ottobre 2012

L'umano, la maschera e le cose




Un testo che porta la data del 25 novembre 1999. Non mi ci riconosco più, se non nella preminenza che si da all'esistenza umana nel cosmo.
Titolo apposto in questa ultima versione.

La degenerazione di un concetto, di una vita o di che so altro, inizia, sostanzialmente, quando alla sua natura spirituale, metafisica si preferisce attribuire caratteri meno plastici, meno duttili, più rigidi, e questo perché davanti alla multiforme essenza di un qualcosa, di un ente, si materializza una tipica fobia umana che, dopo quella che genera in noi stessi il contatto con la nostra anima, e quella generata dal contatto intellettuale che abbiamo col nostro avvenire, è, certamente, una di quelle che rendono più movimentate le nostre notti, di noi esseri umani, cioè, ed una di quelle che ha reso incandescente il dibattito filosofico dalle origine sino ai giorni che viviamo: la paura che il mondo, questo mondo, fatto di enti, questo mondo fatto di cose e persone, soprattutto di persone, che si muovono, le une potenzialmente nel campo d’esistenza delle altre, possa liquefarsi sotto le mani stesse di chi crede di averlo in pugno, sotto gli occhi di vede – e vede realmente, di chi sente – e sente realmente.

Empia Pietas



di Antonio Ucciardo - Cos’è la pietà? In modo estremamente sintetico, potremmo dire che si tratti del desiderio delle cose che Dio desidera. E poiché nessuno può spingere il suo desiderio fino al cuore stesso di Dio, lo Spirito Santo dona di vedere tramutato questo desiderio in una possibilità concreta. Saper corrispondere ai desideri di Dio è opera della grazia, e non nostra. Tuttavia, il nostro desiderio confluisce nel desiderio grande di Dio, che è la nostra santificazione. Così, attraverso la pietà, noi manteniamo desta la fiducia in Dio e ci conformiamo alla sua santa volontà.

Il silenzio degli innocenti



persecuzione dei cristiani

“Entrò di nuovo nel pretorio e disse a Gesù: “Di dove sei tu?”. Ma Gesù non gli diede risposta” (Gv 19,9).

di Antonio Ucciardo - I vangeli attestano il silenzio di Gesù. Non solo di fronte a Pilato! Commenta S. Agostino: “Gesù taceva; non per nulla era stato predetto di lui: Come agnello condotto al macello, restò muto e non apri la sua bocca (Is 53,7), come precisamente è avvenuto quando non rispose a chi lo interrogava. Egli rispose, è vero, ad alcune delle domande che gli furono rivolte; e pertanto è per quelle alle quali non volle rispondere che è stato paragonato all’agnello, appunto perché, nel suo silenzio, non fosse considerato colpevole ma innocente. Tutte le volte che non aprì bocca dinanzi ai suoi giudici, si comportò appunto come agnello che tace davanti al tosatore, cioè: non come un colpevole conscio dei propri peccati e confuso innanzi all’accusa, ma come un mansueto che viene immolato per la colpa degli altri” (Commento al Vangelo di S. Giovanni, 116, 4).

Lo spirito del Quirinale e il "salotto dei Cortesi"


di Antonio Ucciardo - Ieri il “Cortile dei gentili” ha inaugurato la sua tappa ad Assisi con l’intervento del Capo dello Stato. Atto di rispetto istituzionale, presumo. Non so spiegarmi altrimenti la presenza di Giorgio Napolitano, che, a conclusione del suo discorso, ha voluto richiamare lo spirito di Assisi. Accogliamo con il massimo rispetto le parole che il Presidente ha riservato al difficile momento che il nostro Paese attraversa, riconoscendo la bontà delle affermazioni sull’importanza del bene comune e dell’invito rivolto a tutti, credenti e non credenti, a voler “rianimare senso dell’etica e del dovere”. Mi sono chiesto dove fosse il Dio evocato nel tema assegnato a questo Cortile. Forse è troppo pretenderlo dalla più alta carica delle nostre istituzioni repubblicane. In fondo, il Presidente ha indicato nello spirito di Assisi la metodologia da seguire in questo difficile momento, nel quale abbiamo bisogno “di apertura, di reciproco ascolto e comprensione, di dialogo, di avvicinamento e unità nella diversità”. E quindi siamo serviti! Abbiamo celebrato un bel momento di confronto e possiamo ritenerci soddisfatti.

