"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

10 maggio 2010

LA DANZICA ELLENICA E IL NUOVO ASSALTO TEDESCO

Di Antonio G. Pesce- Alla fine passa tutto dal Ponente. L’occidente, l’Europa è questo: il luogo dove cala il sole. Il tramonto. E tutto, prima o poi, tramonta. L’Europa è il destino del mondo. Qui si giocano ancora battaglie vitali per il futuro dell’uomo. Che se tali non vengono più percepite, è perché la cultura è divenuta soprammobile. E come tutte le bomboniere che ci rifilano agli appuntamenti con la parentela, o è finita svenduta in qualche pesca sicura della cloaca televisiva, o la si contempla chiusa in vetrina aspettando che un qualche evento – solitamente la morte del contemplante – lasci mano libera alle Parche – solitamente i parenti del contemplante – di far piazza pulita.

Il crollo economico della Grecia e il ruolo assunto in questa vicenda dalla Germania non sono emblematici perché ad essere coinvolti sono due stati simbolo della storia europea, più legati nell’immaginario al loro passato che non l’Italia a quello dell’impero romano. Non si tratta del razionale e, nella metafora, democratico Classico sopraffatto dal potente e decisionista Moderno. Non si danno battaglia Achille e Tristano. Non è fuori dalla storia che dobbiamo andare, ma dentro, dove palpita la vita col suo carico di problematicità, che va dipanata se non si vuole restarne avvinghiati. L’Europa sta rivivendo i vecchi problemi dello spazio vitale e della volontà di potenza, ma li rivive in modo così differente dal passato, da condizionare il nostro impegno col futuro.

Siamo spiazzati perché, dopo lo spegnersi dei fuochi sciovinisti della prima metà del secolo scorso, e l’egemonia di certi metodi storiografici quantitativi, abbiamo creduto che il Vecchio Continente fosse tagliato fuori dal corso galoppante della Storia già da quasi mezzo millennio, quando se ne scoprì uno Nuovo. Al Mediterraneo vollero sostituire il più affollato Atlantico, senza accorgersi che attorno a quella vecchia sponda la Storia stava ancora consumando i suoi sandali.

Tutto passa da qui, anzi – tutto si concentra qui. Ere di pace e terribili momenti di distruzione: l’Europa è questo corpo vivo che produce da sé medesima e gli anticorpi e i virus, e nella lotta febbricitante di quelli con questi, a volte, l’intero corpo ha rischiato la disintegrazione. Nessun altro continente può contare una potenza vitale così enorme racchiusa in un fazzoletto di terra. Nessun altro continente ha visto lotte così brutali per la conquista di spazio. Greci, in quel mondo che era allora il mondo conosciuto nei suo confini. Romani. Barbari di tutte le risme. E poi, quando le ultime emanazioni finirono, la guerra fra Stati. Tutto per lo spazio. E lo spazio è movimento. E il movimento è vita. E in un mondo virtuale, lo spazio viene segnato dal virtuale spostamento di cifre elettroniche. Ma che, traslate nel linguaggio prosaico del vivere quotidiano, sono il giogo del vincitore sul vinto. La transvalutazione di nicciana memoria c’è stata, ma ancor prima che i valori, ha interessato i mezzi.

Se qualcuno si aspetta che le tensioni prendano la forma di tenzoni cavallereschi tra i borghi, o che, ancor meglio, scendano in campo gli Orazi e i Curiazi, si sbaglia si grosso. La tecnica ci sta pian piano togliendo la possibilità di soddisfare l’ultimo grande piacere che rimane – far all’amore. Ci ha tolto già, e da tempo, la possibilità di soddisfare un bisogno atavico, ma impellente- far la guerra. Perché nella guerra, come ci è stata mostrata dal primo conflitto mondiale in poi, non c’è più alcun eroismo da cantare, nessuna violenza da sfogare. Se c’è, rimane il nulla. Il nulla morale di soldati non sempre preparati a sopportare il peso di quel fardello; il nulla di schieramenti che possono venir spazzati, senza che alcuno tra loro abbia potuto agire quale protagonista di un evento millenario e naturale. E non c’è più alcun movente per una guerra. A che pro? Niente più nazionalismi – la gente è invitata a starsene buona e in pace con tutti, le frontiere devono restare aperte, le merci devono girare, le industrie devono restare integre: sono nostre, anche se installate sulla terra del nemico. Niente più interessi economici – i profitti sono ormai ‹‹liquidi››, non si fanno più con l’industria pensante, la metallurgia, le catene di montaggio riconvertite al bellico.

Le guerre che si fanno, si dichiarano dopo anni di embarghi economici. Dopo anni di dissanguamento lento. Prima un dietro-front dell’avanguardia finanziaria. Poi si mandano a morire i giovani di un paese che desidera esportare democrazia. E finisce per importare bare.

L’identità di un popolo non è più data dalla sua storia, dalla sua civiltà o dalla sua lingua. Sono fondamenti ‹‹etici››, naufragati nella barbarie del secolo scorso. La Germania lo sa bene, e lo sa altrettanto bene l’Italia, che dopo aver cancellato ogni sentimento di identità nazionale, ora è in mano alle trovate carnevalesche di quattro accattoni (sedicenti) celtici dai baffi impastati di polenta. Ma i tedeschi hanno trovato la loro identità, prima e dopo il Muro, nella indiscutibile potenza della loro economia. Il marco non conobbe la forte speculazione a cui furono soggette tante altre monete (lira compresa), agli inizi degli anni novanta. Il marco fu per i tedeschi bandiera, inno, unità geografica e strategia geopolitica. Non la moneta in quanto tale, ma la potenza che esprimeva.

I Greci sono i primi a saggiare il nuovo corso. O l’euro naufraga, e a quel punto ognuno dovrà farsi bene i suoi conti e fronteggiare da solo le speculazioni internazionali. O l’euro diventa marco, e allora non saranno necessari i panzer di una volta. La Grecia è la novella Danzica. Se i tedeschi decideranno di non chiudersi nel loro egoismo (che però fa capolino anche tra le loro fila), e gli altri paesi europei non vorranno o non potranno seguirne la marcia, allora ci sarà di nuovo l’ assalto al potere mondiale. E questa volta, però, nel modo più sordido possibile.

È una partita a poker, ormai. E a chiunque abbia a cuore la propria sovranità conviene mettere tutto dentro. Anche duri sacrifici. ‹‹Guai ai vinti››, perché chi oggi cade (la Grecia, ma presto sentiremo il botto della Spagna e del Portogallo), difficilmente avrà più le proprie gambe per rialzarsi.

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