"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

30 aprile 2011

CATANIA, IL PASSATO, IL FUTURO



di Antonio G. Pesce- C’è il bubbone o si tratta solo della classica dermatite? Questa è la domanda che a Catania ci si sta ponendo: sta ritornando quel male che appestava la città, in modo così evidente da quasi desertificarla, o si tratta di quelle infiammazioni tipiche delle società complesse, se non addirittura di una malattia esantematica?
Usciamo fuori dalla metafora, smettiamo di giocare con le parole. Ognuno di noi ha una sua storia – si chiama ‘vissuto’. E alla luce di quel che ciascuno di noi ha vissuto, vengono interpretate poi le vicende delle vita. Catania ha pure una sua storia. E non vorremmo ricordarla continuamente: una straripante (in ogni senso) zona industriale, periferie troppo abbandonate, e un centro dilaniato dalle fauci della criminalità organizzata. A Catania non si può prescindere dai simboli: una sparatoria in centro, ancorché determinata da futili motivi di gelosia, è un atto di inaudita barbarie, perché nel corpo quasi esanime dalla sventurata e incolpevole giovane studentessa, noi rivediamo il nostro passato collettivo, il cancro che credevamo di aver in parte contenuto, se non addirittura sconfitto.
Allora, in poco meno di quarantottore, arrivò una risposta. Non alleviò il nostro dolore. Nessuno pensò che, siccome la mafia non c’entrava, allora non era successo niente. Il dolore ci parve, tuttavia, un dolore ‘normale’ – nel senso di ‘universale’, che si poteva provare in tutte le restanti parti del mondo, da Bolzano a New York. Non solo a Catania.
Ecco perché resta il fatto, qualunque sia la genesi. Resta l’argomento troppo spesso non discusso, dimenticato. Ecco perché adesso non bastano le parole dei partiti. Fa piacere leggere le reazioni sull’incendio della libreria di via Teramo. Farà piacere ai giovani di ‘Addiopizzo’, che forse alcune volte si saranno sentiti un po’ soli nella loro eroica battaglia per indurre il commercio cittadino a liberarsi dalla stretta diabolica del malaffare. Ma non bastano. Vogliamo di più. Abbiamo diritto ad avere di più. Abbiamo diritto ad esorcizzare il passato. E il passato lo si esorcizza in due modi: escludendo che abbia qualcosa da fare col nostro presente o, avendolo nuovamente dinanzi, con la maturità di chi non vuole vivere un eterno ritorno. A Catania pagano tutti il pizzo? Sì, così dicono, così sicuramente è, ma perché se ne parla così poco?
Questa città, nonostante tutto, ha la forza morale per resistere al male. Perfino alla peste. Il vaccino ce lo abbiamo. E il cammino per la guarigione, iniziato anni addietro, non prevede cambiamento di marcia.

Pubblicato il 28 aprile 2011 su www.cataniapolitica.it

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