"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

4 luglio 2010

ELOGIO DI PIETRO TARICONE



di Antonio G. Pesce- Quando ho saputo del suo incidente – che qualcosa, durante un lancio col paracadute, era andata storta – ho pregato perché l’epilogo non fosse quello che, infine, è stato. Tra i tanti motivi, non solo quelli umani, il fatto che siamo su questa terra e condividiamo la ricerca della felicità, il timore del dolore e la possibilità della morte. Motivi anche meno nobili, come quello di evitare di fare zapping per non sentire commenti di vecchie glorie, di avvizzite meteore, di improvvisati massmediologi.

Come tutte le persone frustrate, guardavo la televisione ma invidiavo chi la faceva. E allora, quando io ero un promettente studente sulla via della disoccupazione, e lui il dongiovanni più seguito della nazione, sprecai una serie di luoghi comuni pur di denigrarlo. Un po’ come i vecchi che lo guardavano di nascosto, ma poi a tavola facevano i loro sermoni contro la gioventù senza ritegno (e pensare che lui ne ebbe molta, se consideriamo gli esempi seguenti). Proprio non mi andava giù che un parvenu, un homo novus, uno della strada insomma, avesse fatto tanto successo, solo perché aveva lo sguardo da fico (che io non ho), gli addominali non ‹‹appannati›› (io ho la nebbia davanti allo stomaco), e un’opportunità che non a molti è data, in televisione e altrove.

Ho cambiato idea da anni. Da quando, al Telegatto di un decennio fa, la platea li fischiò, e fischiò lui innanzi tutto, che seppur con scarse argomentazioni, seppe tener testa ai detrattori. L’Italia dei lecchini non nasce ora, non si è fatta con l’era berlusconiana: l’Italia che non si ‹‹desta››, neppure per rispetto della propria dignità, c’è sempre stata. E vedere uno che ha il coraggio di prendere il toro per le corna, in quella grande arena di conformismo che sono i programmi televisivi italiani, già dovrebbe indurre a pensare che il tizio ha del carattere. Gli mancherà la cultura, forse anche il blasone mediatico, ma c’è sempre tempo per farseli. È sempre tardi, invece, per avere rispetto di se stessi, e non asservirsi come ‹‹pecore matte››.

Poi, col successo, era arrivato anche il silenzio. Il giovane, dopo un po’ di tempo in cui era logico si godesse la notorietà, si era messo in disparte. E in un mondo in cui lo spettacolo è dato dall’improvvisazione, si era messo a studiare recitazione. Non voleva essere una marionetta, diceva. Quanto coraggio nel lasciare il certo (fuggevole) per l’incerto (che se non è più duraturo certamente è più meritato). Non aveva voluto cavalcare l’onda che lo aveva messo così in alto: voleva domarla. C’era riuscito. E quando Antonello Piroso lo volle nel suo NienteDiPersonale, il giovane palestrato stese a colpi di ironia titolate mummie dell’establishment politico e televisivo. Dicendo solo ed esclusivamente quello che altri, per connivenza, non dicono. Facendosi portavoce di quello che si sente nei bar, dove il buonsenso, non ancora divenuto politicamente corretto, si pone domande e pretende risposte.

Non ce l’ha fatta, però. È morto. Ed io, stanco di vedere i pezzi confezionati tutti nello stesso modo, mi sono messo a fare zapping. E poi gribbio! Un Paese come il nostro, con tutti i suoi problemi, con tutte le riforme che ci sono da fare! (Non fà così l’attuale tiritera? Il famoso ‹‹benaltrismo››). Ci sono cose più importanti! Giro canale, e trovo Mariastella Gelmini, esempio tipicamente italiota di come si faccia di tutto per non meritare la manna che è piovuta dal cielo. Pulitina, compunta, sempre col broncio, sproloquia su sentenze che non ha mai seguito, non foss’altro perché, se avesse avuto tutta questa voglia di leggersi migliaia di pagine, avrebbe potuto leggersi le centinaia che le hanno fatto firmare. Vado allora avanti. Altro canale. Il signore condannato. Almeno, questa volta non si offrono cannoli. Ma la sparata è dello stesso calibro, forse anche più grossa. C’è una generazione di siciliani battezzati alla vita civile dal sangue di Falcone e Borsellino. Chi è rimasto nel limbo dell’incoscienza, considera miti Valentino Rossi, Vasco Rossi, Paolo Rossi. Ma nessuno, nei bar dove il buonsenso è parecchio politicamente scorretto, direbbe che suo eroe è un mafioso. Proprio non si può, perché è cambiato il mondo – il nostro “mondo”, il mondo che vivevamo prima di quel ’92. Io ricordo la sera, quando seppi di Capaci. Ricordo quando seppi di via D’Amelio. E dei Parioli, dei Georgofili, di Milano.

Cambio ancora canale. Ritorno indietro. E mi piace rivedere il giovane considerato incolto solo perché diceva cose troppo semplici – come semplice è la verità. Il giovane che sapeva essere pure autoironico, segno di intelligenza antica davanti ad una modernità che si è fatta boria. Mi piace rivedere un sorriso, soprattutto un sorriso, di un mascalzone latino che sapeva prendersi poco sul serio, pur essendolo più di tante lapidi del grande cimitero televisivo.

Piero Taricone è morto. Una delle poche novità nel panorama nostrano. Per il resto, è sempre la solita solfa: ministri incompetenti, deputati collusi, ecc.


Pubblicato su www.cataniapolitica.it il primo luglio 2010.

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