"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

28 novembre 2010

FINI E IL SUCCESSO DEL NULLA


di Antonio G. Pesce- Possiamo dare due tipi di giudizio politico sulla convention di Futuro e Libertà che si è svolta ieri a Perugia. Ed onestà intellettuale vuole che si dia conto di entrambi. Non perché così, salomonicamente, si darà un colpo al cerchio del finismo e uno alla botte del berlusconismo, ma perché, in questo modo, ogni lettore potrà scegliersi liberamente la prospettiva da cui guardare alla politica nazionale.

Il movimento di Fini pare destinato ad un corposo successo elettorale. Certamente, ne ha tutte le possibilità. La richiesta di dimissioni al presidente del Consiglio, avanzata dal presidente della Camera – forse in veste di capo di partito – di per sé non significherebbe alcunché di diverso da una giusta formalizzazione della crisi ormai in atto da almeno sei mesi. Ma nel contesto attuale è la necessaria manovra tattica di chi vuole evitare un lento logoramento, preferendo la battaglia elettorale. Perché a continuare così, ad essere logorato non sarebbe stato solo il Cavaliere, ma pure il suo vecchio scudiero, che sulla base della propria ‘fellonia’ ha attratto i (parecchi) delusi del centrodestra e (i non pochi) del centrosinistra. Ora che è arrivato l’atto d’insubordinazione, e che si profilano in tempi brevi le elezioni politiche, i sondaggi saranno anche più veritieri: Fini ha fatto quel che tutti si aspettavano che facesse, saldando a sé quell’elettorato che vorrà seguirlo nella campagna elettorale.

A confermare un possibile successo è anche la memoria: non si ricorda nulla di vuoto che non abbia fatto presa sull’elettorato. E qui il secondo giudizio, meno contingente e più legato al senso (smarrito) che la politica dovrebbe avere. Sia chiaro a quanti leggono la stampa estera (in traduzione), sperando di avere nuove da spendere contro il proprio Paese: l’Italia non è la sola. Se qui da noi non c’è più De Gasperi, in Francia non hanno Schuman e in Germania non c’è Adenauer. E se Almirante non era Mussolini, Fini è (purtroppo) una replica poco convincente di Berlusconi.

Quanti non sono bacchettoni e pensano che, piaccia o no, la vita scorra, a Futuro e Libertà perdoneranno di certo le luci stroboscopiche, il palco avveniristico da show televisivo, le musichette elettroniche (però poco azzeccate), che facevano da sottofondo ad ogni entrata sul palcoscenico: tutta roba hollywoodiana, al confronto della quale le ‘convention’ berlusconiane possono essere rubricate a salsicciate collettive da sagra di paese. Però lo stile è quello. E quello è lo stile (il tono e il volume) dell’oratoria sfoggiata nei vari interventi: urla, slogan, mimica pentecostale con braccia alzate al cielo a dare enfasi a qualche battuta scontata. Cose da Arcore, insomma. Ovvio, perché se basta accompagnarsi un anno collo zoppo per cominciare a zoppicare, figuriamoci che può accaderti dopo sedici anni.

Quello che però non si può scusare è la formazione informe di un partito senza anima, senza popolo e, pare, senza un capo. Senza anima, perché tutto ciò che di culturale giri attorno a Fli non ha fisionomia chiara: l’intervento del prof. Campi ne è esempio. Quale prospettiva per la nostra nazione? Quale senso di questa esperienza? Berlusconi ce la racconta da sedici anni: evitare che la sinistra vada al potere. E Fini cosa ci racconta? Quale ‘l’ideale’ – si diceva una volta, ormai sostituito dal più trendy ‘mission’- che alimenterà l’azione di Fli? Il manifesto, letto da un attore – e non è un caso – del calibro di Barbareschi, è un’accozzaglia di luoghi comuni: ‹‹Un’Italia intransigente contro la corruzione e contro tutte le mafie, che promuova la legalità, l’etica pubblica e il senso civico›› si legge tra le altre cose. Ebbene, c’è qualcuno che direbbe pubblicamente il contrario?

Ma se manca l’anima – l’identità per intenderci, ciò che rende unica un’esperienza – manca anche chi dovrebbe identificarcisi. Ed è indicativo – e non è neppure questo un caso – che l’unico vero momento di partecipazione corale del pubblico si è avuto quando la catarsi ha raggiunto il suo acme: la richiesta di dimissioni del presidente Berlusconi. L’antiberlusconismo come collante? Forse. Anche perché non si vede ancora cosa potrebbe tenere unita la ‘tradizione’ di Viespoli, la ‘famiglia gay’ di Della Vedova, la ‘Patria’ di Paglia, i ricordi nostalgici delle versioni italiche di famose canzoni hitleriane.

Senza anima e senza popolo non ci può essere il capo. Semmai, un padrone. Ma i capi nascono dalla gente e da un comune sentire. I padroni dalla paura. Berlusconi fa molta paura? Sarebbe allora meglio non imitarlo, o quanto meno fingersi imbarazzati, quando il nome più pronunciato, quello più osannato, quello più visibile nello stesso logo è il proprio.


Pubblicato l'8 novembre 2010 su www.cataniapolitica.it

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