"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

22 dicembre 2008

LA PREVEDIBILITA' DEL MALE



Il male è banale. Banale perché ripetitivo, scontato, facilmente prevedibile. Hannah Arendt ci lascia una grande lezione, ma non subito è stata capita: c’è voluto del tempo. Cristiani, musulmani o ebrei che si sia, fa parte delle nostre più scontate intuizioni che il Bene sia qualcosa di
grandioso. E lo è. E lo è perché trascende la minuta esperienza umana. Il male no, non trascende. È immanente all’atto con il quale lo si compie. Fine a se medesimo. Non mette capo a nulla, e nulla vi ha messo capo, almeno in un senso ontologico.
Ma siamo un poco manichei: ci aspettiamo che, come esista un solo principio del bene, ce ne sia uno pure del male. Errato. Lo sapeva la Arendt, attenta studiosa di S. Agostino, per il quale il male è assenza di bene. Assenza, non presenza. Scrive: “Fatta eccezione per ciò che non esiste, non esiste un essere contrario all'essere che è nel grado sommo e da cui sono tutte le cose che sono. All'essere è infatti contrario il non essere. E pertanto non esiste una essenza contraria a Dio, cioè alla somma essenza e creatore di tutte le essenze qualunque esse siano.”(De civitate Dei XII,2).
Il male non gode della grandiosità del Bene. Perché non ha altrettanta basa su cui poggiare. Possono esserci varie spiegazioni. Di mezzo c’è sempre la libertà. Tuttavia, una prima spiegazione può essere quella di pensare il Bene Creatore come causa e gli enti come effetto: il Bene crea liberamente, e la libertà entra, dunque, a far parte dell’effetto, anche se in un modo affatto diverso da come è presenta nella causa. O ve n’è un’altra di spiegazione: anche Dio, quando gli capita, rischia. Quando amiamo qualcuno, quando ci fidiamo di una persona, quando scommettiamo su di essa, noi abbiamo fede, ed avere fede è ponderare la portata del rischio: la scommessa di Pascal è il più perfetto calcolo probabilistico. Non è cieco affidamento, ma sensata fede. Scommettere non è come tirare a sorte. Si sceglie il cavallo migliore: non è detto che vinca sicuramente. È probabile. Su quattro Arcangeli, l’autonomia dell’amore originario è tramutato in odio solo in uno. Dio sa scommettere.
Ma Dio sa scommettere perché ha fantasia: vede tra le fessure della necessità il barlume del possibile. E vedere il possibile è, per Dio, plasmarlo come il necessario, e forse più, giacché il possibile è possibile per l’uomo, e quando il possibile diventa per l’uomo ciò che è, allora la fantasia di Dio e la volontà dell’uomo coincidono. Il male non sa essere fantasioso né libero: fantasia e libertà sono entrambe segni tangibili dell’infinità dell’Essere. Nell’uomo, pur nella sua finitezza, il Bene offre sempre una gamma di azioni di gran lunga più ampia di quella che offre il male. Il male non è creatore dell’ente: ne può diventare perfino padrone, ma non gli darà mai i natali. E questo ne limita la portata: può asservire ciò che è, ma il suo potere sarà sempre quello delimitato dall’orizzonte dei suoi servi. Il Bene disegna il mondo, il male lo subisce.
Ecco perché non è difficile immaginare il male che si sta compiendo proprio in questo istante, mentre innumerevoli sono gli anfratti delle tenebre in cui s’insinua la luce del Bene. Ecco perché i giornali diventano, leggendoli nel tempo, così noiosi da non meritare più nemmeno l’attenzione di chi li scrive: tant’è, che quel che capita nel mondo trova subitanea collocazione nell’attenzione delle diverse redazioni. I vari caporedattori sanno come spartirsi le bravate del signore di questo mondo.
Ecco perché non è neppure tanto arduo preventivare il male che gli altri ci faranno, le delusioni della vita, gli errori, ecc. Tutto scontato. Alla fine il rischio è che ci si faccia il callo. Però, quando una parola inaspettata, un gesto inatteso fanno vibrare le giuste corde, la meraviglia si serve dell’imprevisto per aprirci ad un orizzonte che si celava nella ruggine del quotidiano.
Le due pettegole incontrate alla fine di una via erano già messe in conto già prima di voltare l’angolo: non il loro viso, non le loro parole, ma la pietra d’inciampo la si poteva ben calcolare. Stupisce ancora oggi – e sono millenni che se ne parla – dell’amore che l’amico scopre e il sorriso che lo bandisce al mondo.



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