"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

2 novembre 2010

VIOLENZA E NEGAZIONE DELL'ALTRO


di Antonio G. Pesce - Hanno destato particolare impressione i casi di violenza sui quali, per intere settimane, ha insistito la stampa nazionale – per bieca curiosità, per precludere all’informazione ogni altro tema. Chiunque abbia mai avuto una penna in mano, sa che indirizzarla contro i grandi temi dell’umanità è assai meno gravoso che sui piccoli interessi di cricca che gli stanno sotto il naso. Eppure, alla lunga, sono i grandi temi – e le risposte che ne diamo – a formare la nostra vita comune e il nostro comune sentire. Che, seppur condiviso con altri, finisce per essere, innanzi tutto, la nostra Lebensanschauung – la nostra visione della vita.

I pugni sul viso, le cordicelle strette al collo della nipote, il vilipendio da necrofilo di un cadavere sono sola le forme plateali di una violenza diffusa, che impernia di sé perfino il linguaggio, e non solo quello politico. La verità è che ci dà fastidio l’altro – l’altro non già come oggetto di riflessione intellettualistica, da trovarsi nei libri e da cullare con l’ipocrita disponibilità affettata dell’opinione pubblica, ma l’altro che incontriamo sul sentiero della nostra vita. quello vero, reale, e il più delle volte né straniero, né diseredato, né impotente o povero. L’altro con tutta la sua potenza da opporci, con i suoi dinieghi, le sue scelte non condivise, i suoi desideri che non ci contemplano.

Così, l’altro non è mai il disgraziato arrivato assetato e stanco su una carretta del mare, ma mio padre, mia madre, le persone che amo. Ma che, comunque, in un modo o nell’altro devo piegare a me. Devo ridurre a mia mera proiezione. E poco importa che io debba umiliarlo, o perfino massacrarlo. Deve piegarsi.

Nessuno si senta immune, perché è una presunzione tale che apre la strada all’inferno. La violenza – come in generale il male – sono una parte dell’umano, neppure irrilevante. Chi non può o non vuole fare con le mani, avrà di certo usato la bocca per diffamare, calunniare, spargere fango sull’ altrui persona per coprirla. Come con un burqa che copra il volto, la persona nella sua peculiarità. L’idea di un certo illuminismo, per cui basterebbe la libertà guadagnata a scapito di ogni vincolo perché le cosa volgano al meglio, è astrazione dalla vita concreta, che difatti, quando non controllata, esplode improvvisamente nei modi più crudi.

Nei millenni l’uomo ha sperimentato due modi di tenere a bada la violenza: internamente con la prevenzione della civiltà (cultura), ed esternamente con la repressione del diritto. Entrambi i due istituti sono in crisi. Non per i tagli all’università e alla forze dell’ordine, ma perché si ritiene che la cultura non serva alla vita e che il diritto la limiti troppo. E quando si perdono i riferimenti dettati dalla sensibilità delle maniere e dalla paura della giustizia, è giocoforza che l’egoicità umana si espanda. E che investa come fiumana in piena l’ altro che si frappone tra essa e la propria autorealizzazione.



Pubblicato su "L'Alba" di ottobre/novembre 2010.

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