Il puritanesimo come “arma di intolleranza”


di Antonio Ucciardo - L’America puritana è indignata contro mons. Cordileone, vescovo eletto di San Francisco, sorpreso dalla polizia di San Diego con un tasso alcolico superiore a quello consentito in California. In un paese nel quale si può girare liberamente con le armi, si prova orrore di fronte a questo gesto. La legge va rispettata, ed un vescovo od un prete devono sforzarsi di essere esemplari. Su questo nessun dubbio! Da qui a sostenere che fosse ubriaco, però, ce ne passa. Anche perché il prelato era in compagnia di un sacerdote e della madre. Non penso che un vescovo non si curi dell’incolumità della propria madre. Nessun referto è stato reso pubblico. In assenza di dati certi, potremmo ipotizzare che si sia trattato di un bicchiere in più, che non toglie la necessaria lucidità a chi si mette al volante. Non dobbiamo difendere ad ogni costo mons. Cordileone. Si può avere una madre rimbambita ed un sacerdote ubriacone al seguito! E può capitare a tutti di alzare il gomito, pensando che ci si conosca a sufficienza e che si devono percorrere soltanto pochi chilometri in città.

17 ottobre 2012

La mattanza a sinistra



Testo del 25 febbraio 2002. Pubblicato sul Corriere del Sud del quale non ho la copia originale. Rivisto in alcuni dettagli nell’ottobre del 2012. Lo ripubblico perché – ahinoi! – in alcune parti ancora attualismo. In altre no. Un uomo, però, è sempre responsabile di quel che ha pensato. In una nazione che tende facilmente a cavalcare i buoni propositi del momento, questo potrebbe anche essere un atto eroico, se non addirittura sovversivo.

Titolo apposto nell’attuale versione.


di Antonio Giovanni Pesce - Chi conosce noi e il giornale che ci ospita si sarà accorto, ne siamo certi, che quando possiamo le suoniamo a tutti, senza alcuna distinzione, ma la giusta imparzialità del pubblicista diventa mero strumento di vanità col quale crogiolarsi, se non si ha l’ardire, quando urge, di testimoniare la verità sugli eventi. In fin dei conti, l’unica cosa che abbia veramente valore. E allora tagliamo corto – i lettori sanno, e della loro opinione solo ci importa, e cerchiamo di ricostruire il filo che lega fatti apparentemente così distanti, come il ribollire di Cofferati, le arringhe di Moretti, l’angoscia di Rutelli per i pericoli che la democrazia correrebbe in Italia, i comizi del’ex presidente super-partes della “pluralista” Rai, Zaccaria.

Incapaci del reale?




Si tratta di un testo composto a commento di una rivista letteraria, stampata a Catania e diffusa da giovani studenti della facoltà di Lettere. Correva l’anno 2002, e il documento porta la data del 28 maggio.
Corretto solo per alcuni errori, mi piace riproporlo, ma vi va aggiunto un commento veloce. In un articolo di apertura, un redattore, A.S., affermava che la poesia dei nostri tempi è figlia più di un certo surrealismo, che non già del realismo classico. Se avessi avuto allora la conoscenza del pensiero di Del Noce, non mi sarei sorpreso così tanto che intellettuali sedicenti di sinistra si dessero così alla ‘deviazionismo’ borghese. Rimane il problema, da me come da A.S. non risolto, di che cosa si intenda per realtà. la pedissequa descrizione di ciò che accade è realtà? Non credo. La realtà a cui tende l’arte, e in modo sublime la poesia, è una realtà più profonda, il senso ultimo di ogni fenomeno.
Giusta questa veloce definizione, Baudelaire non è meno realista di Celine, e questi non è realista per come scrive e per ciò che descrive, ma per quello a cui tende.

Il titolo è stato apposto in questa versione.

