"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

29 giugno 2010

PSICOPATOLOGIA DEL CALCIO (E DI UNA NAZIONE)



di Antonio G. Pesce- Paolo Crepet, intervistato su Radio Rai, ha sdrammatizzato: ‹‹Non è una tragedia››. Abbiamo di peggio, lo sappiamo. Non è che caschi il mondo, se un paio di ragazzotti in mutande non si danno da fare su un prato verde e finiscano a casa. È tragico, invece, che ci stiano finendo milioni di loro coetanei, altrettanto talentuosi ma non col pallone. E non è che gli Azzurri siano gli unici a battere la fiacca. C’è di peggio, lo sappiamo. La rivoluzione liberale tanto promessa che finisce a fischi, e per cadere nel ridicolo non attende più neppure che spunti il passo dell’oca di fronte palazzo Grazioli. Quella proletaria che russa mentre agli operai di Pomigliano scippano perfino il diritto allo sciopero. Il resto tutto immobile.

Ci si muove solo per fuggire. D’accordo col noto psichiatra, facciamo finta di non aver visto il commissario tecnico della nazionale scappare negli spogliatoi, dopo l’umiliante sconfitta contro la Slovacchia. E concentriamoci su Aldo Bancher, che è filato dritto dentro i sacri palazzi della politica, per farsi ungere dal suo signore e diventare ministro di un ministero di cui non si sa ancora neppure il nome. Evitando di finire sotto processo – lui, perché la moglie, invece, davanti ai giudici dovrà finirci lo stesso. Aldo “piè veloce” non cede il passo manco per galanteria.

Va bene tutto. C’è di peggio. Ma vogliamo fermarci un po’ a riflettere? I simboli non dicono più nulla? In questi anni stiamo perdendo tutto. Eravamo la terra del turismo, e i turisti stanno veleggiando verso la Spagna sempre più cospicuamente: facciamo la cresta alle loro spese, e li serviamo come se stessimo facendo loro un favore. Eravamo la terra della cultura e dell’arte, e secondo alcune stime nell’ultimo decennio abbiamo sfornato alla maturità 8 milioni di capre. Senza contare che ministro dell’Istruzione non è Giovanni Gentile, Guido Gonella o Tullio De Mauro, ma Mariastella Gelmini. Eravamo la terra di industriosi artigiani e di operai sgobboni: gente umile, povera forse ma onesta. Ormai siamo al “si salvi chi può”, e i padri fanno le scarpe ai figli, e i nonni non lasciano il posto manco se a schiodarli dalla sedia è la morte. Figuriamoci i nipoti. Non abbiamo più nemmeno Pavarotti, e ci tocca consolarci con Apicella. Perfino Silvio Berlusconi non è più ottimista come una volta.

L’Italia che è scesa in campo in questo mondiale africano è la fotocopia esatta di come ci pensiamo oggi noi italiani. Gente stanca. Stanca perché arrivata, perché le basta quel tanto o poco che già è piovuto dal cielo. Gente che non investe nel futuro, ma che arranca spegnendosi per inerzia. Marcello Lippi si è affidato ai suoi uomini. Uno di loro addirittura tanto fresco da finire la sua carriera negli Emirati Arabi! E i giovani stentano a farsi strada, anche perché come la storia ci insegna che gli italiani amano dividersi. E basta che la contrada propria vinca uno scudetto o una coppa per far festa con i mercenari che, alla prima occasione, saranno i nostri lanzichenecchi.

L’Italia sta massacrando una intera generazione – si diceva il 18 giugno nell’incontro alla Cittadella con Vittadini, Lauro e Barcellona. La stessa cosa ripete da mesi Massimo Cacciari. Guardiamo alla politica, guardiamo alla nostra classe docente, guardiamo all’organico del nostro calcio. Sapete che vedremo di comune? Il vuoto, dopo la generazione attualmente al potere.

Siamo allora sicuri che la sconfitta contro la Slovacchia sia solo una tragedia sportiva?



Pubblicato su www.cataniapolitica.it il 26 giugno 2010.

Nessun commento: