"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

2 febbraio 2011

La mafia è ancora un tabù?




di Antonio G. Pesce- A Castelvetrano, centro di circa trentamila abitanti in provincia di Trapani, non conoscono mezze misure. Hanno una biblioteca comunale intitolata a Leonardo Centonze, ma sono ricordati per altri due uomini di spicco. Uno si chiama Giovanni Gentile, nato lì nel 1875, e ricordato – almeno fino a quando la cultura non fu un optional – come uno dei più grandi filosofi del Novecento, italiano e non, e padre della riforma scolastica, grazie alla quale gli italiani hanno avuto per decenni almeno un cervello da mettere in fuga (ora, si limiteranno a mettere in fuga solo il deretano). L’altro, è Matteo Messina Denaro, l’ultimo grande boss della mafia che ancora non abbiamo avuto il piacere di raccomandare alle cure delle patrie galere.

Non hanno mezze misure a Castelvetrano. Neppure nelle reazioni. Qualche giorno fa un incontro sulla legalità con il procuratore aggiunto di Palermo Antonino Ingroia, e il collaboratore di giustizia Vincenzo Calcara è andato deserto di giovani (e non solo). Le scuole non hanno partecipato. Ieri [21 gennaio] l’assessore all’istruzione della Regione Sicilia, Mario Centorrino, si è recato a Castelvetrano, e dopo un chiarimento col sindaco e il preside delle scuole, ha diramato un comunicato che recita: ‹‹È emersa una mancata comunicazione tra i diversi soggetti interessati, che ha creato più di un equivoco in merito alla manifestazione, al suo significato ultimo, ai partecipanti››. Peccato che il preside, Francesco Fiordaliso, le idee le aveva chiare, quando ha dichiaro al Giornale di Sicilia di considerare Calcara un “mistificatore”. Strano modo di esserlo dal momento che, se non tutte le sue dichiarazioni, una parte ha trovato riscontro e condotto a condanne.

Ora, dato che Centorrino non se lo chiede – e potrebbe, avendone e l’autorità istituzionale e quella culturale – chiediamocelo noi: fino a qualche lustro fa, su queste faccende qualcuno ricorda equivoci? Qualcuno di quei trentenni, che rientravamo a casa il pomeriggio o la sera, e trovavano in salotto la famiglia sbigottita davanti a scene di guerra trasmesse dalla tv in edizioni straordinaria; qualcuno di questi trentenni ricorda per caso un preside mettersi a giudicare un collaboratore, più e meglio di un giudice, e non far partecipare tre scuole – classico, scientifico e pedagogico – perché mancasse qualche protocollo?

Non ci possono essere equivoci – meglio: non ci può essere alcuna giustificazione. Bisogna far diventare tabù, sociale e personale, l’idea che, in fin dei conti, con la mafia si possa convivere. Che con la mafia, alla fine, si debba convivere. E che convenga pure. E come la politica, ultimamente, ne ha creati alcuni di tabù, riguardanti la sfera sessuale della vita, ne deve creare di altri riguardanti quella sociale. Tra questi, la mafia deve diventare il nostro tabù ancestrale. Non si può fare neppure un passo indietro. Perché non ci metteremmo a distinguere tra associazioni, se ci fosse da esprimere solidarietà a chi è vittima di abusi sessuali o di discriminazioni (o no?). Allo stesso modo, quale che fosse la marca di produzione di un evento civile come quello del 19 a Castelvetrano, bisognava partecipare in massa.

Passi che non lo abbia fatto la città intera. Non può passare che non sia stato consentito di farlo ai ragazzi. Che, tra l’altro, si sono detti costernati per l’accaduto. Segno evidente di quanto fosse chiaro il significato, per quel luogo, di un incontro di quel genere. E di quanto i tempi siano mutati da quel 1992, quando si partecipava senza “se” e senza “ma”. Chiediamoci, allora, cosa è cambiato. E ciascuno riscopra la dignità che tirò fuori in quei pomeriggi estivi di quasi vent’anni fa.


Pubblicato il 22 gennaio 2011 su www.cataniapolitica.it

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