"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

11 novembre 2010

IO DIFENDO SILVIO




di Antonio G. Pesce- Io difendo Silvio. Ora che anche la persona che amo mi ha sconsigliato di farlo. Proprio perché la amo, l’autenticità dello spirito è il diamante che impreziosisce ogni sentimento. Ora che anche mio padre attacca Silvio, quando fino a ieri, da buon italiano, pretendeva che qualcuno gli mostrasse il “fare” più che la ragionevolezza e il diritto di agire. Ora che anche mia madre è delusa, e anche mia nonna poverina.

Io difendo Silvio, ora che la vergogna di farlo può dare un ultimo sussulto di vitalità alle nostre borghesi esistenze, spese tra portaborse e lecchini di tutti i gradi, le amministrazioni, i colli e le montagne. Ora che la causa è persa, e persa definitivamente, Silvio diventa l’ultimo campo da battaglia contro il bieco conformismo parolaio dell’inintelligenza nazionale. Non c’è da salvare nessuno: neppure Silvio si può più salvare. C’è da salvare solo la dignità personale, la storica bigottaggine, il mio bieco conservatorismo sbandierato in anni di assidua militanza ideologica nelle latrine dello scorrettismo politico.

Peggio che vivere sotto il regno di Silvio – un regno di disoccupati, cassintegrati e giovani senza futuro – c’è il morire italiano di questa italianetta di comari frustrate, ‹‹senza mai figli, senza più voglie››, il cui sommo pontefice è Rosy Bindi, la consacrata all’Ulivo che parla di questione morale, lei ex militante di un partito che la morale se l’è messa sotto i piedi, e il primo penitenziere della cattedrale vuota del perbenismo modaiuolo è Nicki Vendola, un tizio che al triviale linguaggio da bar del Cavaliere decadente sta sostituendo quello mistico-profetico dell’illusionismo messianico-marxista postsessantottino.

Non voglio morire ipocrita. La vita è troppo breve (e rischierebbe di essere perfino noiosa) per passarla a conformarsi al luogocomunismo imperante nelle belle menti dei salotti illuminati. L’esistenza è troppo preziosa perché ci si faccia mancare la scomunica ufficiale della grande chiesa dell’occidente buonista. Vergogna chiamo su di me, che non temo l’opinione di un popolo come quello inglese, i cui trequarti di sovrani le corna le hanno messe o se le sono trovate in campo sulla prima pagina di un tabloid; che non temo la pudicizia dei francesi, che i sollazzi canterini sono venuti a cercarseli in Italia; e che invidio i tedeschi non certo per la pacatezza vaginale della loro cancelliera.

Silvio che non riesce più a governare, è il presidente che riesce ancora a rappresentare questa nazione. È il nostro presidente, ed è presidente anche di chi, poi, fa vanto di non averlo votato. Perché questa è l’Italia ginecologica – l’Italia che noi bigotti abbiamo sempre biasimato, prima di scoprirla una vergine terra feconda di santi, martiri ed eroi. Questa è l’Italia delle telefonate – telefonate comunali, provinciali, regionali, universitarie, governative, giudiziarie e se ne scappa una scusatemi tanto.

Ci mostrino gli esempi di probità che l’elettore ha scartato. Ce lo dicano i pubblicani e i farisei di questo Paese: quale pio uomo attende all’uscio la dipartita (politica e non) del nostro funesto Cavaliere? In quale statistica, tra le tante sciorinate negli ultimi trent’anni su aborto, divorzio, prostituzione e promiscuità sessuale, si nasconde la pudicizia italica, oggi tanto di moda perfino sull’Espresso, un dì insieme al Postalmarket organo dell’onanismo adolescenziale? Dove erano questi impegnati trentenni inoccupati, quando Falcone e Borsellino saltavano in aria, se non dietro la sottana appena indossata dalla compagna di banco? Dove l’intellettuale puritano, quando alle cosce si preferivano tuttavia le patriarcali eredità per accedere al trono del velluto democratico? Dove il professorino mediatico, quando il culo non era un lasciapassare pubblico, ma nessuno si imbarazzava a tirar fuori la tessera del partito per superare un esame o un concorso?

Io difendo Silvio. Ora che non si ha più da scegliere tra due diversi modi d’intendere e fare la politica, ma di redimere l’uomo per innalzarlo alla grazia mondana, io che gli attributi li ho sempre avuti, preferisco il paradiso godereccio del Cavaliere a quello arcigno delle zitelle d’antan. Sperando che se sbaglio, Rosy e Nicki, cherubini del nuovo Eden, mi lascino fuori al freddo e allo stridor di denti, piuttosto che tirarmici dentro a forza per eccesso di bontà.


Pubblicato il 4 novembre 2010 su www.cataniapolitica.it

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