"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

8 dicembre 2010

LA LAUREA IN IDIOZIA E LA MELONI



di Antonio G. Pesce- Il dubbio viene, a vedere certe cose. Non servono scuola e università o coloro che le frequentano? Il cane che si morde la coda è apparso qualche sera fa, declinando la propria spocchia su un cartello. Nella trasmissione dalla conduttrice stridula era presente, tra gli altri, il ministro Meloni, responsabile di un dicastero – quello della Gioventù – che, dati i bassi tassi di natalità dell’Italia post-sessantottina, è ormai diventato una riserva di caccia. Un ministero per i giovani si può fare solo in un paese di vecchi. L’Italia appunto, che di cultura – quella avariata della rivoluzione libertaria – ormai ci marcisce. Tanto che se l’appende sul petto come medaglia ad un valore certificato ma ancora non provato. O la espone come gogna per i reprobi.

È stata la stessa Meloni a farlo notare quel cartello che, con scarsa fantasia – ormai anche la fantasia è precaria in Italia, dopo gli anni passati al ‘potere’ –, le rimproverava di essere ministro pur senza essere laureata. Il ‘pezzo di carta’, che fino a qualche decennio fa veniva ritenuto un passepartout da sfigati, oggi è divenuto il fiore all’occhiello delle nuove leve di moralisti al soldo, più che del conformismo, della battuta facile. E cretina.

Ci sarà chi vorrà far notare che la Meloni non è l’unica, tra coloro che siedono in parlamento, ad essere soltanto diplomata, né la prima: sarebbe una buona risposta in un’Italia in cui tutti tengono ‘partito’, ma è bene che la dia chi, di questo tifo da stadio ormai dilagante, sa di potersi approfittare. A quanti in vita loro non hanno avuto mai tanto spirito da elevarsi a pubblici censori di censo accademico, basterà ricordare anni non molto lontani, ma passati a consumarsi al fuoco di ben altri ardori.

Ancora quindi anni fa, quando era chiara la distinzione tra il presidente della Repubblica e quello del governo, e non si facevano sconti alla differenza tra un indicativo e un congiuntivo, nessuno teneva in debito conto le pergamene. Il secchione del primo banco, bravo fino all’inverosimile, che vantava vocabolari aperti e nessun impegno civile – si trattasse soltanto di qualche ora di volontariato, o della lettura di un giornale o, ancora, di un libro (sì, un libro), letto fuori dagli obblighi della naia liceale – era ritenuto l’inconcludente dannato nel girone delle frustrazioni materne. C’era una generazione che si vantava delle emozioni per una lettura di Dostoevskij o della responsabilità del lavoro. Ciascuno fermo nella propria coscienza di dover essere qualcosa di più di un fighetto dalla buona fedina scolare.

Si può perdonare tutto a chi non perdona nulla, perfino l’errore grammaticale. Anche perché non farlo, avrebbe effetti sulle speranze di questa bella gioventù, ben più catastrofici di quelli delle glaciazioni sui dinosauri. Ma di essere così banali, da trasformare la politica in un’arena di belle figurine da salotto barocco, questo proprio no: ciascuno vale per quel che vale la propria dignità, e non le firme dei rettori appesi sui muri. La cultura non serve per dividere il colto dall’incolto, ma per suddividere diritti e doveri. E non la si trova solo all’ombra degli opifici di titoli, la cui manovalanza sforma manifatture neppure degne della dozzinale fabbricazione cinese. La si trova sul cammino della vita: la cultura è l’occhio con cui l’uomo scruta la sua anima e la mano con cui soppesa la propria dignità.

La riforma Gelmini è pessima? Allora è la buona bilancia per l’idiozia sfornata in massa dai nostri accademifici.


Pubblicato il 3 dicembre 2010 su www.cataniapolitica.it

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