di Antonio G. Pesce- Vogliono far diventare materia di studio ciò che è alimento di vita. Vogliono farlo attraverso una legge. La nuova maggioranza lombardiana si allinea al vento autonomista. E legifera di conseguenza. Ne è nato così un disegno di legge, che vorrebbe introdurre lo studio della storia e della lingua siciliana nelle scuole dell’Isola. Se n’è discusso nella V commissione, quella deputata alla Cultura (sic!), alla Formazione e, per giunta, al Lavoro. A firmarlo l’on. Nicola D’Agostino (Mpa), e i colleghi Salvatore Lentini (Udc) e Francesco Rinaldi (Pd).
Passerà. Vedrete che si farà presto. Ai siciliani che vorrebbero il companatico, ma si accontenterebbero pure del solo pane (purché basti fino alla fine del mese), la classe politica siciliana dà parole. Parole di carta da scriversi su altra carta. Ed è probabile che, ad approvarlo, saranno anche quelli dell’opposizione (ex maggioranza) del Pdl: figurarsi se, con i tempi che corrono, in Italia si trovi un politico pronto a dire qualcosa di diverso dalla vulgata imposta con la dialettica delle armi mediatiche.
Passerà. Ma sarà uno scempio. E sarà uno scempio innanzi tutto per la storiografia in generale. Poco consapevoli di come si faccia ricerca storica, e altrettanto a digiuno di conoscenze costituzionali, i nostri deputati sperano di ottenere, con una leggina, che molti “pregiudizi” vengano rimossi, ritenendo che questi, solo perché si sono formati nella storia, si possano con lo studio della storia anche eliminare. Non prendono neppure in considerazione il fatto che lo studioso – e a Catania ce ne sono di valenti – di storia siciliana possa anche scrivere cose poco gradite, o poter giungere alla conclusione che non esista una storia tipicamente siciliana. Non sanno i nostri deputati neppure che, una volta divenuta materia di studio in classe per circa due ore settimanali, la storia siciliana sarà insegnata da docenti che, secondo il dettato costituzionale, sono liberi e nel ricercare e nell’insegnare (art. 33). È stata una lezione di storia la relazione in commissione: nel 1130 è successo questo, e nel 1860 quest’altro. Bene, se si ha tanto ardore di insegnare, e se si è tanto bravi, ci si candidi ad un posto di precario a vita nell’insegnamento, e non ad uno di deputato regionale, che viene lautamente ricompensato per l’immane sforzo legislativo e non per quello scientifico.
La scienza non si piega facilmente alle direttive della politica. Può perseguire ideali, ma non gli si possono imporre. E quando c’è scienza – quale che ne sia la tipologia: umana o naturale, pur sempre di scienza si tratta – c’è qualcosa che va al di là dell’immediato vissuto: c’è riflessione, c’è ricerca, c’è qualcosa che non si possiede e che va ritrovata. Chi è cresciuto senza vergognarsi del proprio dialetto, e chi ancora lo parla discretamente nella conversazione famigliare e amicale, non avrà mai bisogno di ore suppletive, e il fallimento dell’insegnamento a scuola di ogni lingua, che non sia quella vissuta concretamente nel quotidiano, sta nel fatto che la teoria viene scissa dalla pratica e viceversa. Si torna a casa, e si parla in modo affatto diverso. Si sta con gli amici, e non si masticano nozioni di grammatica. Si va al bar, e si chiede il solito nel solito idioma. Insomma, se qualcosa non è vissuta, diventa un’astrazione del nostro vissuto. Diventa ripetizione, formalismo.
Ma se è materia di vita, allora non si vede perché la si debba insegnare: non si insegna la morale nei banchi di scuola, ma nel rapporto con gli altri (genitori, educatori, anche docenti e professori, ma non in quanto tali, ma in quanto persone). Non si apprende l’educazione e il civile vivere dai libri di scuola, ma per le strade e nelle piazze.
La politica può prevedere ore di lezione di una materia piuttosto che di un’altra, ma non può dire preventivamente che cosa ci si debba aspettare da quell’insegnamento e cosa ‘necessariamente’ dovrà dimostrare quella ricerca: non è mai esista una riforma della scuola ‘fascistissima’, e non dovrà esisterne una ‘siculissima’. Certi biechi localismi lasciamoli a quei monti e a quelle valli dove, oltre alle vacche, pascolano anche le riforme della storia nazionale e dell’assetto istituzionale dello Stato.
