"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

7 giugno 2010

W L'ITAGLIETTA


di Antonio G. Pesce- La festa della Repubblica, anche quest’anno, l’abbiamo fatta. È passata. Il santo dell’Unità – vedrete – sarà gabbato tra qualche anno. Tutto in austerità. Perché la classe politica italiana – in questo caso, soprattutto quella di centrodestra – ha scoperto l’uso parsimonioso del denaro pubblico. Dalla grandeur del nuovo miracolismo occupazionale alla conta delle briciole.

Piccola retorica, piccole idee, piccolissimi progetti di cosa debba essere questa nazione. Piccoli? Localistici è meglio definirli, con l’Italia che scivola sempre più verso la periferia dell’impero che conta. Quando taluni montanari, discesi a valle e divenuti politici in una bettola, propongono l’idea del paese che vorrebbero, non vediamo l’Italia com’è stata né quella che sarà, ma come sono essi stessi oggi. Ognuno di noi parla e si relaziona col mondo che si è creato. E il mondo, ciascuno se lo crea a propria immagine e somiglianza.

Avremmo bisogno, almeno una volta ogni cinquant’anni, di una sana boccata di patriottismo. Neppure ingozzarsi di tanto in tanto fa male al cuore. Riscoprirsi nazione ogni mezzo secolo non farà di certo saltare le coronarie della democrazia e del pacifismo costituzionale. Avremmo bisogno, proprio ora che nascono imperi, di stringerci ancor di più, di trovare una compattezza sociale, politica e culturale che ha fatto grande i paesi dai quali, anche in questi tempi di presunto “buongoverno”, ci arriva qualche lezioncina sull’uso delle risorse finanziarie. Quelle che contano, non gli spiccioli.

Ci tocca, invece, vederci divisi ancora una volta. C’è una cortina di cafonaggine che non si limita a tagliare in due il territorio nazionale né lo stato nazionale. Ma il senso della nazione. Il sentirsi, nonostante tutto, un solo popolo in un solo stato.

C’è da capire il nostro presidente del consiglio in alcune sue esternazioni: da vent’anni gliene dicono di tutti i colori, e non tutte le volte gli improperi sono stati meritati. Tutti facciamo, anche se di rado, qualcosa di buono. L’avrà fatta pure lui. E c’è anche da capire che non è più un giovinetto: i capelli tinti non possono nascondere il fatto che si sta facendo assai anziano. E una volta gli anziani si mettevano davanti la porta di casa, e con una mano scioglievano il rosario e coll’altra stendevano il bastone contro i monelli. Oggi vogliono salvare il mondo, frattanto che si fanno decine di docce a notte, copulano con graziose (e meno graziose) signorine, e devono mantenersi in forma nei sondaggi. Tanto stress, e a quell’età, un po’ di male deve pur farlo ai nervi.

Mettici pure che, in una sola serata, e tra una risata e l’altra del pur garbato Floris, a Ballarò ha dovuto difendersi dal suo peggior nemico. Che è sempre il medesimo: se stesso. Non dalle dichiarazioni di uno Spatuzza o di qualche altro pentito di mafia, ma da se stesso in altra veste. Nella veste dell’uomo della provvidenza. Ora, la Provvidenza è colata a picco. E scopriamo, pure, che era senza il suo carico di lupini. Perché di lupini non ce ne sono più. E allora si corre ai ripari. E bisogna tappare la falla dalla quale, ieri, fuoriuscivano balle come fossero milioni di tonnellate di greggio. Ed oggi imbarca quell’acqua che si porterà via perfino il coriaceo Bastianazzo.

Lì, nei lucidi dei sondaggi che hanno fatto la sua fortuna, Bastianazzo ha visto il mare grosso. Aveva davanti tutti i suoi peggiori nemici. Gli italiani non lo amano più. Amano più Napolitano, Fini, Draghi e Tremonti.

Capita che i nervi saltino. Capita di prendere il telefono, chiamare la comare insolente e dirgliene di santa ragione. In diretta nazionale. Gli sta capitando, però, un po’ troppo spesso. Coloro che lo conoscono bene (Bruno Vespa) lo dicono uomo generoso, che vuole restare nella storia di questo paese. Vorrebbe restarci per le riforme, dicono. Per il Ponte sullo Stretto e altre grandi opere. D’accordo. Ma ce n’è una in sospeso da centocinquant’anni: fare gli italiani. Dare una nazione ad un popolo. Portare a compimento l’unità.

C’è sempre la possibilità di sbagliarsi, ma la strada sembra invece quella della vecchia strategia romana del divide et impera, che permette – forse – di tenersi stretto il governo della nazione, recuperare qualche posizione negli indici statistici di gradimento, e perfino di mandare subdoli messaggi ai parenti (coltelli) della coalizione. Ma il prezzo, solitamente, è quello di finire per essere superati dalla storia e svalutati dalla storiografia. E c’è di peggio: essere disprezzati dalla memoria collettiva.

Pubblicato su www.cataniapolitica.it del 3 giugno 2010.

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