"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

6 marzo 2011

LEGALAND, Il Veneto infelix della crisi

di Antonio G. Pesce- L’ultima corsa chissà quando c’è stata. Poi il treno si è fermato, e noi a raccontarci ancora la storia del suo viaggio. Canetta e Milanesi, giornalisti d’inchiesta noti ai lettori del Manifesto, ‹‹non guardando in faccia nessuno››, nemmeno la sinistra e la sue colpe (come scrive nella prefazione Massimo Carlotto), ci portano sul binario dove staziona la locomotiva d’Italia, muta senza più gli sbuffi del passato offerto in sacrificio al ridente avvenire.

Scopriamo che i veneti, in fondo e in gran parte, ne attendono ancora il passaggio, ignari che la corsa è stata soppressa. Ignari come tutti gli italiani, perché più simili agli altri italiani di quanto siano disposti ad ammettere. Campagnoli quando gli italiani mangiavano pane e cicoria, industriali quando il territorio è stato svenduto all’illusione del benessere. E che rimane? Spritz e coca. E i nipoti emigranti come i nonni. Ieri perché non c’erano soldi, oggi perché n’è rimasta solo la parvenza.

Legaland. Miti e realtà del nord est (Manifestolibri, 2010, pp.174, € 18,00), gioca con il linguaggio, forgiandosi le metafore che gli servono per raccontare il dramma di un popolo, che cercando se stesso (e fin troppo) finisce per perdersi. È il 29 marzo del 2010: Luca Zaia, leghista, è presidente della regione. La grezza macchina da guerra padana ha spazzato via avversari e perfino alleati, in un crescendo di esaltazione elettorale, che nei piccoli paesini del vicentino raggiunge proporzioni bulgare. Il carroccio entra vittorioso in fabbriche deserte, in aziende vuote.

‹‹Vene-tilt è un gigantesco oleogramma – scrivono Canetta e Milanesi – architettato sopra fondamenta di sterco. Spiace comunicarlo ai professionisti in carriera. Stringe il cuore risvegliare l’esercito di imprenditori senza qualità. Forse, sarà scorretto politicamente. Magari, non è elegante sputare nel piatto di Lions, Rotary, camarille beneficenti e massonerie di provincia. Ma il re è nudo, di nuovo, in queste lande dove si finge di vivere come a New York finché si uccide Timisoara›› (p. 22).

Di nuovo nudi, come una volta. L’associazione degli industriali infarcita di società di servizio, con l’imprenditore che chiude bottega, e che spinge il figlio a prendere la via di Milano, se non dell’estero. ‹‹Questa era periferia che ha fatto il suo bel giro nella giostra della ricchezza›› parla il nipote di chi andò via con la valigia di cartone.

Eppure, i sintomi erano chiari già dal 2007, quando i prestiti alle aziende erano in aumento dell’11%, crollavano i risparmi delle famiglie, e l’economia del mattone era tutta un’ipoteca. Sotto queste banali Note sulla congiuntura, pubblicate dalla Banca d’Italia (mica da una loggia segreta), si copriva il vero volto delle partite Iva: padroncini, artigiani, posatori d’opera in sub-appalto, commercianti di nicchia, spazzini di scorie, e ‹‹coltivatori di contributi europei, concessionari di simboli, immobiliaristi da paese›› (p. 59). L’Alpi Eagles in bancarotta, e Padova che campa di sanità. Poi il 2008, il deragliamento della locomotiva. A Padova, un quarto dei finanziamenti diventa pignoramento. A Treviso, ad un artigiano su quattro si revoca il fido, e Venezia perde posti di lavoro a gogò. Leggendo, si scopre di Hasana, 25 anni, marocchina e nessun zio egiziano d’alto rango, ‹‹schiava della monnezza››; o di quella sera – il 7 maggio 2010 – quando la Confartigianato di Treviso incontra la Guardia di Finanza e la verità sul lavoro ‹‹nero››.

È un libro di biografie questo, e da biografia in biografia ricostruire il profilo di un mito che si sta sfaldando. E può disorientare il lettore il ballo dei temi, con paragrafi che descrivono il crollo dell’economia e altri che disanimano lo sballo e lo sbando morale di una generazione cresciuta col modello del guadagno facile (dopo che quella precedente si era spenta di lavoro onesto). Canetta e Milanesi non propongono un filo conduttore. Deriva morale o fallimento economico? Scelga il lettore. I fatti sono questi: il benessere se n’è andato, e al benessere si era sacrificato tutto. Non solo il territorio, una marea di capannoni abbandonati. Anche l’anima. Lo si era già capito quel mercoledì 17 marzo 2004, quando dal centro di tossicologia e antidoping del’Istituto di Medicina legale dell’università di Padova scomparirono (nell’ordine) 49 chilogrammi di eroina, quasi 6 di cocaina e 2 di hashish. Una pista bianca che si segna, infine, di rosso. Lo si capisce dal crescente numero di Tso – trattamento sanitario obbligatorio, 400 all’anno.

‹‹È la maionese impazzita di una società sradicata dall’identità. O l’ubriacatura da ricchezza nel bicchiere vuoto di senso. A volte, soltanto debolezza e incapacità di dimostrarsi sempre e comunque forti, potenti e vincenti. Insomma, è il Veneto che si ammala perché non c’è più un altare chiamato madre terra su cui sperare››.

Sotto la cenere della combustione turboefficientista, però, giace ancora il vecchio e rimpianto Veneto. Che non pensa alla secessione golpista, ma al volontariato caritatevole. E che non va a ‹‹caccia›› di zingari e terroni, ma che sperimenta il meglio di sé a scuola, in via Anelli. O riempiendo un palazzetto dello sport per scoprirsi ancora (come sempre) solidale. Questa, infine, l’identità vera dei veneti, il valore aggiunto che manca ad un’Italia sempre più uguale, perché sempre più falsa.


Pubblicato il 4 marzo 2011 su www.cataniapolitica.it

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