"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

29 marzo 2011

QUALE CULTURA PER CATANIA?


di Antonio G. Pesce- Marella Ferrera non ci ha ripensato (per ora). Capita che qualcuno faccia di testa sua, nonostante la politica pensi a volte di poter aggiustare tutto. Non tutto è aggiustabile, anche perché la Ferrera un nome ce l’ha di suo, e non abbisogna di altra visibilità (semmai, in quel caso è il contrario). Tuttavia, prima di fare cose di cui poi uno debba pentirsi, sarebbe opportuno calcolare bene le ricadute. Quando un artista o un intellettuale decide di dare il proprio contributo all’amministrazione della cosa pubblica (come dicono quelli che sanno parlare bene), deve tener presente che sta lasciando il proprio palcoscenico, e che molti di coloro che lo circonderanno non subiranno il suo fascino. L’arte della politica si basa, in gran parte, sulla capacità di stipulare accordi e di scendere a patti – si chiamano compromessi, e quando c’era da fare i buonisti contro la guerra in Kossovo, anche Jovanotti, Ligabue e Pelù ne cantarono i meriti. È comprensibile che si accettino per evitare una guerra, e che risultino meno digeribili nel quotidiano, soprattutto se questa quotidianità è la traballante scena della politica catanese.

Ma la differenza è apparente: ovunque ci sia spazio pubblico, ci sono regole – scritte e non scritte – che possono non piacerci.

Non è detto, però, che Marella Ferrera abbia tutti i torti. Magari la sua impuntatura è del tutto legittima. Soprattutto se dovessero risultare vere le voci, di cui qualche giorno fa dava conto G. Grillo: la delega al Turismo data all’assessore alle Attività Produttive e non già a quello alla Cultura. Sarebbe, in questo caso, il solito luogo comune imperante negli anni Novanta, secondo il quale tutto è imprenditoria e l’imprenditore è l’unico detentore di capacità gestionali. Nel caso catanese, Franz Cannizzo è un signore distinto, che in consiglio parla con garbo stilistico, correttezza grammaticale e sicurezza di postura: un impatto scenico che fa la sua bella figura, soprattutto se confrontato con la media locale e nazionale per nulla edificante.

L’attore sarebbe, dunque, di tutto rispetto, ma la motivazione di un accorpamento del genere comunque sbagliata. Il turismo non è un’impresa come le altre, e l’insignificante opera della signora ministro Brambilla ne è dimostrazione. Se Cannizzo a Catania saprà far bene – qualora fosse lui il prescelto -, è perché avrà di suo delle capacità e una buona dose di cultura, e non già perché è stato presidente di Confcommercio.

Turismo non è innanzi tutto vendere servizi, ma proporre suggestioni e dar risalto a forme. Quali forme? Quelle che muovono, ogni anno, milioni di persone per migliaia di chilometri. Chi viene in Sicilia, chi visita Catania ha già in mente qualcosa. Ecco: questo qualcosa va esaltato, come il cuoco fa con alcuni sapori. Se abbiamo chiaro il menù, sapremo anche come offrirlo. Avete mai visto una tavola bandita di tutto punto per una salsicciata? e non è che la grigliata tra amici sia più scadente di certe anemiche portate da nouvelle cuisine. Tutt’altro, ma il bicchiere del vino non sarà di cristallo, e magari non d’argento le posate (ammesso che si voglia utilizzarle).

Rimane però da capire come sia possibile che una città come la nostra, sede storica di uno dei più grandi e apprezzati atenei italiani, non stia vedendo un impegno – si trattasse pure di violenta opposizione – da parte dei tanti “intellettuali” (o pseudo tali) che affollano consigli di istituto, di facoltà e di redazione. Questo dovrebbe incutere preoccupazione: questo silenzio, questa apatia che sta rodendo Catania brano a brano.

Proprio da queste pagine, durante i festeggiamenti agatini, invitammo ad un ‘manifesto’ di intenti che vedesse impegnati la politica, la cultura e la fede. Catania – ci sembra chiaro – non può essere governata come un paesello – una sagra di tanto in tanto e un paio di strade ben asfaltate. Anche, ma non basta. Catania deve ritrovare smalto, deve riscoprirsi signora e non serva. Il fallimento dell’attuale classe dirigente sta proprio nella perdita dell’immagine della città. Immagine non mediatica, da esportare sui teleschermi per farci di rimando un po’ di consenso elettorale, ma immagine come identità. Cos’è oggi Catania per i catanesi? Cosa deve diventare per l’Italia intera? Quali le sue peculiarità? Perché pensare a Catania dalle Alpi a Capo Passero?

Marella Ferrera non ha saputo, o potuto, rispondere. Non sappiamo chi risponderà al suo posto. Per intanto, siamo in debito di una risposta. Che troppo si sta facendo attendere.


Pubblicato il 25 marzo 2011 su www.cataniapolitica.it

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