"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

29 maggio 2010

LA GERONTOCRAZIA ITALIANA E LA PROTESTA A CATANIA



Anni addietro qualcuno derideva i giovani liceali per il loro impegno politico. Certo, molti di quei giovani, avviati alla politica dalle morti di Falcone e Borsellino e da Tangentopoli, hanno mutato idee negli anni. Capita, perché cambia il mondo. Bisogna vedere se abbiano cambiato anche i valori con i quale soppesavano, negli anni del liceo, il proprio mondo e le idee altrui.

Non sappiamo dire se siano stati i primi di una nuova motivazione civile, o gli ultimi di quella passata. Possiamo però dire che la mancanza di impegno politico non è giovato ad un popolo che, semmai, per poche libbre di lenticchie ha venduto non il futuro dei padri, ma quello dei figli. A che servano le appendici del consumo, quando non si può dare in dono ai figli libertà e dignità, non è dato sapere. Ma i padri che, divertiti, guardavano dai marciapiedi una gioventù in corteo, il 18 maggio scorso, dovrebbe ridere di meno e pensare di più.

Ecco l’Italia. Un paese strano, dove tra i primi artifici dello strapotere altrui c’è chi ne subirà, innanzi tutto, le conseguenze. Karl R. Popper, che non credeva nelle rivoluzioni, e aveva abbastanza sale in zucca da sapere che il potere ci sarà sempre – e non è nemmeno sbagliato che ci sia – pensava che la democrazia fosse l’unico strumento per limitare quello di chi è al potere. Un potere illimitato e, ancor più, illimitabile, è un potere tirannico. Però, in Italia può succedere che l’atto di potere col quale si decide della vita altrui passi inosservato, od osservato con divertito distacco.

Solo per capire che non si sta parlando dei massimi sistemi, citiamo il caso di Catania. Focolaio di proteste nell’ultimo mese. Innanzi tutto, quelle dei giovani della facoltà di Lingue. Un mattino si convoca al rettorato il loro preside, e gli si dice che da lì al prossimo anno bisogna fare le valigie. Si va a Ragusa. Bel posto, tra l’altro: Ragusa Ibla. Un gioiello (il potere sa indorare la pillola). Senza prendere in considerazione che circa seimila famiglie dovranno rivedere il loro piano di spese. Perché questo trasferimento? Perché si sono accorti – politici di piccolo, medio e grosso taglio – che quella è la zona più produttiva della Sicilia, se non addirittura la più ricca. E che manca non solo dell’aeroporto (Comiso non è ancora attivo), ma anche di vie di collegamento veloci per le esportazioni, con la Catania-Ragusa che è un mattatoio con le sue decine di morti all’anno, e la Catania-Siracusa che si ferma a Rosolini. Aspettando le strade, il braccio (sudato) della Sicilia che lavora e produce riceve un’università. Un polo universitario fatto di migliaia di studenti. Molte delle quali in trasferta.

Chi resta, però, non se la passerà molto meglio. Il prossimo anno potrebbero non partire i corsi. E questo per la protesta dei ricercatori, il 48% dei docenti degli atenei. Protesta nazionale contro il ddl della Gelmini. Se ce la fanno a bloccarlo –ma c’è da dubitarlo – fermeranno l’ultimo scempio di un potere che non teme più neppure la spudoratezza. La questione è che, oltre ai tagli, si vuole tagliare l’università: il progetto, caldeggiato dall’attuale ministro del Tesoro e da Confindustria, è avere atenei con solo il 30% dei docenti, e il restante a contratto e progetto. Finiti i quali, dovranno andarsi a cercare un posto di lavoro da qualche parte. Probabile, invece, che si andrà sin dal primo giorno all’estero, dove già gli italiani affollano gli istituti di ricerca. E non si registrano all’estero soltanto i brevetti ingegneristici (da qui uno dei motivi per cui il PIL dell’Italia cresce poco), ma le analisi sociologiche si fanno in Francia e gli studi antropologici negli USA. L’ultimo passo è che si esporti anche l’arte, magari vendendola per coprire il buco dei conti pubblici, che nessun governo ha la dignità – perché è questione di dignità ormai – di voler tappare.

Del resto, si sta censurando la stampa, impedendole di pubblicare gli atti (pubblici!) delle inchieste, e ci si sta spartendo l’ultima coscia di pollo rimasta nel pentolone nazionale, senza che un solo italiano batta ciglio. Anni e anni di paroloni, e quando è arrivato il momento? tutti in via Etnea, vecchi di un vecchio Paese che muore, a vedere i giovani contestare un sistema che si sgretola sempre più. Che già ha ceduto in Grecia. Il primo paese in Europa per corruzione, indebitamento, scarsa crescita economica e pochi investimenti in ricerca. Il secondo – ricordiamolo- è l’Italia.


Antonio G. Pesce.



Pubblicato su "L'Alba" di maggio-giugno 2010.

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