"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

30 luglio 2011

Anders Behring Breivik, la belva bionda e l'italico savoir faire

Anders Behring Breivik, la belva bionda – come direbbe Nietzsche – che ha insanguinato la Norvegia, potrebbe essere incriminato per crimini contro l’umanità. Il superuomo, colui che si è fatto carico della storia per piegarla alla propria volontà di potenza, anche con questo curioso stratagemma giuridico non avrà più di trent’anni di carcere. E non ha potuto godere neppure dell’odio della sua gente, che ha preferito i fiori per le vittime piuttosto che un ultimo atto di considerazione per il carnefice.
Pure in Italia le bacheche delle reti sociali (i social network à la Facebook) non hanno traboccato improperi, come quando la signorina slovena mostrava, in un video, la propria bravura nel lanciare dei cuccioli di cane appena nati nel fiume. Allora sì che si invocò perfino il rogo per la criminale. Questa volta, invece, solo qualche bandiera come avatar, e una marea di articoli condivisi. Segno evidente di come la carne umana non tiri più di tanto.
Tuttavia, non c’è pagina della storia del mondo in cui la farsa italiana non abbia fatto un quarto d’ora di comparsa. In questa strage, noi ci siamo entrati col miglior pezzo che l’italico buongusto riesca ancora ad offrire: Mario Borghezio. Ora, poiché l’eurodeputato leghista è simpatico come gli arnesi di un dentista, è comprensibile che in molti gli abbiano lanciato la propria invettiva, a seguito dell’ennesima riprova del suo proverbiale savoir faire. Anche perché, appena egli apre bocca, c’è chi ha già le vesti stracciate (e il più delle volte non si sbaglia).
Abbiamo, dunque, approntato commissioni al plasma per l’esegesi dell’alto pensiero; preteso che il baldo politologo si conformasse ai dettami della più savia sociologia da salotto; infine, abbiamo offerto le nostre scuse ai norvegesi, che non le avevano neppure richieste essendo noto che, in questo momento, hanno altri pensieri per il capo che non godersi il solito siparietto nostrano. Ma che cosa, in fin dei conti, avrebbe detto di così scabroso il nostro orgoglio nazionale (esportato nel grande salotto politico del fighettismo paneuropeo)? Niente. O almeno, niente di nuovo. Le idee della belva sono giuste, perfino “ottime”. Al netto della violenza però. Anzi, proprio sulla violenza l’eurodeputato tira fuori la teoria complottista, buona per tutte le salse: che Anders Behring Breivik non sia stato armato (a sua insaputa) da altri, al fine di screditare una posizione che, ideologicamente, è anche condivisibile? Infine la ciliegina: Oriana Fallaci pensava le stesse cose, ma non se ne andava in giro a mettere bombe.
Difficile fare una comparazione tra il ‘pensiero forte’ dell’italiana e quello del norvegese. Dubitare che sia lo stesso è d’uopo, anche per la scarsa attendibilità della fonte. Da quel poco che si è potuto leggere, si apprende che il mondo è fatto da vigliacchi – dal Vaticano agli Stati tutti – e che solo un’avanguardia di santi (per ora la schiera contempla una sola persona – domani si vedrà) ha colto i “segni dei tempi”.
Tuttavia, siccome tra i bisogni primari dell’uomo c’è quello di dare, quanto meno, senso all’angoscia generata dalla precarietà dell’esistenza (e Anders Behring Breivik ci ha dimostrato chiaramente quanto siamo precari noi e la mente altrui), il grande circo dell’opinione ha messo le tende in casa nostra. Tante le scuole di pensiero. La prima è quella del dolce, secondo la quale il mondo è un paradiso con un paio di demoni che vogliono impedire la Pace Perpetua. I demoni sono nazisti per definizione, tranne poi scoprire che, in linea di massima, avrebbero dovuto essere filantropi, dato il grembiulino d’ordinanza illuministica. Poi, c’è la scuola dell’amaro: il mondo non deve tendere alla Pace Perpetua, altrimenti qualcuno potrebbe lamentarsi. E per necessità logica, chi si lamenta deve sparare a raffica su giovanotti in vacanza, magari dopo essersi imbottito di steroidi. Questi non fanno male – è risaputo. La Pace Perpetua sì.
Infine, c’è la scuola di quelli che non hanno scuola, e non l’hanno manco fatta, ma pontificano. Perché è permesso a un tizio di possedere armi a gogò e di progettare nell’etere la terza guerra mondiale? È permesso, perché in molte nazioni, fino a prova contraria, nessuno è colpevole di nulla, neppure di pensare. E se decide di comprare un’arma – cento armi, non vuol dire che voglia fare un strage. E se predica male in rete, non vuol dire che razzolerà altrettanto nel reale. E se prende una stanza in un hotel, non deve dare i proprio documenti, perché non è necessariamente in fuga dalla polizia o pronto a farlo.
È una visione antropologica infarcita di (sano? insano?) ottimismo. Non c’è prudenza che tenga. Al massimo si corre ai ripari. Non si previene, si cura. La libertà è come l’ossigeno – si dice. Solo che l’ossigeno, quando è troppo, va alla testa. Se, poi, la testa è già rosa dall’interno, allora l’euforia sarà solo una molla, pronta a far scattare la bestia.
Questo è Anders Behring Breivik: una belva. Al suo posto avrebbe potuto esserci chiunque di noi avesse creduto poter piegare a sé la società, lo Stato, il mondo, Dio. È dentro noi che si nasconde l’abisso. Lo scontro tra le civiltà, teorizzato da Huntington, è relativamente nuovo. Ancor più lo è quello teorizzato da Martha Nussbaum all’interno delle civiltà. Antico, invece, quanto l’Occidente è lo scontro interiore teorizzato da un loro maestro. Bisogna conoscersi per impedire che l’instabilità interiore esploda. E chi fa politica, purtroppo o per fortuna, possiede strumenti poco taglianti per penetrare in quelle profondità. Può, tutt’al più, impedire che quel caos si armi facilmente, e altrettanto facilmente scorazzi il proprio rancore in giro per la città. Si chiama prudenza questa, e serve soltanto ad impedire un male maggiore. Ma nessuno può salvarci dagli Anders Behring Breivik. Perché la violenza ha sempre sfigurato il volto dell’umano, e lo farà sempre più, finché i sermoni racconteranno di bontà primordiali. Finché ci riterremo soltanto angeli, senza temere la nostra bestia interiore. Finché l’auriga lascerà la biga in mano alle bizzarrie dei cavalli.

Pubblicato il 30 luglio 2011 su TheFrontPage

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