"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

24 dicembre 2010

UNA RIFORMA ANONIMA PER UN PAESE ANONIMO




di Antonio G. Pesce - La riforma dell’università è legge. Viene spontaneo definirla col nome del ministro che l’ha firmata, ma non è la sua riforma. Non c’è una ‹‹riforma Gelmini››. Innanzi tutto, perché è dubbio che il ministro direttamente responsabile avesse delle idee in merito, prima di essere eletta dal proprio capopartito a quel ruolo. Tra gli uomini del Presidente non sarebbero mancati sostituti di ben altra stazza. E molte delle critiche, fattesi bieco rancore nelle ultime ore, non sarebbe state mosse, o comunque non con questa intensità, se il ministro avesse avuto un’autorevolezza in merito. È stato un errore: gli uomini competenti si devono pagare bene, e sicuramente nessuno avrebbe potuto accettare l’abnorme massa di licenziamenti – altra definizione non viene – che ha colpito la scuola italiana negli scorsi anni. Nessuno avrebbe avuto il coraggio di farsi ‹‹collaborazionista››. Però, al momento della conta, un Martino, un Pera, un Valditara – solo per fare qualche nome – avrebbero fatto pesare la loro storia, accademica ed intellettuale. E magari sarebbero stati ben più radicali – non fosse per altro che per il fatto di sapere dove mettere le mani.


Inoltre, buona parte della riforma, che - è bene ricordarlo - riguarda l’università, e soprattutto il reclutamento dei ricercatori e dei docenti, è stata scritta da una commissione guidata dal prof. Alessandro Schiesaro. Il quale ha due caratteristiche fondamentali: viene dall'altra parte della barricata, o quanto meno si è trovato più volte oltre cortina, essendo ritenuto vicino ad Enrico Letta, ed essendo stato consulente di Luciano Modica, sottosegretario all'università del governo Prodi; ed è un fine latinista, probabilmente con una visione del reale assai più duttile delle sclerotiche contrapposiozioni privato-pubblico del mondo politico.


Infine, dare un nome a questa riforma potrebbe indurre i più sprovveduti a credere che un’altra fosse possibile. Non è così. Sappiamo dei contestatori, parlamentari ed extraparlamentari. Molto meno del merito delle contestazioni, ma qualcuno alla fine qualcosa l’ha detta, e tra diretti interessati (i ricercatori) e i politicanti da strapazzo c’è una profonda diversità di vedute. Nulla, però, su come sarebbe stato più giusto riformare. È qui che sono mancati i nomi. Quegli stessi che si fanno ora, quali sodali tra gli scanni e le baruffe nelle piazze. Perché come il centrodestra voglia l’università lo si è capito, ma non è dato sapere come la vorrebbero chi lo contesta. Preso atto della situazione attuale – che peggiore non si può immaginare – come andava fatto quel che era diventato improcrastinabile fare? Non sappiamo. Sappiamo solo che se ne doveva parlare. Quando, in questi giorni, si è chiesto al governo di fare un passo indietro, non si è detto in nome di chi o di cosa – è una buona ragione la rabbia della piazza? – ma, semplicemente, perché se ne potesse parlare. Parlare? Dal 1923, anno in cui al governo c’era Mussolini e al ministero dell’Istruzione un certo Giovanni Gentile, è passato quasi un secolo. E dobbiamo ancora parlare di come dare una verniciata allo squallore che ormai ristagna da anni?


Parlare! Ma il dialogo, quando non si ha nulla da dire, è mero chiacchiericcio, di cui si deve far a meno. Non parlare, ma discutere, e discutere addicendo ragioni. E se ne si hanno tante da eccitare le piazze, se ne potrebbe far menzione nelle stanze parlamentari, piuttosto che nascondersi dietro generici appelli al futuro. Perché, del resto, il futuro di questa nazione è appeso ad un filo, non certo per colpa dei soli ultimi vent’anni.


La riforma approvata in queste ore sarebbe stata una buona riforma. Sarebbe, se qualcuno – chi, non si sa – non avesse avuto l’urgenza di approvarla, al fine di sbandierare in caso di elezioni qualche riforma, delle tante promesse e mai attuate. Sarebbe stata una buona riforma, se qualcuno non avesse saputo far altro che lanciare alti guaiti, aizzando folle impazzite piuttosto che ascoltare teste pensanti (che ci sono ancora, ma è come se non esistessero). Sarebbe stata un’ottima riforma se, infine, oltre che proporre delle buone norme di reclutamento del corpo docente e di governo dell’università, qualcuno ci avesse messo anche qualche centesimo per farla entrare subito a regime.


Non è così. La riforma dell’università è una riforma anonima, frutto di un Paese anonimo. Un Paese in cui la classe dirigente non sa farsi ascoltare per via della propria statura morale e intellettuale, ma per l’impeto degli improperi e per la sconsideratezza con cui propone atti di forza. Maggioranza ed opposizioni sono in perenne guerra civile: piccole menti sanno farsi grandi guerre, perché per scannarsi serve odio e stupidità, per discutere idee. E di idee l’Italia manca. Non è vero quel che dicono taluni facinorosi, che una cattiva università ottunderà la società intera. C’è sempre spazio alle capacità personali. È semmai vero l’opposto, che una società ottusa genera una cattiva università. Noi ne viviamo la perenne conferma.



3 commenti:

Giorgio Israel ha detto...

Gentile Signore,
tanto per la precisione: non ho scritto una sola parola della riforma universitaria. Temo che lei mi confonda con il prof. Alessandro Schiesaro.
Giorgio Israel

Antonio G. Pesce ha detto...

Stimato prof.,
riconosco l'errore. Inoltre, la mancanza nel testo di alcuni corsivi ha in parte falsato il mio pensiero. L'altra parte è stata falsata da una deduzione, assai ardita, frutto anche di alcuni pezzi della stampa.
MI scuso ancora.

Antonio G. Pesce.

Antonio G. Pesce ha detto...

Il pezzo è stato corretto alle ore 11.44 del 24 dicembre 2010.