Siamo più figli di Poe e Baudelaire che non dì Pavese o Celine: questo, in definitiva, la diagnosi tracciata da Sparatore, che mi vede concorde – anche nel richiedere  un maggiore contributo da parte di altri “stili” o modalità di espressione.
Credo ciò non sia un problema: le riviste, quando sono vere e non confezionate ad arte, fanno emergere, seppur velatamente, il comune sentire in merito alla “composizione”, alla tecnica attraverso la quale l’uomo diviene artefice di un qualcosa. L’uso di una o di un’altra tecnica, dunque, non è un problema, ma lo è, per fini conoscitivi, il perché ne venga preferita una ad un’altra: è il fenomeno che emerge, ma se seguito nella sua scia, ci potrebbe portare a capire i pensieri, le letture e perfino le speranze e i costumi della nostra generazione, evitando, al tempo stesso, gli sterili contenitori generali.
Quanti, leggendo il nome di Poe o di Baudelaire, non sono tornati agli anni del liceo quando, magari durante le interrogazioni (altrui!), o la sera, con una musica di sottofondo, leggevano quei versi o quei racconti, così lontani, così distinti da quanto lo studio curriculare offriva? L’uomo non è ciò che mangia, ma scrive secondo ciò che legge.
Potrebbe esserci una spiegazione non “educativa” – diciamo così, ma storica: l’Occidente decadente è la terra che ha visto tramontare la Parola. La Parola tramonta, lì dove si viene deposto il suo senso:  e che senso potrebbe mai avere, se l’uomo ha chiuso se stesso un in bieco scetticismo? Un’analisi di un qualsiasi discorso, al di là di chi ne fosse il soggetto, farebbe emergere una sequenza di “secondo me”  quasi infinita, segno tangibile di come ormai l’uomo occidentale si sia chiuso in un’autarchia ridicola, come sia diventato un ufficio postale senza dogana.
Ragioni più empiriche, più soggettive non sono da escludere: e se fosse pure colpa di un male profondo, di questo chiuderci in  noi stessi, di questa paura del confronto, del dialogo, chiusi nelle nostre paure, nelle nostre insicurezze? Se la malattia, più che essere di tutto l’Occidente,  fosse innanzitutto un morbo che ha attaccato tutti noi, che temiamo il mondo perché, ormai, se siamo liberi di realizzarci – anche socialmente, tuttavia vediamo a quali repentini crolli si sia soggetti, e temendolo, lo rigettiamo completamente?
Forse Sparatore ha colto nel segno  quando, senza tanta retorica, scrive che “i giovani non hanno più la tecnica o l’immaginazione per raccontare la realtà così come la vedono”, ma anche lui, in fin dei conti, propone più risposte, senza dimostrare propensione alcuna per una specifica. Che dire? Ciascuno dica la sua. Io sono tra i realisti – magari mal riusciti, ma non riesco a staccarmi dalla realtà, perché altrimenti non saprei giustificare alla mia coscienza come un terzo possa sapere gli intimi pensieri del protagonista, tranne attraverso certe “trovate”, che non ho ancora sperimentato. 
Concludo, facendo notare come si sia davvero lontani - grazie a Dio - dagli schematismi di metà secolo: oggi essere surrealisti o realisti non ha altra connotazione che quella artistica.

Antonio Giovanni Pesce


I nuovi barbari e il sacrificio del successo

Quando questo articolo apparve, nel febbario del 2004, in un foglio del paese in cui vivo (Motta S. Anastasia, Catania), in molti mi accusarono di bigottismo, nonché di aver generalizzato molto. A distanza di anni, le medesime cose sono state scritte sui giornali radical chic di questa nazione in decadenza. Passano le mode, ma non gli italiani pronti ad intrupparvisi.

di Antonio Giovanni Pesce - Chiunque abbia studiato un po’, spesso si sarà trovato a fare i conti con i barbari. Sì, quei signori che scendevano dalle steppe delle Germania, per far man bassa dei tesori e della civiltà romana. Ammetto che, con i tempi che corrono, magari si è più informati su come fare la velina (quale movenze siano più attraenti), su quale pezzo scimmiottare davanti ad una platea (quanti Gasmann ha prodotto la nostra civiltà!) o, più realisticamente, a chi portare la borsa per avere il tanto agognato posto fisso. Ma noi ci proviamo lo stesso a parlare dei barbari. Soprattutto perché, ormai, il concetto di barbaro è diventato assai democratico: non servono studi storici per pochi eletti, perché il barbaro ci passa sotto la finestra,  magari ce lo abbiamo come vicino di porta…. magari dorme nella stanza accanto, e porta il nostro stesso cognome. E quindici, sedici anni fa un dottore in camice verde ce l’ha presentato come nostro figlio, nostro fratello, nostro nipote……

Epifania della Luce

Lo scritto, che ritrovo tra vecchie carte, è datato mercoled' 16 giugno 1999.



