"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

15 settembre 2010

MARK LILLA, IL CROCIANO D'AMERICA


Religione e politica:
"Distinzione, non opposizione"



Di Antonio G. Pesce- Ogni anno commemorare la strage delle Torri Gemelle si fa più difficile. Non sempre si trovano le parole giuste, soprattutto quando di parole non ne vengono anche a distanza di quasi due lustri, o quando davvero se ne sono scritte troppe.

Eppure quell’America, che l’antioccidentalismo démodé dei nostri lidi fa apparire come la bigotta sorella di una più spregiudicata, non ha smesso di interrogarsi. Dato per scontato che il massacro epocale – per la sua portata simbolica a dire il vero, più che per il numero di persone coinvolte (su quest’ultimo aspetto, purtroppo l’uomo non si è fatto mancare nulla) – sia stato dettato dal fondamentalismo religioso, quando e perché l’Occidente avrebbe guadagnato l’approdo sereno della laicità? Soprattutto: è una conquista definitiva? E se, invece, la religione (almeno, come tradizionalmente viene intesa) ha ben poco da spartire con quell’evento, e si è trattato dell’avvento di una nuova ideologia – nuova nel contenuto e non già nella forma – davvero noi occidentali ne siamo stati sempre immuni?

Che tra il fondamentalismo religioso e l’ideologia non ci sia molta differenza, anzi che la seconda sia diretta filiazione di certo messianismo redentore è uno dei temi portanti di certi scritti di G.M Cottier. Ed è su questa linea che Mark Lilla, filosofo americano e docente di storia delle idee, fa muovere due suoi lavori, apparsi nell’arco dell’ultimo anno per i tipi della Baldini e Castoldi Dalai editore. Il primo libro è Il Dio nato morto (2009), che è anche il frutto di ricerche più recenti; l’altro è Il genio avventato (2010), una raccolta di saggi su filosofi molti influenti nel panorama culturale mondiale e per la formazione dello stesso autore.

L’idea portante degli studi di Lilla è che la teologia, cioè la nostra spiegazione ultima sul senso dell’esistenza personale e associata, abbia delle specifiche ed ineludibili ricadute sul nostro modo di vivere la politica. E se nel Dio nato morto sono ancora le religioni tradizionali ad essere oggetto di indagine – soprattutto il protestantesimo – nel Genio avventato il Dio redentore non è quello dei sacerdoti, ma del pastore laico delle coscienze, quell’intellettuale che, fin troppo imprudentemente, ha preso parte alla battaglia politica, finendo per osannare déi sanguinari e tirannici.

Perché questo? Perché non possiamo non darci una spiegazione della nostra esperienza di vita, e quella della laicità è una spiegazione dei rapporti fra religione e politica che la nostra civiltà si è data vivendo, e come il senso che ognuno di noi dà della propria esistenza non può essere esportabile (e, comunque, è sempre in continua costruzione), così non possiamo esportare un modello di soluzione di alcuni problemi che noi abbiamo visto come tali (e non è detto che altrettanto valga per altri), e i cui risultati possono essere provvisori.

Sotto, una concezione della politica fatta di distinzioni e di prudenze, assai vicina a quella della Arendt e di Croce. E di Vico, al quale Lilla ha dedico una bella monografia (mai tradotta in italiano e ormai scomparsa dal mercato), nella quale ha mostrato come una lettura ortodossa del Concilio di Trento abbia portato il filosofo napoletano ad una visione antropologica affatto diversa da quella dei contemporanei, e a risultati epistemologico e politici che si possono definire “antimoderni”.

Essere laici è qualcosa che, ad un certo punto della nostra storia, semplicemente ci è accaduto. Questo accadimento Lilla lo chiama ‹‹la Grande Separazione››, cioè il momento in cui la filosofia politica moderna ha ‹‹abbandonato tali pretese onnicomprensive, slegando la riflessione sul regno della politica umana dalle speculazioni teologiche riguardanti ciò che potrebbe stare al di là di esso›› (Lilla 2009, p. 15). Quello che potremmo definire il Caronte della modernità è Hobbes, e già nel suo esperimento c’è tutta la fragilità della soluzione: affermando che la religione è solo una superstizione, il filosofo inglese finisce per legare la fede alla mente umana. Era giocoforza – scrive Lilla – che prima o poi qualcuno ne avrebbe mostrato anche gli aspetti positivi, guardando al credo sì come ad una proiezione della mente, ma nella quale l’uomo esprime il meglio non il peggio di sé. Rousseau e Kant, col loro ‹‹Dio etico››¸ spianano la strada al ‹‹Dio borghese›› di Hegel.

