"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

22 novembre 2010

DOV'ERA LA 'MEGLIO ITALIA'?


di Antonio G. Pesce- Bisognerebbe evitare di scandalizzare i “più piccoli”. Di belle anime ce ne sono poche in giro oramai. E così, ha davvero esagerato qualcuno nelle scorse settimane, perfino da queste colonne: c’è un’Italia pura e casta che non va derisa. Soprattutto perché è l’Italia migliore, ‹‹la meglio Italia››, quella che ha tutti i titoli per rappresentarci in Europa. Che sa indignarsi e tenera alta la bandiera della moralità in un Paese dove la prima regola è la purezza in spirito. La seconda quella delle mutande.

L’Europa – non tutta, ma una sua buona rappresentanza – si è data appuntamento negli scorsi giorni a Catania. Si è discusso di logica, religione, filosofia e – manco a farlo apposta – di morale anche se nella Francia del XVII secolo. Ben sapendo che alle gesta di Arnould, Pascal e Nicole – tutti filosofi, lasciateli perdere! – si preferiscono le analisi dettagliate della prostata del nostro signor presidente del consiglio, non mi dilungherò oltre nel dire che, davanti allo sfascio dell’università, Catania si è imposta come la seconda patria di Port Royal.

Racconterò, invece, di un momento di riposo, di banchetto, a lavori sospesi. Cioè qualcosa di assai congeniale al nostro attuale stato di evoluzione civile. Uno stile che accomuna tutti, perché la passione politica, se accompagnata da una bella grigliata e un bicchiere di vino, e magari da un paio di cretini che urlano da un palco, sa farsi coraggio e impegno per un nuovo rinascimento nazionale.

Ai francesi di buongusto non è concesso far conversazione sui sollazzi presidenziali (anche perché anche loro sono messi male), e dunque quando si faceva campanello attorno ad uno tra i tanti studiosi in vista, si discuteva di questioni un po’ più frivole di quelle che leggiamo sui giornali, ad esempio che cosa si faccia nella vita per produrre cultura, scienza e magari per campare. L’incauta italiana, collega di chi scrive, ha avuto l’insana veridicità di raccontare quante ore possa dedicare alla ricerca e che cosa faccia per arrivare alla fine del mese. In poche parole: dopo quattro anni di università, due di specializzazione all’insegnamento, tre di dottorato di ricerca, la collega lavora in una scuola privata che, diversamente da quanto abbia pensato in un primo momento la signora D., non ha nulla a che vedere con le paritarie francesi: qui si lavora solo per il punteggio (chi lavora, ovviamente, perché c’è chi non ha neppure questa possibilità) e per cinque-dico-cinque euro all’ora. Se si andasse a servizio in casa altrui se ne otterrebbero il doppio. Inoltre, la possibilità di avere una cattedra nella pubblica è diventato impossibile, ed avere un assegno di ricerca una chimera.

L’amor di Patria impedisce di dar conto di come abbiano commentato i filosofi francesi presenti a Catania. Certo, non si tratta dell’Economist o di Le Monde, ma la loro opinione è molto più sincera perché non dettata da particolari interessi politici. E a qualcuno sarà venuto il dubbio che chi sta in alto non faccia altro, non può far altro che essere quell’italiano che rappresenta (almeno in larga parte).

Adesso però che è chiaro cosa pensi dell’Italia chi, pregiudizievolmente, non le è ostile, sarebbe opportuno sapere dove fosse la ‹‹meglio Italia›› – quella di una certa età, perché quella che poppa latte ancora oggi non fa testo – quando la situazione ci è scappata di mano. Dov’erano Repubblica, l’Espresso, Padellaro, Colombo, la sinistra, la destra à la page di Fini (che nel manifesto di Perugia la scuola e l’università manco li nomina) e compagnia bella? E ci volevano le televisioni di Berlusconi per far capire alle ragazzine, che già da piccoline hanno come bàlia uno schermo, avendo i genitori troppo impegnati ad occuparsi della morale altrui, che è meglio dare il deretano ad altri che non alla sedia della scrivania?

Eravamo un Paese civile. Non lo siamo più. Chiediamoci come e perché ciò sia accaduto, e come evitare il passo successivo verso il baratro. Ruby Rubacuori può attendere.


Pubblicato l'11 novembre 2010 su www.cataniapolitica.it

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