In principio era la Luce.
Il Principio fu la Luce, e la luce era presso l’Infinito e l’Infinito era la Luce. Tutto fu creato, tutto divenne e, ancora, negli attimi che passano, tutto diviene per mezzo e ad opera dell’Infinito. L’Infinito ha amato, l’Infinito fece il suo Amore Parola, e la sua Parola divenne Luce, divenne Verbo.
La Luce, che è Verbo, ha lasciato gli splendori dell’Infinito, ha attraversato gli spazi siderali del Cosmo, essa è stata Cosmo, la Luce è ordine per la materia che giace, melliflua, nella spasimo del Peccato. Essa, la Luce, è ordine per lo spirito immondo dell’ente, è Verbo per l’anima dell’uomo.
La Luce, quando ancora giaceva immobile la pendola dell’Universo, e non si sentiva il rintocco sordo dello scorrere della vita per le mute vie celesti, la Luce passò. Fu, allora, che nacque IL PRIMA e IL DOPO, IL PRECEDENTE e IL SUSSEGUENTE. Per questo, ancora oggi, parliamo d’un INIZIO, perché ci è dato vedere il sorgere del sole, e lo scintillio fluttuante dei suoi raggi imperversare sul moto regolare del mare, e il bagliore, ormai maturo, del giorno che nasce. Non sappiamo, però, della FINE. Ci è concesso immaginare, perché lo spirito dell’uomo è grande e immense sono le quantità di colori  cui può cibarsi, e innumerevoli le sfumature con le quali dipingere un suo mondo, e molteplici le tonalità con le quali conferire espressione ai pensieri. Non può sapere, però. Tace il suo pensiero. Chiusa rimane la bocca. Egli sa d’una FINE. Non sa, però, la FINE. Egli sa che il giorno finisce quando lunga s’è fatta l’ombra dei cipressi, quando si distendono lontane le immagini di uomini che camminano, chiusi nella frotta dei propri sentimenti. Egli sa che il giorno non ha più tempo per sé, allorché vede il rossore del sole sbiancarsi su pareti umide, tra le quali si è consumata un’altra esistenza, il soffio vitale della quale rimane prigioniero di sudate carte disperate. Egli sa. Altri bagliori, altri flutti dorati, altre splendenti carezze solari, però, sorgono in altre parti del mondo. E dove c’era vita ora c’è silenzio, e dove c’era silenzio ora c’è vita. Altri luoghi, eppure una sol vita; altri bagliori, eppure una sola emozione; altri uomini, eppure un sole solo. Egli sa, dunque, d’una FINE. Non sa, non può sapere della FINE.
Sta scritto, che passò la Luce e vi fu IL PRIMA e IL DOPO. Mai sia scritto, che nessuna mano si macchi di un tal delitto –diceva, in principio, l’Infinito- che vi fu, vi è o che vi sarà IL DURANTE. IL DURANTE è la Luce medesima, che, celere, attraversando il Creato, fende lo Spazio e il Tempo. E’ Spada sfolgorante che taglia l’atomica materia inerte. E la materia inerte non può essere IL DURANTE. L’inerte materia può essere e IL PRIMA, può essere e IL DOPO, non può essere IL DURANTE. Essa non ha coscienza. Si conosce quello che è stato, si immagina quello che sarà. Non si può sapere quello che si è se non che si è Figli della Luce. Lo Spazio e il Tempo contengono la materia, non sono la materia. La materia è contenuta in un dato Spazio e in un Tempo precisato. Essa, la materia è contenuto, non contenitore. E la Luce, non sia mai detto che la Luce è lo Spazio e il Tempo. Come può un ramo fendere il ruscello che scorre, rapace, verso il mare, se fosse esso stesso ruscello? o se fosse anche solo nel ruscello? parleremmo, allora, di ramo e di ruscello? o, forse, che  le nostre parole mirerebbero a descrivere due entità distinte: una che c’è, l’altra che viene. 
La Luce creò il PRIMA e il DOPO. 



15 ottobre 2012

Il Vangelo, speranza per la Sicilia


Pubblichiamo la riflessione del rev. don Antonio Ucciardo, presbitero della diocesi di Catania e teologo, sulla nota della Cesi dal titolo Amate la giustizia, voi che governate la terra, divulgata nei giorni scorsi.     

vangelodi Antonio Ucciardo* - Nel clima attuale di disaffezione alla politica, lesivo per la convivenza democratica tanto quanto l'utilizzo errato delle opportunità concesse ai cittadini, bisogna segnalare la vigorosa presa di posizione dell'Episcopato Siciliano, che ci viene consegnata nella nota Amate la giustizia, voi che governate la terra (9 ottobre 2012). Le riflessioni dei nostri vescovi rappresentano sicuramente un contributo utilissimo all’arduo compito di tenere desta la speranza in una possibilità di autentico rinnovamento.