Nei Lineamenti di filosofia del diritto Hegel afferma che ‹‹ciò che è razionale è reale, e ciò che è reale è razionale››. Quando la mente umana si fa spirito, realizzazione di un’idea, la fede si fa culto, entra nella storia, anzi è storia. L’idea che si possa essere atei, pur continuando ad ammettere la religione come collante civile nasce proprio così, dal fatto cioè che non è necessario credere ad alcuna trascendenza per essere questi credenti: siamo questi credenti, abbiamo questa fede civile, crediamo in questi valori per il semplice fatto di avere questa storia.

Ma quando la ‹‹casa ben organizzata›› – è il titolo del quinto capitolo, dedicato alla teologia liberale- crolla sotto i colpi della disillusione bellica (scoprire che la missione redentrice del mondo non spettava al Reich di Guglielmo II fu tremendo per un’intera generazione di intellettuali) che succede? Succede che la seconda tendenza classica del cristianesimo prende piede: è quella gnostica, che attende il momento decisivo, delle ‹‹grandi scelte››. E può succedere che il ‹‹fuoco redentore›› sia portato da un imbianchino austriaco o da uno studente russo.

Una pagina del Dio nato morto racconta la storia dell’Occidente negli ultimi dieci anni :‹‹Chi tra noi ha accettato l’eredità della Grande Separazione deve farlo sobriamente. Dobbiamo sempre ricordare a noi stessi che viviamo un esperimento, che noi siamo l’eccezione. […] Abbiamo fatto una scelta al tempo stesso più semplice e più difficile … abbiamo scelto di tenere la nostra politica al di fuori della luce della rivelazione. Se vogliamo che il nostro esperimento funzioni, dobbiamo fare affidamento sulla nostra lucidità›› (Lilla 2009, 349).

Che però la lezione di Lilla sia più indirizzata alla politica che alla religione, lo capiamo dalla lettura del suo secondo libro uscito in traduzione italiana, Il genio avventato. Qui non si tratta di teologi né di teologia, ma di filosofi, di pensatori che hanno fatto la storia della filosofia nel XX secolo: Martin Heidegger, Carl Schmitt, Walter Benjamin, Alexandre Kojève, Michel Foucault e Jacques Derrida. Da una parte all’altra del Reno – geograficamente come politicamente – condividevano la visione del mondo politico come culla del compimento di un destino. Per loro, la politica non è stata lo sforzo che gli uomini fanno per organizzare la loro convivenza sulla terra, ma la spoletta che avrebbe dovuto far detonare ciò che ha da essere, il luogo dove primariamente appare il compimento della storia. Nazionalsocialismo e comunismo, allora, diventano le religioni del nuovo mondo quale partorito dalla mente del filosofo. Meglio: logos di quell’essere che aveva dato origine al reale. Fenomenologia non del male ma della necessità.

Lilla non arriva ad una sistematizzazione di alcuni concetti espressi nei suoi testi, ma non è difficile scoprire il crociano che è in lui. Intanto, la religione. Lilla non crede se ne possa fare a meno, ma crede si possa fare a meno di mischiarla con la politica. E che si possa evitare anche di annientare le differenze tra teoria e pratica, tra la formulazione di principi metafisici e le modalità dell’agire politico. La politica ha una sua dignità, un suo stato specifico che deve essere riconosciuto come tale. È l’agire di una pluralità di agenti, e non si può ridurlo ad un qualche principio logicotafisico Ed è per questo che non si deve dare per scontata l’universalità della ‹‹Grande Separazione›› né per definitiva la sua acquisizione. Ammettere che non tutto sia da noi perfettamente conoscibile e in nostro potere è un atto di umiltà che può servirci a ‹‹padroneggiare il tiranno che è in noi›› (Lilla 2010, p.226).



Pubblicato l'11 settembre 2010 su www.cataniapolitica.it

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