"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

2 novembre 2012

La Chiesa forte è la Chiesa debole

Un articolo del 2000 sul vero significato dell'atto con cui la Chiesa di Roma, regnante Giovanni Paolo II, chiese perdono per le colpe del passato. Un atto con cui una casta Madre chiese perdono per le sozzerie dei figli perpetrate a suo nome.



L’efficienza è tutto, è nella qualità della salute, esaltata paganamente come un continuo di vigore e forza, che la nostra epoca, l’epoca dei grandi raggruppamenti economici, l’epoca della dittatura democratica, nella quale piccole oligarchie economiche ed esigue maggioranze maggioritarie hanno il loro dominio nella “cosa pubblica” e, facendo leva sul lassismo morale, cercano di radicarsi nell’anima della persona, che la nostra epoca trova il suo unico e indiscusso valore. Il perdono non abita più qui, dice l’uomo del ’900, perché in ballo, ormai in ogni discorso, in ogni disputa, in ogni rapporto, egli non vede più i normali termini del confronto, bensì, in una dilatata ottica frutto della diffidenza inculcata nei cuori degli uomini dalle ideologie, egli vede la lotta per la sopravvivenza, si batte perché il suo primato sull’altro sia un dato di fatto, e non frutto di un reciproco riconoscersi. Ecco, che il perdono, atto che annulla ogni distanza fra uomo e uomo, e che anzi pone a  mercé dell’uno che se lo vede richiesto l’altro che lo richiede, è bandito dalla scena politica come di quella culturale, e se non fosse per qualche sceneggiata, che a volte vediamo campeggiare sugli schermi dei televisori, e osannata dagli incensi dell’ipocrisia dell’informazione irreggimentata, noi perderemmo tanto il concetto di “perdono” quanto il nome.
In questa scena di semidei omerici, di guerrieri che non si abbattono se non davanti alle avversità del  fato, si staglia nitida la figura di un uomo che porta sulle sue spalle ricurve, il volto segnato dalla sofferenza e il canuto capo, il peso delle colpe di altri uomini, e che umilmente si prostra per chiedere perdono, come il Figlio di Dio che, abbassandosi innanzi ai suoi discepoli, deterse loro i piedi.
Il documento con il quale il Sommo Pontefice ha chiesto perdono per le colpe dei cristiani risplende della Luce della Sapienza, nel rispetto della teologia bimillenaria della Santa Chiesa, come dell’Amore  e
della Carità, e a nulla sono valse le tante interpretazioni, alcune molto più che peregrine, con le quali si è tentato di sottomettere alla propria visione ideologica, quello che è un umile e silenzioso atto di Fede, di una Fede che è incrollabile, perché poggia sulla Roccia della Verità e sempre vi poggerà.
Iniziamo dalle interpretazioni. Nostro Signore risponde a Simon Pietro, il quale si rifiutava di farsi lavare i piedi, che non accettare quel gesto, significava non avere parte con lui, rinnegarlo. Pietro accetta, allora, e dopo la lavanda, il Signore istruisce i discepoli, dicendo loro che “Se dunque io, […] ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri”.  E’ l’umiltà cristiana, il riconoscersi sempre peccatori, che in quell’occasione viene istituita. Istituita non da un peccatore, ma da Colui che era venuto per salvare i peccatori: non era venuto per i sani, per le pecorelle raccolte, ma per quelle disperse, per quelli malati. Un monito, che i tanti che hanno osteggiato il gesto del Sommo Pontefice, devono avere sempre ben presente: non saremo innalzati alla gloria dei Cieli, se non sapremo chinarci ai piedi dei nostri fratelli. Un monito per tutta l’umanità: non nella forza dell’ostinazione che si trova nella Persuasione del più forte, di chi può imporre la sua ragione, e far diventare uno sproposito un’azione lecita, alberga la Verità, perché sarebbe una “verità” piccola piccola, sulla quale nulla può innalzarsi saldamente, e passerà come passeranno gli uomini che l’hanno imposta.
