"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

11 maggio 2011

Il cappio della povertà in Sicilia

Il cappio della povertà in Sicilia 



di Antonio G. Pesce- Ieri lo ha dichiarato l’assessore regionale Massimo Russo: la Sicilia non darà il proprio assenso al riparto del Fondo sanitario nazionale 2011, se non verrà autorizzata ad utilizzare 685 milioni di fondi Fas per ripianare un debito di oltre duemiliardi e mezzo di euro contratto in campo sanitario.
Non è la prima volta che accade qualcosa del genere. Nel 2009 il senatore e sindaco di Catania, Raffaele Stancanelli, intervistato da un tizio che di professione fa il giornalista e che di notizie ci campa, dichiarava candidamente che sarebbero arrivati 140 milioni di euro (sempre Fas) per coprire il deficit catanese.
C’è di strano, in tutta questa faccenda, che i fondi Fas (fondi per le aree sottoutilizzate: insomma sottosviluppate, ma non lo si dice) dovrebbero servire a creare ricchezza, non ad alimentare povertà. Non dovrebbero servire a ripianare debiti, i quali intanto non dovrebbero essere contratti, e se ci sono, andrebbero superati con una riforma strutturale. Che – è evidente – in Sicilia porterebbe a considerare ospedali, reparti e ambulanze come qualcosa di diverso da un ufficio di collocamento. E questo non lo si può fare, perché dal dirigente sanitario al primario, fino all’ultimo barellista tutti tengono famiglia.
Lo stesso mi è stato detto l’altro ieri, quando tentavo di spiegare l’inutilità (tranne che per il politicante di turno) dei cantieri scuola. Cercavo di far capire che, in quel modo, la povertà alimenta altra povertà, che sarà pagata da altrettanta povertà. Ovviamente l’ho spiegato in modo più piano, ma il concetto quello rimane: c’è chi ha bisogno di lavorare, e che cosa gli si dà? Non un lavoro, né la possibilità di qualificarsi per trovarne uno, ma solo un paio di mensilità. Che, se non già da chi li incassa, saranno scontati dai figli.
È un cappio che ci sta soffocando. Non riusciamo ad uscirne. Non ci riusciamo, perché la miglior arma per soggiogare un popolo è affamarlo, frattanto che, di tanto in tanto, si sfama qualcuno. È il delinquente che tiene un pugno una massa di gente, sol perché egli ha una pistola: chi il fesso che si becca il primo colpo? Intanto, continua la fiumana che porta via migliaia di giovani siciliani. Ad andar bene, li accolgono Londra, Parigi, Monaco, New York. Se va male, finiscono a doversi scusare della loro presenza in qualche valle padana.

Pubblicato il 6 maggio 2011 su www.cataniapolitca.it

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