"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

2 febbraio 2011

Ma Totò è ancora un uomo


di Antonio G. Pesce- Sabato è arrivata la condanna a sette anni per Totò Cuffaro, ex presidente della Regione Sicilia. La seconda sezione penale della corte di Cassazione ha confermato la condanna avuta dal senatore anche in appello. Senza attendere i cinque giorni per la notifica, Cuffaro si è recato al carcere di Rebibbia. Non ha gridato al complotto. Né, prima di entrarvi, ha pronunciato parole inconsulte o si è atteggiato a vittima.

‹‹Rispetto la magistratura – ha dichiarato da condannato ormai in via definitiva, e non già da semplice inquisito che spera in ben altro esito – Adesso andrò a costituirmi. Affronterò la pena come è giusto che sia. Questo è un insegnamento che lascio come esempio ai miei figli. Sono stato un uomo delle istituzioni e ho un grande rispetto della magistratura››. Sono parole pensate e pesanti, rese ancor più gravi dal fatto che non capita molto spesso di vedere condotta a termine, e perfino accettata nei suoi esiti, una battaglia legale come quella appena conclusasi.

Sì, è difficile prende le parti di Totò Cuffaro. È difficile per chi gli rimprovera di non aver reso migliore la terra che, con largo consenso, gli era stata affidata. Ed è difficile per chi, soprattutto, negli anni della sua adolescenza avrebbe accettato e giustificato qualsiasi strategia, politica e militare, di cui il diritto si fosse servito per piegare l’antistato stragista e non. Infine, pare impossibile spendere anche una sola parola per chi, ormai possiamo dirlo, è colpevole di aver favorito talune persone (anche senza essere perfettamente cosciente del ruolo che ricoprivano nella malavita), passando loro informazioni. Vi si aggiunga lo sfregio di uno dei simboli più gustosi di questa isola che amiamo, il cannolo divenuto l’emblema di una condanna in primo grado ritenuta blanda, e davvero non si vede come non chiederne addirittura la dannatio memoriae.

Eppure, questo è un uomo. Lo è proprio perché ha sbagliato, ed è stato vinto da una società che ha saputo far giustizia nei luoghi deputati dal diritto a tale scopo. E davanti ai vinti, l’etica pagana come quella cristiana, i codici cavallereschi del passato come quelli militari di qualche decennio fa, hanno sempre riconosciuto l’onore delle armi, soprattutto davanti a chi non ha chiesto che semplicemente questo per arrendersi.

No, non si devono temere gli uomini che errano. Fossero i peggiori peccatori, avrebbero comunque la possibilità della redenzione. E non li si deve temere, soprattutto quando la forza del diritto ha vinto i particolarismi e le furbizie dei singoli. Ma una società civile, di quelle che tante volte sono state chiamate ad esempio in questi ultimi tempi, dovrebbe avere orrore di chi, senza arte né parte, sol per un poco di notorietà, ha infestato l’etere di canzoncine, sfottò vari e foto ciniche per colpire un vinto. Perché i santi, che non hanno coscienza di peccare almeno sette volte al giorno (cfr. Prov. 24,16), prima o poi diverranno dei demoni. Date loro la possibilità di ergersi a giudici, e passeranno dai fatti alle coscienze con tanta noncuranza da giustificare ghigliottine, forni e fosse comuni.

La storia di Totò Cuffaro, come quella di ciascuno di noi davanti ai propri errori– perché tutti ne commettiamo, e Dio voglia che siano sempre di quelli da espiare soltanto davanti al confessore – è la storia di un fallimento. Fallimento di un uomo, fallimento di un popolo. Non c’è nulla da ridere, nulla di cui gioire. C’è solo da tacere, avendo la giustizia espletato il suo corso, e pregare, o aggrapparsi alla propria coscienza morale, perché non abbia ad accadere a noi.

L’altro dì a tavola, non il filosofo o il giurisperito, ma l’operaio si chiedeva se, alla nascita, nei primi anni della fanciullezza, quando tutto appare ridente e prosperoso, l’assassino, il mafioso, l’imbroglione l’avrebbero mai detto della fine riservata al loro costume e al loro nome. Troppa sensata la domanda, insaporita dal sale che non scarseggia mai nelle tavole degli ultimi, perché tra un boccone e un bicchiere di vino il figlio saputello lo degnasse di una risposta. E tuttavia, in poche parole è messa in scena il dramma della vita. Sapeva il giovane democristiano Cuffaro, chierichetto e un po’ sacrista, che da grande, facendosi furbo per non farsi nemici, avrebbe traccheggiato con taluni personaggi per nulla raccomandabili (per quanto egli ne parrebbe incosapevole), e che ciò, a lui bonaccione signorotto di sezione, sarebbe costata la carriera e il buon nome?

Nulla che ci riguardi giunge a compimento in un attimo solo. Ogni cosa matura nell’esistenza degli umani con i tempi degli umani. Nessuna tegola si stacca dal frontone del destino per troncare una vita intemerata. Però proprio questo garantisce che, alla notte durante la quale si crede di accorciare e invece si sbaglia completamente strada, può seguire un’alba in cui la direzione giusta non potrebbe apparire più chiara. Il sole tramonta e s’alza sui buoni e suoi cattivi proprio per questo: perché a nessuno è garantita per sempre la luce, e a nessuno per sempre sarà negata.


Pubblicato il 24 gennaio 2011 su www.cataniapolitica.it

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