"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

15 novembre 2010

CONTINUO A DIFENDERE SILVIO


di Antonio G. Pesce- Miei cari e pudici lettori,

la mia vanità pretendeva di trovare qualcuno di voi – una P38 in mano – sotto casa mia per gambizzarmi. Per un istante ho creduto di essere un Montanelli, e che voi aveste un-cacchio-che-sia-uno modello di società da impormi, oltre quello della costumanza pubblica (disattesa, tra l’altro, in ogni vicolo). Credevo che questo Paese avesse ancora sangue rivoluzionario nelle vene, dopo le tante tiritere sul subComandante Marcos, Che Guevara e altri poveri profeti sfigati, caduti nel dimenticatoio della vostra “pace dei sensi”. E invece, come cantava il poeta, ‹‹le contromisure fino al quel punto si limitavano all’invettiva››.

Tranquilli, amici cari costumati: non vi ho traditi. Ho in curriculum una decina di pezzi in un anno, che possono comprovare la mia appartenenza a quella schiera di italiani chic che criticano Berlusconi. Un club esclusivo, dove già da tempo io mi evincevo, perché mentre gli altri soci lo criticavano dall’ambone del puritanesimo (la nuova marca del conformismo italico), io ero costretto a parlare di disillusioni e di lavoro che non c’è. Perché, oltre che miserabile moralmente, sono pure economicamente misero. E la lingua batte dove il dente duole.

Non ero comunista prima. Garantisco di non essere diventato berlusconiano oggi: alla fine, per quanto fiero mi possa sentire nell’aver scandalizzato tanta gente, rimango pur sempre il piccolo italianuccio medio, che a non intrupparsi proprio non ci riesce. Tranquilli, sono ancora tra i vostri ranghi. Però, se proprio non volete credermi, prima che le mie opere vengano messe al rogo della vostra tolleranza, perché traboccanti di “sofismi” e di morale “post-moderna”, voi novelli Socrate nell’Atene perversa a cui appartengo rileggete meglio il pezzo. E ditemi perché, dei due giudizi insiti nel testo, abbiate guaito contro quello morale – in fin dei conti (verissimo!) abbastanza bonario – senza rilevare quello politico. Forse che vivere in una società di brave zitelle sia da preferire a quel regno di ‹‹disoccupati, cassintegrati e giovani senza futuro››? Non sarebbe questa l’accusa più grave per uno liberal-liberista, divenuto statalista in sedici anni e ormai al tracollo? Non sarà che, in fondo, io c’ho azzeccato, e che una vena di moralismo provinciale pervade la nostra discussione pubblica? Perché, tra i tanti giudizi sprezzanti contro il presidente del consiglio, non siete riusciti a trovarne uno, che potesse scusare la mancanza di quello sessuofobo?

Voi dite: perché non l’uno e l’altro insieme? Io vi preplico: perché la vitaccia di uno, quando si potrebbe additare continuamente la vitaccia di tutti – ridotti a precari da leggi infauste, senza salario adeguato, senza più diritti? Perché a fare la morale basta dimenticarsi dei propri peccati, o pensare che i propri non saranno mai come quelli del “presidente del consiglio” – lui è più di noi? e allora perché non rimproverargli di non essere stato presente nei campi, a petto nudo, durante il periodo della trebbiatura? -; per fare politica, invece, servono idee, progetti, perfino aspirazioni. Voi vi gasate come quelli dell’altro lato, ma per motivi diversi. Volete fumo anche voi, ma che sia di una marca diversa.

Non è un caso che chi ha delle cartucce – penso al giovanissimo, e già così ‘carismatico’ Renzi – abbia evitato di spararle a vuoto sul pettegolezzo (e relative sbavature). Serve un progetto diverso: qualcuno nel Pd ce l’ha, ed evita di mischiarsi con la pletora dei penitenti.

La verità è che alcuni di voi hanno un chiodo fisso: Silvio non deve copulare. E se copula, deve essere svelto – nei bagni della discoteca o nei giardinetti pubblici. In macchina, al limite. Ma che sia una cinquecento (vecchio modello: quello nuovo costa troppo). Mai in villa! Nella villa no! E senza pagare – puro amore, al limite pure sesso. Magari dopo aver adocchiato la preda tra i banchi della chiesa, o nel silenzio poetico del chiostro, o … Insomma, Dante e Beatrice, Petrarca e Laura, Ridge e Brooke (quelli di Beautiful). Un presidente del consiglio che non sia un trombatore bensì un ‘trovatore’: quasi meglio come paroliere di Apicella che ‘cavaliere’ della D’Addario.

Avete perso l’umorismo, giovani Torquemada in erba. E forse questo è il maggior risultato del corsivo di ieri – che corsivo è, amici cari, e in termini giornalistici ha un senso anche questo.

Per ora la parola d’ordine è: morale! Linea da tenere fino alla prossima, quando magari scorderemo tutto quello che ci siamo detti finora e correremo ai ripari, nascondendo la nostra severità protestante sotto le sforbiciate dell’autocensura.

Per me, cari amici, va bene. Anche se poi, abbandonato il campo del moralismo pretaiuolo, siamo sicuri di trovarci concordi non sulla indispensabilità della “rivoluzione pacifica” della morale, bensì sui singoli precetti? Quelli della Chiesa li conosco: quelli vostri quali sono? E siete sicuri che sia solo io il reproba? Non buttiamola nel filosofese: io di filosofia non ne so molto. Sono una persona umile io – del popolino. Andiamo nel concreto: se Silvio se ne fosse ‹‹caricata›› una sola di donnaccia, e non dieci alla volta come usa fare, sarebbe stato più, meno o ugualmente colpevole? E se, piuttosto che pagandola, l’avesse attirata a sé perché è lui – ricco e potente – sarebbe cambiato qualcosa? Quali sono le regole del nuovo galateo, visto che quello dei nostri padri lo abbiamo messo in soffitta una quarantina d’anni fa? Mettiamoci attorno ad un tavolo, e discutiamo su come si corteggi e si faccia l’amore: senza essere postmoderni, vedrete che non ci troveremo d’accordo. Non è che “tanto male tanto meglio”, o che “siamo tutti colpevoli”. È che le società fanno le istituzioni, e le società sono fatte da uomini, da tutti gli uomini – noi compresi. Chiediamoci il perché di tante cose, piuttosto che ricorrere al moralismo dozzinale dei nuovi predicatori.

Miei cari, lo dico chiaro – in fatto di perspicacia non vi siete dimostrati così pronti come in fatto di costume: io in fondo non difendo Silvio, ma questo Paese dall’ultimo colpo alla sua dignità: vedere tanto strepitio per la gnocca, quando ormai non abbiamo più da anni un orizzonte comune verso cui guardare. Questa la vera trave: il resto son pagliuzze che perdoneremmo, se avessimo ancora un briciolo di speranza collettiva.


Pubblicato il 5 novembre 2010 su www.cataniapolitica.it

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