"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

13 luglio 2010

SCUOLA, IL FUTURO A PEZZI



di Antonio G. Pesce- I corridoi sono vuoti. Con la cappa di caldo che copre la città, non ci fossero le vacanze, i ragazzi avrebbero ammutinato in massa. Eppure, in questo cimitero di solitudine, da una tomba provengono le urla dell’ultima battaglia dell’anno per la salvezza e la perdizione di qualche anima. È per questo che, paradossalmente, l’aria appare meno spettrale che se il vuoto fosse senza suono. La bidella, comunque, sente il dovere di esprimerti – tu estraneo al girone – tutta la propria costernazione per quel trambusto. «Sa, ci sono scrutini» profferisce con molto garbo.

Siamo al nord. Qui la Lega è arrivata già da anni col suo manipolo di eroi celtici in giacca e cravatta (verde). Qualcuno – i più maligni – dice che ha fatto dei posti di poteri un bivacco per i propri uomini. Con annessa parentela varia. La sinistra, storico signore del feudo, ha visto rodersi l’immensa baronia, ed ha finito per montare vecchi ronzini con la lucidità del cavaliere spagnolo seicentesco. Nessuno, del resto, poteva resistere al dio Thor, venuto a salvare l’Eden padano dal demonio clandestino, ad esorcizzare gli spettri dell’insicurezza, a render giustizia al popolo ariano sfruttato dall’iniquo (e scialacquone) terrone.

Eppure, nulla è cambiato nel piccolo liceo della cittadina. «Anzi, è peggiorato. Ed era già difficile prima», ci dice l’uomo che aspettavo dopo che, paonazzo e madido di sudore, ha lasciato il limbo e mi ha portato in un bar vicino. Cerco di farlo calmare. «Lascia perdere – mi dice – ho trent’anni di carriera, e le mie coronarie ormai ci hanno fatto l’abitudine». Docente di lettere classiche, è noto per i suoi lavori scientifici e per l’autorevolezza della sua didattica. «Ora, tra i miei meriti pure l’essere autoctono».

«Sta andando anche peggio –aggiunge – La scuola è stata smantellata. Stampa diplomi che non hanno alcun valore. Manca l’oro della cultura a farne da garante. Chi assumerebbe un giovane che, oltre a non saper far di conto, non sa neppure parlare e scrivere correttamente nella propria lingua?». Gli faccio notare che è catastrofico. E che il cornetto alla crema è buono pure qui, nel profondo nord. Ma non mi segue.

«Sai di chi è il futuro? E di Xiao Bao. E di qualche indiano. È di chi è stato educato al sacrificio, e di quei popoli che sanno ancora dare un valore alle cose. Abbiamo voluto scuola e università vicini ai “problemi” dei ragazzi, alle loro “esigenze”, ed ecco che le abbiamo allontanate dalla vita. Perché amico mio, la vita è ben altra cosa. Non hai sempre la mamma a coccolarti. E la scuola è ormai la grande mamma di un popolo mammone come quello italiano».

Il cornetto era buono. L’ho fatto fuori in un battito di denti. Anche perché la pasta sfoglia era troppo leggera (unica pecca; beh, e anche la poca crema…): si scioglieva in bocca. Lui ne ha preso solo un piccolo pezzo dal suo, mentre il cappuccino è tutto ancora lì. Il cappuccino! con trenta e più gradi d’umido. Viene d’istinto – un riflesso – pensare alla granita sicula con brioche (mandorla e cioccolato, con doppio strato di panna, uno in fondo al bicchiere, l’altro a coprirlo).

Comunque, il prof. sei tu, e tocca a te fare delle scelte. Tocca a te scegliere se promuovere o bocciare … «Bocciare? Ah, faccio prima a vederli disoccupati per mancanza di credenziali, che a rafforzarli io un annetto. Perché questo solo potevi fare: bocciarli, e sperare che ritornassero sulle loro scelte di vita. Ora neppure questo. Ma così non si fa il loro bene, li si illude soltanto. Ed è ignobile». Solita tiritera dei docenti: volete fare i buoni, vi piace essere amati. E poi, con certe madri che vanno in giro per le aule, rischiate pure il collo. «No, non è così. La questione è ben altra. La scuola pubblica è al collasso. Non arrivano fondi neppure per le cose indispensabili. Il personale è stato ridotto al minimo, e di conseguenza gli studenti vengono ammassati in luoghi, che non sono solo poco igienici ma perfino insicuri. Alle famiglie importa poco. Credono, come dici tu che siano lamentela lobbistiche dei docenti, i quali, peraltro, non si vede come possano spiegare, interrogare e seguire dai ventisette ai trenta alunni per classe». E dunque, la qualità dell’insegnamento va a farsi benedire.

