"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

17 febbraio 2011

LA DIGNITA' DEL GIORNALISTA E' LA SUA IDEA DI SOCIETA'


di Antonio G. Pesce-
Mi è andata male. Ho un senso innato per il martirio, che da cattolico so di non dover coltivare, perché gli onori si ricevono, non si cercano. Eppure, forse troppo intento a tuffarmi a capofitto nella difesa dello sporcaccione nazionale, mi sono perso quest’ultima battaglia.

Antonio Condorelli, il giovane direttore di Sud, è stato fatto fuori (editorialmente parlando, sia chiaro). Io pensavo che, prima o poi, lo avrebbero fatto fuori (fisicamente) per quel che pubblicava in una Sicilia che dorme e in una Catania in letargo. E invece no. Condorelli è reo, in una società che ormai teme di dare qualsiasi giudizio, di essere fascista (o qualcosa del genere). Domani, forse, lo si potrebbe accusare di essere gay, e che esserlo sia una malattia contagiosa. Magari poi ti trovi un Vendola in redazione. O – che ne sappiamo noi? ormai tutto può accadere – che da bambino il piccolo Antonio non ebbe il morbillo. Metti che ci scappa un’epidemia….

Fascista dunque. E quindi allontanato, nonostante ‘l’amico degli amici’ lo avesse presentato come brillante. A leggere il comunicato degli editori di Sud c’è da impallidire: mai vista una sequela interminabile di strafalcioni comunicativi, giuridici e, soprattutto, morali. Il giornalismo, con buona pace di chi si è dato alla comunicazione dopo essersi dato alla musica – e farebbe meglio a darsi all’ippica – nasce con idee ben precise. Nasce “ideologizzato”- direbbero gli editori di Sud: è l’uomo che racconta, giudicandola, la realtà che vive. Nasce e si diffonde in circoli culturali, che nel ‘700 avevano le loro “ideologie”, e si sviluppa nel ‘900 grazie a penne tra le più qualificate. Ma penne strette da mani, al capo delle quali c’erano teste pensanti.

Fava e Impastato, Alfano e Montanelli: qualcuno si sentirebbe di dire, in tutta coscienza, che questi uomini non avessero passione politica? E non fu forse la loro passione che li mosse, tanto da infastidire chi poi ne attentò la vita e li uccise?

Nessuno nega più che Mussolini fu un grande giornalista: il tipico giornalista, che non fotografa fatti – i fatti del giornalismo sono vita, e una vita fotografata è una vita morta. I fatti li interrogava, li inquisiva, li metteva sotto torchio. Da giornalista capì che c’era un’Italia, uscita fuori dalle trincee, che non era quella raccontata dal parlamentarismo liberale dei notabili.

E poi, davvero crediamo che nell’anno di grazia 2011 – anno di bunga bunga, di IPhone, IPad e di ragazzotte in vena di liberalità genitale – in una città come Catania, per un giornale come Sud, sia così indecoroso un direttore con idee non proprio da salotto? Se Condorelli avesse avute idee più urbane, sarebbe stato risucchiato dalla melassa che qui – qui lettore, nella Catania del 2011, mica chissà dove! – che qui tiene avvinghiati politica, affari e informazione. Se Condorelli fosse stato il classico fighetto da scrivania, sarebbe stato il portavoce, il portaborse e il lecchino del potente di turno. Sarebbe stato sovrintendente del Bellini, per esempio. Tutto, fuorché direttore di un giornale che voleva sbugiardare un’intera classe dirigente, il cui fallimento civile non si può più negare.

Avere idee non è pericoloso. È pericoloso non averne. Si scrive e si rischia la carriera, e a volte anche la sopravvivenza lavorativa (perché le porte te le chiudono, e hai finito di presentarti perfino al concorso di assistente precario del segretario dell’usciere), perché c’è un amore più grande, una passione più forte. Che questa passione e questo amore abbiano un colore diverso del mio non importa. Non sarà mai prostituzione. E tanto mi basta per dar credito a due righe.

Si scrive perché si pensa. E si pensa perché non si è idioti – perché, nonostante tutto, in Italia non siamo tutti cretini. Ed è con i non-cretini che chi detiene il potere, o spera di detenerlo prima o poi, deve continuare a fare i conti. Possibilmente, con argomenti un po’ più forti di quelli mostrati ultimamente.


Pubblicato il 16 febbraio 2011 su www.cataniapolitica.it

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