"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

22 ottobre 2012

Il silenzio degli innocenti



persecuzione dei cristiani

“Entrò di nuovo nel pretorio e disse a Gesù: “Di dove sei tu?”. Ma Gesù non gli diede risposta” (Gv 19,9).

di Antonio Ucciardo - I vangeli attestano il silenzio di Gesù. Non solo di fronte a Pilato! Commenta S. Agostino: “Gesù taceva; non per nulla era stato predetto di lui: Come agnello condotto al macello, restò muto e non apri la sua bocca (Is 53,7), come precisamente è avvenuto quando non rispose a chi lo interrogava. Egli rispose, è vero, ad alcune delle domande che gli furono rivolte; e pertanto è per quelle alle quali non volle rispondere che è stato paragonato all’agnello, appunto perché, nel suo silenzio, non fosse considerato colpevole ma innocente. Tutte le volte che non aprì bocca dinanzi ai suoi giudici, si comportò appunto come agnello che tace davanti al tosatore, cioè: non come un colpevole conscio dei propri peccati e confuso innanzi all’accusa, ma come un mansueto che viene immolato per la colpa degli altri” (Commento al Vangelo di S. Giovanni, 116, 4).

Anche il cristiano conosce o sceglie il silenzio. Lo conosce quando oppone alle accuse la forza della sua innocenza; lo sceglie quando è confuso.
Oggi abbiamo la tendenza a vedere il male quasi dappertutto. Certo, saremmo ipocriti se dicessimo che tutto va bene. In un certo senso abbiamo l’abitudine di giudicare tutto alla luce della nostra presenza nella storia. Il passato ci viene raccontato ed il futuro ci sfugge. Ma noi siamo in questo nostro tempo! A volte sfugge il senso più profondo della profezia cristiana, che non è un progetto sul domani, ma una voce forte sul presente. Nessuno annunzierà per noi il Vangelo a questa generazione. Se noi abdichiamo, la nostra responsabilità sarà tremenda nel giorno del giudizio. “Guai a me se non annuncio il vangelo”, grida Paolo (1 Cor 9, 16). 
Se ci volgiamo indietro, non solo comprendiamo quanto sia sempre stata necessaria questa urgenza, ma riusciamo a distinguere anche le due forme di silenzio che rappresentano un modo inusuale, ma non meno efficace, di annunziare la Verità: il silenzio dell’adorazione e il silenzio del martirio.
Il primo è la risposta al silenzio stesso di Dio, che parla attraverso la Croce. Non solo la silenziosa ripetitività della liturgia, che ripropone nel sacramento il Sacrificio di Cristo e pronuncia la sola Parola di salvezza, ma anche il silenzio di chi prega, il silenzio di chi si offre insieme con la Vittima divina, il silenzio di chi sceglie lo spazio del deserto e la morte al mondo e alle sue parole. Soltanto questo nostro tempo, tutto pervaso di impegno febbrile, ha potuto mettere in discussione il silenzio della liturgia e quello della vita claustrale.
C’è poi il silenzio del martirio. L’uccisione di un cristiano è sempre la scelta di un silenzio. Egli richiama le colpe di quelle coscienze che hanno smesso di fare silenzio in se stesse per non dover ascoltare il grido interiore della Verità. “È diventato per noi una condanna dei nostri pensieri; ci è insopportabile solo al vederlo, perché la sua vita non è come quella degli altri, e del tutto diverse sono le sue strade” (Sap 2, 14-15).
Il martire è sempre l’uomo del silenzio, anche quando grida la Verità. Perché bisogna saper ascoltare tutta una vita per opporre la propria innocenza agli accusatori. Bisogna stare nel silenzio di Dio per poter pronunciare l’ultima parola con l’innocenza stessa della prima, nell’istante del battesimo. La forza degli inermi, che è dono dello Spirito Santo, ammutolisce il mondo e le sue urla.
Non tutto va male. Il silenzio eloquente dei martiri ci assicura che tutto sta andando secondo la logica di Dio. Egli non è assente. Sta giudicando già la storia – anche questa nostra storia – con il silenzio della Croce. Ha già vinto, anche se noi non vediamo affermarsi la sua vittoria e sperimentiamo l’opposizione del mondo.Quale silenzio vogliamo scegliere per noi?
Esiste anche un altro silenzio, gelido quanto il suo freddo mutismo davanti alle accuse. Non è facile discernerlo. Con troppa facilità lo si riveste di propositi che esso non conosce o volutamente ignora. Assume le sembianze del rispetto, del dialogo, della misericordia, della carità. Riduce al silenzio, con la sua stretta insidiosa, tutto quello che dovrebbe gridare la nostra fede al mondo. E’ il silenzio degli ignavi, dei codardi, contro il quale si leva la voce dei martiri d’ogni tempo. E’ il silenzio di quest’assurda religione dell’impegno, che è cosa diversa dalla salvezza. Non la sentiamo soltanto perché adotta le nostre stesse parole. Ma possiamo riconoscerla, in quanto rifugge dal silenzio che è dovuto all’azione misteriosa e salvifica di Dio.
Aveva ragione Bernadette, la piccola veggente di Lourdes, rimasta nell’infanzia dello spirito anche nel suo convento di Nevers. Quando i Prussiani bombardavano la cittadina, la sola a mostrarsi imperturbabile in quel suo convento era proprio lei.
- Suor Maria Bernarda, non hai paura? – le chiesero le consorelle.
-Bisogna temere soltanto i cattivi cattolici- fu la sua risposta.  


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