«Sì, ma per motivazioni ancora più sottili di queste. È un problema di numeri. E i numeri sono business. I presidi sono ormai dei manager. Devono fare cassa, anche perché una buona parte della gestione è affidata all’ “autonomia” della scuola (lo stipendio dei supplenti, i corsi di recupero, ecc). così, più iscritti significa più soldi. E come li fai gli iscritti? Non con la qualità, in un Paese immeritocratico come il nostro non serve a nulla. Li fai con promozioni facili, gite, attività collaterali come la danza, i giochi, le gare, il teatro, ecc. Ecco come un docente diventa un “animatore scolastico”».

E pensare che Francia, Inghilterra, Germania e Stati Uniti discutono, invece, propria della qualità dell’insegnamento. Ed Obama, come prima di lui Roosvelt nel dopo ’29, rilancia la formazione come volano dell’economia. Noi siamo fermi, come una bicicletta al palo. «Già – beve una sorso di cappuccino, ormai poco bollente, e vi inzuppa poi un altro pezzo di croissant – e la Lega se ne va in giro col suo populismo parolaio. Qui, fra poco, saremo scarsamente appetibili pure per gli immigrati del Congo. Siamo un Paese in decadenza. Dobbiamo solo ammetterlo».

So dove vuole andare a parare – almeno immagino. Mi offro da spalla: «Va bene – gli dico – vuol dire che finiremo tutti dai preti!». Lo provoco. Ma questa volta mi sorprende. «Non sarà così. Nonostante il ciellismo opportunista della Gelmini, che quando parla di educazione sembra un positivista d’annata, le scuole paritarie sono alla canna del gas anche loro. Anche a loro è stato tagliato tantissimo. Ovviamente, parlo delle scuole dei preti, di quelle scuole paritarie che, almeno in alcune zone e per alcuni gradi d’istruzione (pensa alle scuole elementari, lì dove non ce ne sono), suppliscono alle deficienze dello Stato. Di quelle scuole a 500, 600 euro a trimestre per intenderci. Non parlo di quelle con rette da diecimila euro all’anno, che usufruiscono comunque del bonus dato dalla regione [indovini il lettore quale! n.d.A.]. Semmai, sono queste il futuro che il governo vuole. Un futuro che dovremo pagare caro. Un futuro di società per azioni, laiche o cattoliche che siano». Del resto, il dio quattrino è sempre più immanente (e convincente) del Dio Trino.

Ormai, però, è più calmo. Sorride pure. Ha ripreso il colore naturale. Ma che gli è successo che lo ha fatto tanto arrabbiare? «E’ successo che i quattro diventano cinque, nei consigli di classe. E che i presidi pretendono che i cinque diventino sei. E i sette nove, per poi mettere in vetrina i loro centisti. Non solo, ma pur di non bocciare – che cattiva nomina che poi si fa l’istituto! – abbiamo promosso uno che si porterà il debito in italiano, latino, greco e matematica. E insufficienze in scienze e filosofia. Dimmi tu se non siamo al ridicolo!». Siamo in un altro mondo. Pian piano, ormai, siamo in un altro mondo da quello vissuto solo un decennio fa. E, quel che è peggio, è che lo troviamo migliore.

Paga il conto lui, perché mi vuole suo ospite. Poi, andiamo a scuola, perché ha da firmare delle carte. Intanto, hanno già affisso i voti delle classi scrutinate. I ragazzi ballano felici. Cantano che tutto è in equilibrio sopra la follia… «L’equilibrio l’abbiamo già perso» mi dice, e si avvia per le scale.



Pubblicato su www.cataniapolitica.it il 10 luglio 2010.

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