La grandezza della teologia del documento sta proprio in questo, che la Chiesa non chiede perdono, come alcuni hanno detto e scritto, e sorprende che a farlo vi siano stati anche alcuni cattolici,  per i suoi peccati, perché essa non ne ha, è Santa. E’ Santa, perché il giorno della Pentecoste essa è stata rivestita della Forza della Verità, discesa sugli Apostoli nella Terza Persona della Santissima Trinità, nella persona dello Spirito Santo, che nella teologia cattolica rappresenta lo Spirito di Santità, di Verità, di Consolazione. La Chiesa è sempre Santa, non lo sono certo i fedeli che dentro di essa si raccolgono, la santità dei quali è una santità non perfetta ma perfettibile, una santità che non è mai veramente tale, mai completamente appagante per un figlio di Dio, ma è una santità che va costruita giorno dopo giorno, purificandosi dei peccati dell’oggi e pronta ad affrontare le tentazioni del domani: è la santità di cui parla l’Apostolo Paolo.
 La Chiesa ha dunque chiesto perdono, non per le sue colpe, che non potrebbe avere, ma  per le colpe di alcuni cristiani, che dimenticando il Vangelo, hanno preposto a quella Parola, che è parola di vita Eterna, le parole annichilenti delle ideologie novecentesche, dei pregiudizi secolari, della vanità umana. E per quelle di un clero e di un apostolato laico che, pur nella buona intenzione di salvare la fede da coloro che volevano distruggerla, hanno utilizzato mezzi non consoni alle parole del Vangelo.  Un giudizio severo, certo, ma che viene formulato per la redenzioni di “tutti i cristiani”, e non solo ad uso e consumo, diciamo così, dei soli cattolici: un riferimento esplicito sia alle persecuzioni ai danni di questi ultimi nell’Europa cinquecentesca del Protestantesimo, sia al primato di Pietro, che può essere contestato quanto si vuole, ma che non può essere dimenticato dal suo Successore, nella gloria della santità come nel fardello del peccato.
Il Pontefice ci ricorda che i cristiani di oggi non sono migliori di quelli di ieri: ogni epoca, dunque, ha il suo modo di esprimere santità e peccato, e se Antonio ha combattuto nel deserto le tentazioni, Edith Stein, la filosofo del circolo husserliano e suora carmelitana, morta nei campi di sterminio nazisti perché di origine ebraica, ora Santa e Patrona d’Europa, ha fatto splendere la luce della Speranza nella quotidianità oscura del Male. 
La Chiesa chiede perdono per i suoi figli, li accoglie, come il figliuol prodigo, tra le braccia, senza preoccuparsi che il fango che ricopre le loro anime possa macchiare il suo candido manto. E chiede perdono, supplice con la Vergine, all’unico che possa giudicare: Dio. Qualche attento commentatore  aveva  già capito,  mentre gli alti prelati chiamati, nella domenica del 12 marzo, a leggere le preghiere che invocano il perdono, si davano il cambio sull’altare  e davanti al candelabro a sette braccia, nel quale ciascun lettore accendeva una fiamma, simbolo di purificazione e di memoria.
Non è il gesto rivoluzionario, dunque, di chi chiede a buon mercato stima e compiacimento, come è stato interpretato da certe serpi che la Santa Chiesa accoglie nel suo grembo, soltanto per poterli, un giorno, redimere da quel tipo tutto moderno di peccato, che è la tracotanza di sapere e giudicare, ma il segno sofferto del grande Magistero che la Chiesa incarna da duemila anni. Nulla di nuovo, dunque, semplicemente qualcosa di più chiaro, visibile: nulla di diverso di quello che ogni prete compie nel silenzio della confessione del peccatore, nulla di più. Un monito che sia da esempio per quanti, ancora, non hanno capito, o non hanno ancora visto; non condanna, semplicemente,  di una determinata epoca o di determinate colpe, ma del Peccato metafisico, di cui quello storico non è che una manifestazione blanda e, a volte, fuggevole.
Solo Dio, a cui la Chiesa riconduce i figli dispersi, può accogliere la richiesta di perdono alzata dalla sua comunità, perché Egli soltanto può giudicare, Egli soltanto non ha colpa. Il novecento e le sue ideologie, dal comunismo al nazismo, dal razzismo di Auschwitz a quello dei moderni laboratori bio-tecnologici, ci lascia una immagine collettiva della colpa, che solo gli orbi dello spirito non vedono, solo i sordi dell’anima non sentono, solo le mute coscienze dei vili non considerano.
Nessun giudichi, e il mea culpa della comunità cattolica (nel senso di comunità cristiana nella sua totalità) si alza, umile, al suo Signore soltanto, non ai tanti compagni di sventura che, se non hanno indotto in tentazione i figli di Dio,  non li hanno tuttavia distorti dal peccare, e che, comunque, non hanno mai voluto pulire i loro pulpiti sozzi di sangue, se non con la boria della dimenticanza.

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