"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

26 aprile 2011

Catania Futura


di Antonio G. Pesce- Ieri sera, nel bel programma televisivo di Antonello Piroso, sono intervenuti Cirino Pomicino e Gianni De Michelis, reliquie di punta dell’antico passato nazionale. Te la ponevano talmente bene la faccenda della crisi della Seconda Repubblica, che quasi ci credevi a quanto fosse bella la Prima.
Sempre ieri, per le vie della nostra città, affollata dai primi turisti, si parlava del nostro ateneo, del Siculorum Gymnasium. Si ricordavano le cattedre dei grandi, da Giurisprudenza a Lettere, e di quando era moda andare ad ascoltare le lezioni di questo o quest’altro grande intellettuale. Si è pure accennato alla ‘primavera di Catania’, giusta la definizione di Carlo Lo Re – quel periodo della nostra vita pubblica nella quale credemmo che sarebbero potuti ritornare i tempi quando, nonostante la zavorra della mafia a briglie sciolte per le strade, Catania aveva un problema di smaltimento del traffico non tanto al centro ma nella periferia, ed esattamente nella zona industriale straripante di operai.
Bei tempi. Bei ricordi. Cosa c’è che non va in questo racconto? C’è che un popolo che vive di ricordo, e solo di questo, è un popolo che alla fine rivivrà i suoi incubi. Perché è un incubo restare al palo della vita, e aspettare che la vita stessa passi, incapaci di crearne di nuova, di fare ancora cose belle, di produrre futuro. Tralasciando ogni giudizio (ovvio) sugli eroi della Prima Repubblica, bisogna tenere a mente che sono passati tre lustri dalla ‘primavera’ nostrana; che nei prossimi anni un cospicuo numero di docenti dell’Ateneo andrà in pensione; che gli uomini più rappresentativi della chiesa catanese sono già anziani, e molti non sono più; che molte associazioni culturali storiche segnano ormai il passo, anzi lo trascinano pesantemente; che gli artisti che parrebbero onorare della loro presenza la città (solo se questa si pieghi alle loro indicazioni), non sono più dei giovincelli, e nuovi talenti aspettano di essere scoperti; che i nonni sono andati in pensione e, alla bell’e meglio, i padri vi saranno accompagnati, grazie alla casse integrazione e ai posti pubblici in cui sono stati inseriti, ma i nipoti, i figli aspettano ancora di versare i loro primi contributi previdenziali.
Ovunque in Italia una intera generazione è esclusa dalla responsabilità di gestire la cosa pubblica nel suo senso più ampio. Catania non è da meno. Perché? Perché i giovani temano più il fallimento di quanto bramino il successo. Temono di sbagliare, quando semmai hanno avuto esempi che potrebbero indurre all’ottimismo: in alcuni casi, fare peggio della generazione precedente è davvero difficile. E quando questi giovani avanzano pretese, non si tratta di quella legittima di creare storia, di lasciare una impronta, di farsi ricordare, ma di entrare presto nella stanza dei bottoni, seppur come portacarte ufficiali in giacca e cravatta.
Giovanni Grillo, ieri, analizzava la politica catanese e faceva dei nomi. Forse qualcosa di muove. Stancanelli non avrà bis, nonostante l’ultima giunta abbia visto l’impegno di persone di una certa serietà. Forse la prossima battaglia elettorale per Palazzo degli Elefanti potrebbe vedere l’impegno di due giovani, abbastanza cresciuti per sapere che peso potrebbe ricadere sulle loro spalle, ma altrettanto imberbi per avere quella spudoratezza di rischiare.
Tuttavia, se mai fossero vere le voci che già da qualche tempo si rincorrono, ciò non è ancora concreta azione politica, né tanto meno l’agognata speranza che si realizza finalmente. Non è detto che un giovane si rivolto al futuro e un anziano al passato. Futuro e passato sono del tutto relativi, come il tempo e lo spazio nella teoria della relatività: di assoluto c’è solo la luce, l’idea, la prospettiva, il segno che indichi il ‘senso’ di marcia. Fuori di metafora, Berretta e Pogliese – mi scusino se vengono tirati in ballo, ma scrivere per un pubblico, a volte, è anche fare un pubblico pettegolezzo – non saranno quel futuro che vogliamo, fintanto che non ci diranno che futuro immaginano per Catania.
Ricordino – questo sì che è un ricordo di vita – quel passato della loro vita in cui, secondo gli amici, ardevano e si consumavano ‘come candele romane’ (direbbe il poeta), per la loro passione politica. Ricordino speranze, illusioni, e le tante disillusioni. Si assumano loro – e noi con loro – la responsabilità che le attuali contingenze ci assegnano. E ritorniamo a dividerci per le idee da condividere con gli amici e non già per le prebende da suddividere con le clientele.

Pubblicato il 13 aprile 2011 su www.cataniapolitica.it 

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