"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

5 settembre 2010

L' "AFFARE GHEDDAFI"


di Antonio G. Pesce- Gheddafi se n’è andato e, diversamente dal Marco di pausiniana (e sanremese) memoria, presto ritornerà. Da due anni viene a Roma per festeggiare il trattato italo-libico siglato nel 2008, ma in realtà pare voglia farci pesare una sconfitta.

Ritornerà. Si trova bene da noi. Da noi, solitamente, si trovano bene perfino i malfattori, figuriamoci un galantuomo con tanto di stile e garbo, che veste una divisa che non gli serve più a nulla, da lui stesso riempita di medaglie, e che fa lezioni di galateo e religione alle signorine (mica a Brunetta, Bondi o Cicchitto).

Dicono che, delle cinquecento ragazzotte invitate ad ascoltarlo, ne abbia convertito tre all’Islam. Il Tg1, ormai bollettino ufficiale di corte, non dice di più, ma nonostante sia difficile non credere a Minzolini, è improbabile che abbia fatto un così grosso favore ai (sedicenti) cristiani, liberandoli da tre oche. Sebbene nella sua storia personale si fatichi a trovare momenti di grande fervore religioso, come quello che dimostra quando giunge in Italia, Gheddafi rimane un mussulmano, e i mussulmani hanno scarsa dimestichezza col buonismo, un ingrediente tutto cristiano, in special modo cattolico. Fosse stato un prelato di santa Romana Chiesa, magari si sarebbe messo a cantare e ballare con loro e poi, a digiuno di catechismo, le avrebbe chiamate ad ‹‹animare›› la santa Messa o a portare l’Eucarestia ai malati. Di sicuro, avrebbe permesso loro di contrarre matrimonio nel palcoscenico di qualche chiesa.

Gheddafi non è scemo: le sceme ce le lascia a noi. Fa con i cervelli a pagamento lo stesso che con le nostre istituzioni – tra ritardi non giustificati, richieste assurde, caroselli di cavalli e pacchianerie varie: dimostrare che a Roma tutto ha un prezzo. ‹‹Talis mater, talis filia›› ed entrambe sono di costumi assai facili.

Avesse avuto un governo di ben altro spessore culturale, al Cavaliere qualcuno avrebbe potuto far notare le parecchie analogie tra il Colonnello un po’ kitsch e il re di Numidia Giugurta. Simili in strategia assai più che vicini di casa. Ma la scuola è in sfascio, ed è già tanto che le aule rimangano aperte (seppur affollate come carri da buoi). Ieri come oggi, c’è sempre qualcuno che ci specula. Giugurta faceva leva su “equites” e mercanti romani, Gheddafi sulla ricca e poco imprenditoriale borghesia italiana. Che in Libia fa affari per sé, li fa fare ai libici qui da noi, e si mette d’accordo per concedere loro indennizzi storici purché si abbiano commesse statali. A noi italiani costerà alcuni miliardi di euro farci perdonare il nostro passato coloniale da quelle parti.

Tutto questo perché, non essendo il nostro un paese che attira investimenti del mercato, deve ricorrere alle strategie stataliste per mantenere vivi sulla propria carcassa i parassiti che ancora produce – e ne produce sempre più. Tant’è vero, che mentre dimentichiamo di chiedere al buontempone libico risarcimenti economici per gli italiani che scacciò quarant’anni fa, accettiamo di pagare il nostro tributo alla decolonizzazione: danaro pubblico italiano che andrà in mano a ditte private italiane per costruire strade e quanto serva a ricordare, nei secoli dei secoli, le nostre più sincere scuse. E se Frattini sembra voglia perorare in sede europea la richiesta del Colonnello (a molti, invero, sembrata una battuta o, peggio, un ricatto) di cinque miliardi annui per non aprire le frontiere del mare all’immigrazione, non è certo perché non sappia neppure cosa sia una politica estera seria (anche, ma non solo), ma perché del riscatto qualcosa, in tasca italiana, è probabile che poi entri. Magari attraverso qualche ditta per costruire i “centri di accoglienza”, nei quali i respingimenti superficiali voluti dalla Lega fanno già oggi soffrire migliaia di rifugiati.

Berlusconi la storia non la sa. La vuole fare. Ma di questo passo, sarà difficile che vi rimanga con un profilo diverso da quello di chi faceva dire a Giugurta: ‹‹Addio, Roma venale: tu perirai appena troverai un compratore››. E Sallusti, il vicedirettore del suo “Giornale”, non è lo storico Sallustio, ben che meno saprebbe fargli un’Eneide. Dalle parti di Feltri un dì l’Europa era cristiana ed ora, che l’amico del boss invita l’Occidente a convertirsi all’Islam, sono stati costretti a riscriverla in senso assai più liberal, arrivando perfino ad imbarazzanti accostamenti tra il dittatore oltremare e il Sommo Pontefice.

D’accordo: più in basso di così Berlusconi non poteva ridurci. Ma è bene chiedersi: chi è che dovrebbe mantenerci in alto? Ogni estate che passa – è vero – conosce una nuova conversione a sinistra: l’anno scorso quella alla moralità, con tanto di richiamo alla pudicizia dinanzi alle scappatelle dell’italico cavaliere, e quest’anno alla grandeur nazionale. Ma, oltre al fatto di non essere credibile, non è neppure sensata come posizione: davvero l’Italia deve tornare a credere in se stessa, senza che ciò comporti quella che una volta era l’immediata accusa di sciovinismo, nazionalismo, addirittura fascismo? E poi, a corto di soldi e di energia, i vari Putin, Gheddafi, Nazarbaev sono davvero supplibili dal nostro innato amore per la libertà e dal risorgente senso di dignità nazionale?

Non ci si inventa nazionale. Lo si è con tanti sacrifici e con altrettanti lo si rimane. Noi è da cinquant’anni che non lo siamo più. Abbassiamo la cresta, italiani. O dimostriamo, una volta tanto, di saperci assumere il peso che le belle idee comportano.


Pubblicato il 2 settembre 2010 su www.cataniapolitica.it

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