"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

21 luglio 2011

Davvero il problema del Nord è il Sud?


Se sono fondate le analisi che stiamo leggendo, la manovra in approvazione avrà un impatto di circa 70 miliardi di euro. I mercati, divenuti d’un tratto interlocutori credibili – ultimo tabù, speriamo, a cadere sotto i colpi della liquidità post ideologica del mondo secolare – avranno di che consolarsi, e forse per un poco, oltre alla calura di questi giorni, l’Italia godrà del refrigerio borsistico, che solitamente segue alla follia.
Con un po’ di memoria, senza scomodare altri esempi sparsi in 150 anni di storia patria, possiamo ritornare al 1992, quando l’allora capo del governo, Giuliano Amato, varò una manovra di 70 miliardi di vecchie lire, metà di quella attuale, pur non essendo la nazione cresciuta più del doppio negli ultimi vent’anni. Allora si sudò sangue, ma venivamo da almeno un decennio di spese pazze, e solo l’estate precedente, con Eltsin in Russia, si concludeva la contrapposizione bipolare, dalla quale l’Italia aveva saputo trarre giovamento, anche grazie all’alleato americano che ci doveva un paio di basi militari ad alto contenuto nucleare. Insomma, avere qualche acciacco a quarant’anni, dopo averne passati metà a godersi (o rovinarsi, fate voi) la salute col fumo e l’alcol, ci può anche stare.
Oggi, invece, veniamo da un ventennio di disillusioni, che hanno lasciato una così marcata traccia di sé, da segnare perfino il volto del movimento-partito (non s’è mai capito) che allora pur prometteva qualcosa. Nelle parole di Matteo Salvini c’è tutta la confusione di quella Lega, che nel ‘92 rappresentava la novità ed ora vediamo inabissarsi col suo mentore.
Mentre l’Italia è fatta oggetto di attacchi speculativi, ci si aspetterebbe una lettura della vicenda un po’ più complessa di quella data qualche giorno fa. Durante la campagna elettorale si possono benissimo ridurre i problemi di questa nazione ad un divario tra il Nord e il Sud, col primo che deve trascinare come zavorra il secondo. Se la politica è mera conquista e gestione del potere, si fa difficile tracciare una netta separazione tra ciò che è deplorevole e ciò che non lo è nel raggiungimento di tale scopo. E, ad onor del vero, la Lega Nord non ha potuto godere neppure di esempi edificanti, sia che venissero da destra che da sinistra. Per chi, poi, si definisce Un italiano di Sicilia, secondo l’espressione che dà il titolo al libro di memorie di Nino Milazzo, nessuno scandalo che il Meridione venga criticato anche duramente. Anzi, semmai ciò che più lo addolora, è che non si sia mai andati oltre una generica richiesta di responsabilità, lasciando immutato il quadro politico.
Quel che stupisce, nella lettura leghista dell’attuale situazione, è il relativo ottimismo, quando invece, presi dall’angoscia, bisognerebbe chiedere un capovolgimento ancor più radicale di qualsivoglia secessione politica o economica. Il buon Seneca lo insegnava a Lucilio: «Non il tetto sotto cui abiti, ma il tuo spirito devi mutare». L’Italia divisa in due non sarà comunque immune dall’oligarchismo gerontocratico che la sta sfinendo col suo lezzo di putredine. Noi siamo una nazione in decadenza, rosa dall’interno come ogni corpo vocato alla morte. Dal 2008 ad oggi potevamo avere ben più d’un’occasione per cambiare tutto. Non abbiamo, invece, mutato nulla.
Senza la chiara visione di questo tremendo male, non si va da nessuna parte. L’Italia è un paese ingessato, iniquo e corrotto. La nostra ricchezza ‘padana’ non è comparabile con quella bavarese. Essere ricchi non è una quantità, è una qualità; non è aver soldi, ma saperli produrre. E il nostro capitalismo, da Tangentopoli agli ultimi scandali di ‘loggia’, passando per l’assistenzialismo della Cassa del Mezzogiorno (nel cui libro paga figuravano la mafia, la politica e l’industria, grande e media, del Nord), fino a quello automobilistico, ha perso la propria verginità anni orsono.
Davvero il problema del Nord è il Sud? Negli ultimi dieci anni sono usciti dalle nostre scuole superiori, verso il mondo del lavoro, qualcosa come sei milioni di diplomati semianalfabeti. Le nostre Università sono fanalino di coda in ogni graduatoria mondiale, e l’innovazione tecnologica è sporadica come i brevetti che registriamo. Non abbiamo un costo del lavoro appetibile, una magistratura snella per risolvere i contenziosi, e per inverso possiamo vantare un mastodontico Leviatano burocratico. Inoltre, perfino gli enti meno virtuosi, piuttosto che essere commissariati, vengono foraggiati dalle casse centrali: emblematico il caso di Catania, dove all’indomani dell’elezione alla Camera del sindaco uscente, Umberto Scapagnini, si scoprì una voragine di tali proporzioni nei conti pubblici del Comune da far temere il fallimento. Puntualmente, piuttosto che un commissario, arrivarono 140 milioni di euro, con la Lega silente. La quale, del resto, ha abbandonato ogni velleità rivoluzionaria: i simboli parlano, e se ieri i ministeri andavano ridotti, oggi la Lega se li vuole portare in casa. Roma capta, ferum victorem cepit.
Fiaccati nello spirito dunque, senza alcuna voglia di portare il duro giogo della povertà, e con neppure la speranza di qualcosa di nuovo sul fronte politico. Peggio, c’è solo questa attesa che solo un Dio possa salvarci.

Pubblicato il 16 luglio 2011 su TheFrontPage

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