Perché questo è il vero pericolo per la Sicilia: chiudersi in se stessa. I suoi secoli dicono altro, perfino le sue disgrazie indicano altre strade: emigrare o vedersi fatta lido di approdi dell’immigrazione altrui ha permesso a chi è dell’Isola di ‘farsi’ – e non di ‘avere’ come un intellettualotto di provincia – un’esperienza cosmopolita della vita. E, proprio perché frutto di esperienza personale, le radici profondo non sono mai gelate, perché hanno assorbito i freddi del Nord del mondo, come mai sono seccate al caldo del Sud. Pian Piano, si sono radicate lì dove venivano trapiantate dopo l’espatrio, e lì hanno continuato a fruttificare. Un siciliano vive la vita e abita il mondo anche se nasce e muore in questa terra, perché egli non teme il futuro e non respinge gli altri. Vive e si confronta, accetta la sfida e l’affronta.
Se i signori deputati vogliono far conoscere meglio questa stupenda terra, comincino dall’avere attenzione per le centinaia di chilometri di coste invase dal cemento, per i musei chiusi a causa della mancanza di personale, per la scarsezza di fondi delle scuole. Poi vedrete: basterà una gita fuori porta, per riappropriarsi di un giardino celeste che Dio ha voluto incastonare in un mare azzurro, e non tra le pagine di banali manuali di scuola.
Pubblicato il 7 aprile 2010 su CataniaPolitica.it
nn. 635-588-344-149/A RELAZIONE DELLA V COMMISSIONE Presentata il 6 aprile 2011 Onorevoli colleghi, il presente disegno di legge si propone di promuovere la valorizzazione e l'insegnamento della storia, della letteratura e della lingua siciliana nelle scuole di ogni ordine e grado. A tal fine, sono previsti appositi moduli didattici, all'interno dei piani obbligatori di studio definiti dalla normativa nazionale, nell'ambito della quota regionale
riservata dalla legge e nel rispetto dell'autonomia
didattica delle istituzioni scolastiche.
La normativa nazionale, infatti, nel definire i Piani di
studio ha previsto, accanto ad un nucleo fondamentale, una
quota riservata alle Regioni relativa ad aspetti di
specifico interesse delle stesse al fine di ampliare gli
obiettivi di apprendimento.
La storia, la letteratura e la lingua siciliana sono così
individuati come strumenti didattici di valorizzazione
dell' identità siciliana e come tratti distintivi del
nostro sistema educativo, in relazione alla quota regionale
dei piani di studio personalizzati prevista dalla legge,
così valorizzando la specificità della nostra cultura e
l'autonomia delle Istituzioni scolastiche.
L'assessore regionale per l'istruzione e la formazione
professionale è demandato a stabilire, con proprio decreto,
previo parere della competente Commissione legislativa, gli
indirizzi di attuazione degli interventi didattici aventi ad
oggetto la storia, la letteratura e la lingua siciliana,
dall'età antica sino ad oggi, con particolare riferimento
agli approfondimenti critici e ai confronti fra le varie
epoche e civiltà, agli orientamenti storiografici più
significativi, dall'Unità d'Italia fino alla fine del XX
secolo ed all'evoluzione dell'Istituzione regionale anche
attraverso uno studio dello Statuto della Regione.
Per le ragioni su esposte vi invito, onorevoli colleghi,
ad approvare con sollecitudine la presente proposta di
legge.
----O----
DISEGNO DI LEGGE DELLA V COMMISSIONE
Norme sull'insegnamento della storia,
della letteratura e della lingua siciliana nelle scuole
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Art. 1.
Insegnamento della storia, della letteratura
e della lingua siciliana nelle scuole
1. La Regione promuove la valorizzazione e l'insegnamento
della storia, della letteratura e della lingua siciliana
nelle scuole di ogni ordine e grado.
2. Al raggiungimento dell'obiettivo di cui al comma 1
sono destinati appositi moduli didattici, all'interno dei
piani obbligatori di studio definiti dalla normativa
nazionale, nell'ambito della quota regionale riservata dalla
legge e nel rispetto dell'autonomia didattica delle
istituzioni scolastiche.
Art. 2.
Indirizzi regionali sui piani di studio personalizzati
1. L'assessore regionale per l'istruzione e la formazione
professionale, con proprio decreto, da emanarsi entro 90
giorni dalla presente legge, previo parere della competente
Commissione legislativa, stabilisce gli indirizzi di
attuazione degli interventi didattici aventi ad oggetto la
storia, la letteratura e la lingua siciliana, dall'età
antica sino ad oggi, con particolare riferimento agli
approfondimenti critici e ai confronti fra le varie epoche e
civiltà, agli orientamenti storiografici più significativi,
dall'Unità d'Italia fino alla fine del XX secolo ed
all'evoluzione dell'Istituzione regionale anche attraverso
uno studio dello Statuto della Regione.
Art. 3.
Norma finale
1. La presente legge sarà pubblicata nella Gazzetta
ufficiale della Regione siciliana.
2. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di
farla osservare come legge della Regione.
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