"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

31 maggio 2010

IL DUCE DI ARCORE

di Antonio G. Pesce- Pieno stato confusionale. Non sapere quanti soldi si abbiano in tasca: pensavamo di aver toccato il fondo. Ora scopriamo che non sappiamo più neppure chi siamo. Lui e l’altro si sono messi a fare citazioni dotte. Che in Italia, in linea di massima, nessuno capisce. Siamo diventati un laurificio a cielo aperto e lo dicono le statistiche, inflessibili nel relegarci nel fondo di ogni graduatoria internazionale. Quindi, il più delle volte, scandalo o stupore davanti a citazioni e paragoni assai arditi. E quando il presidente del consiglio cita Mussolini e il ministro dell’economia interroga l’anima di Karl Marx per sapere che ne pensi del suo operato, il più che succede è che Caifa si stracci le vesti nel tempio dell’eleganza politica. Ma chi alle buone maniere non vuole sacrificare il cervello, ricorda Newton, e dice che i nani, una volta quando non c’erano i tacchi, poggiavano sulle spalle dei giganti.

C’è chi ha lo stomaco delicato: sconsigliato. Ed evitiamo la lettura alle donne incinta. Ma l’uomo di Predappio sapeva che cosa fosse la politica, e sapeva pure farla (in un certo senso). Portò sulla scena un popolo, che aveva comprato il proprio Stato a caro prezzo sul Carso e l’Isonzo. Non il suo avvocato, il suo medico, il suo commercialista, ecc. Parlava di scuola e università con un genio del calibro di Gentile. Di cultura con Bottai, al quale permise la fondazione e la direzione di una rivista, Primato, sulla quale erano tollerate forme di dissenso. E di politica estera con Ciano, suo genero. Il primo a votargli contro la notte in cui venne sfiduciato. Perché a quei tempi si usava anche sfiduciare il presidente di un governo ritenuto fallimentare – che barbarie! E si rischiava la fucilazione, non certo il posto in parlamento con relativo appannaggio.

In comune i due avrebbero, semmai, due cose: una lontana appartenenza al Psi e la passione per le donne. Ma l’uomo di Predappio non si fece regalare concessioni televisive. E neppure donne.

I paragoni possono essere imbarazzanti. Non solo per la sinistra micro-borghese dei nostri giorni, con tante idee chiare su cosa va detto e cosa no, ma neppure una per togliere al ‹‹revisionista storico›› il timone della barca. Soprattutto per chi li fa. Ringraziando Iddio, la storia non passa invano. E così ci si può allargare a qualche citazione. Avessero taluni il potere di altri, saremmo colpiti, tutti indistintamente, di nostalgismo compulsivo.

A Predappio si beve del buon vino nostrano. Della buona birra teutonica, invece, a Treviri. C’è una bella differenza. Ma da qui a là, s’era capito che sono gli uomini a fare il mondo – che gli uomini se lo costruiscono come possono, e che questo si chiama politica. E alienarsene una parte per mere questioni di bisogni non era da uomini. Dorma sogni tranquilli il nostro ministro del Tesoro: Marx, a differenza dei marxisti, non era un bacchettone. Amava i paragoni audaci. Vedendo una schiera di professorini che, solo dopo aver ridotto i loro paesi con le pezze ai fondelli, si rendono conto che la politica non può farsi fagocitare dall’economia, avrebbe imprecato ma per altre ragioni. Non certo per un’assise di liberisti e sindacalisti. Lui, filosofo, quella definizione di “economista” – considerata poi la miopia di quelli attuali – proprio non gli garberebbe.



Pubblicato su www.cataniapolitica.it il 29 maggio 2010

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