Quaderni Leif - 8/2012

E' uscito il nuovo numero della rivista "Quaderni Leif". In questo numero: 

Noterella redazionale, 5
Omaggio a Jean Mesnard
Jean Mesnard, Le livre et la vie,  7

Maria Vita Romeo, Un sintetico bilancio, 17

Giuseppe Bentivegna, I Pensieri di Pascal nella interpretazione di Jean
Mesnard
, 21

Domenico Bosco, Il Pascal di Jean Mesnard. Un Pascal “fedele”…
per tutti,
37

Maria Vita Romeo, Pascal e il gesuita Padre Noël: una polemica
«piena» di «vuoto»,
57
Agorà

Rosario Castelli, Il paradosso della paternità: Kiešlowski e il quarto
comandamento,
83

Alessandro De Filippo, Perdona e dimentica: crimine, pentimento,
condanna, espiazione,
93

Maria Vita Romeo, Descartes: la générosité come simulacro della carità, 105

 Spigolature

Antonio Giovanni Pesce, Un ospite scomodo nella modernità, 123


Per scaricare la rivista, cliccare qui

12 ottobre 2012

I Vescovi siciliani: "Sicilia in declino"

vescovi

di Antonio G. Pesce - È stato presentato alla stampa il 10 ma divulgato soltanto ieri, il documento della Conferenza Episcopale siciliana Amate la giustizia, voi che governate la terra, disanima impietosa dello stato in cui versa la Sicilia, ma anche sprone per uomini di buona volontà e laici cattolici, perché non venga meno l’impegno ad una società più giusta.

«Non tocca a noi Pastori – scrivono i vescovi siciliani - pronunciarci sugli aspetti tecnici e strettamente politici della crisi in atto. Siamo convinti, però, che essa ha una radice culturale e morale che ci interpella come cristiani. Prendiamo parola allora, in forza di uno sguardo radicalmente nuovo sulla realtà, che scaturisce dal quotidiano incontro con la presenza viva di Gesù Cristo, nostra vera Speranza». Il primo paragrafo è dedicato a delineare i tratti di un declino che, per i prelati siciliani, non è solo di natura economica, ma morale ed educativo. L’autonomia che lo Statuto prevede non può diventare occasione per «riaffermazioni di una sicilianità perduta o in improvvisate piattaforme rivendicazioniste nei confronti dello Stato». Semmai, va proposta «un’autonomia della competenza e della responsabilità», che ricordi a ciascuno l’importanza del proprio contributo.

Cuffaro è ancora un uomo

cuffaro santo

di Antonio G. Pesce - Inutile girarci attorno: la generazione di chi sta scrivendo queste righe (spero in un linguaggio non molto forbito, ma mi si permetta di mettere qua e là un congiuntivo) ha un futuro da ricomprare. Venduto sulle bancherelle del mercato internazionale da corrotti sensali. Il fallimento della classe politica, italiana e sicula, sta tutto qui. Tutti corrotti i politici nostrani? No, però come una rondine non fa primavera, uno sparuto gruppetto di persone perbene non può migliorare le sorti di una nazione, perché l’onestà ha più problemi a riunirsi che non il malaffare.

Catania in clausura

burqua

di Antonio G. Pesce - Non mi metterei a scrivere per difendere me stesso. Sono indifendibile per tante cose, tranne che per quelle che mi vengono imputate in questo caso. Ma c’è di mezzo l’amico Salvatore Daniele, altra pudica persona che scrive per diletto e gli amici io li difendo. Non è mio costume giudicare il lavoro altrui, tranne quando si tratta di ristabilire la verità dei fatti. In un sito, uno dei tanti che si trovano in rete per cambiare il mondo e purificarlo dal male, un gruppetto di giovani fanciulle ci dà degli idioti, facendo nomi e cognomi e criticando le foto a corredo di taluni articoli. Non solo! Le signorine chiedono la chiusura del giornale, pur sapendo che, per queste ragioni, a stento cose del genere, accadono in Iran. Si tratta di ricerca di visibilità? No, è che in certe zone del cervello politico di questa nazione, se non si firma un appello, ci si sente quasi inutili. È una di quelle cose che potrebbero essere lasciate cadere, ma siccome posso vantarmi, proprio in questo caso, di scrivere che «l’avevo detto» (e non mi capita quasi mai di avere ragione!), la soddisfazione di commentare la cosa me la prendo. Anche perché fare notare alla signorina giornalista, con mezzi legali, che criticare l’operato di un giornale o le idee di una persona è altra cosa che dare dell’idiota a qualcuno, significherebbe tramutare il gruppo facebook che ha creato (e nel quale democraticamente chiede di silenziare una voce e dal suo punto di vista, perfino di reprimere costumi sessuali erronei) in una valle di lacrime e di lamenti contro il regime, la stampa di regime, le porcate di regime e bla bla bla. Inoltre, non è il caso di far pagare all’anello più debole della catena il conto altrui.