"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

13 dicembre 2010

RIPRESA LENTA PER LA SCUOLA ITALIANA


di Antonio G. Pesce- Che ci vogliano soldi per evitare che un tetto ti caschi in testa, questo è assodato. Di pezzi d’intonaco, calcinacci, e perfino delle tegole ne vengono giù parecchi dai soffitti delle nostre aule. C’è pure scappato il morto. Se n’è andato così Vito Scafidi, giovane diciassettenne torinese, nel non lontano 2008. Arrivarono le promesse. Per i fondi, abbiamo dovuto attendere il 2010, e non si sa ancora come valutarne l’entità.

Per evitare, però, che crolli la didattica, che ci vuole? Ce lo chiediamo – retoricamente – ogni volta che escono i dati Ocse sull’istruzione, l’indagine che vede coinvolti i quindicenni di 70 paesi, metà dei quali appartenenti appunto all’organizzazione europea. E ogni volta, da quando si fanno (era il 2000), noi risultiamo al di sotto della media. C’erano dubbi? I nostri giovani non sono un granché nell’analisi e nella comprensione di un testo. Di un testo – attenzione! – scritto nella propria lingua. In matematica non va meglio, e in scienze neppure.

Ora pare ci si stia risollevando, per quanto positivo possa essere considerato un dato in cui si recupera qualcosa, ma che comunque dice che nella lingua (italiana) abbiamo totalizzato un punteggio pari a 486 contro i 493 della media Ocse, in matematica abbiamo perso 496 a 483, e le scienze 501 contro 489. Quando perdiamo una partita di pallone contro l’ultima nazionale dell’est europeo, l’indomani i giornali sono pieni di improperi contro il commissario tecnico. In questi giorni il lettore ha potuto ammirare altrettanto zelo nello stimmatizzare lo sfascio formativo?

Al di là della rabbia del momento, se attentamente analizzati, i dati ci indicano alcune “differenze” che, frattanto che si cerchi come non far morire d’asfissia la scuola e l’università, possono essere affrontate se non proprio a costo zero, sicuramente con un impegno economico davvero minimo (se poi non siamo più nelle condizioni di trovare una cinquantina di milioni di euro, allora chiudiamo baracca, ché facciamo prima).

Innanzi tutto, si registrano scarti consistenti tra i licei e i professionali. Forse sulla lingua lo si potrebbe anche capire, ma in scienze e matematica no. E se consideriamo che i professionali dovrebbero dare un’istruzione più immediatamente spendibile e conforme al territorio, capiamo subito perché da noi non c’è alcun lenitivo al male della disoccupazione giovanile. Essere giovani, dunque scarsa esperienza, e per di più con un curriculum non proprio brillante non è il passepartout adatto per trovare subito lavoro. Dunque – diciamolo in modo sbrigativo, ma così ci si capisce meglio – dobbiamo smettere di pensare ai professionali come al parcheggio di chi, della (propria) scuola media, non ricorda neppure l’indirizzo, perché non c’è mai andato o quasi. Il diritto allo studio implica un correlativo dovere di studiare. Tutto il resto è accozzaglia pedagogica e sociologica.

Un altro scarto interessante è quello registrato tra nord e sud d’Italia. Su questo tema si è discusso tanto: la Lega ci ha fatto pure un’estate di campagna elettorale (quella del 2009). E solo in un Paese come il nostro si possono dire idiozie in pubblico senza essere censurati dal proprio pudore (innanzi tutto), e a mali estremi dall’intelligenza altrui. Anche perché chi dice che al Sud i docenti le lauree se le comprano, dovrebbe poi spiegare perché il Nord risulti più brillante, nonostante abbia tanti meridionali come docenti, da spingere onorabili onorevoli a proporre leggi ghetto per escluderli dalle serenissime lande padane. La verità è che in un Sud che sempre più si spopola di giovani e si priva di speranze, la scuola viene intesa come ‘ammortizzatore psico-pedagogico’. E a ciò è da giungere l’interesse dei presidi a che gli iscritti ai propri istituti non si diradino. Questo da Bolzano a Ragusa. Ma al Sud si fa uno sconto supplementare. Decidano, a questo punto, i professori se vale la pena perdere la propria dignità, e andare a ripetizione come proposto qualche anno fa dal ministro Gelmini (detto da lei, poi, è proprio umiliante).

Infine, pare si possa registrare anche uno scarto tra maschi e femmine, con un primato di quest’ultime. Chi è entrato in un’aula non si stupisce. Chi conosce i ragazzi a quell’età, perché li incontra in qualità di docente a scuola o di educatore fuori dalle aule, sa che c’è differenza anche di temperamento. Le classi miste avevano un significato quando vennero introdotte. Ora non più. La storia procede: restare fermi è la morte. Non sarebbe un dramma ritornare a classi separate, e rendere più specifici metodi, toni e forme di insegnamento, più legati allo sviluppo psicologico del giovane. In considerazione anche del fatto che, dentro e fuori dalla scuola, i ragazzi avrebbero comunque la possibilità di socializzare tra loro, al di là dell’appartenenza di sesso.

Vedrete, però, che di tutto questo, così come non se n’è parlato finora, non se ne parlerà in seguito. Noi continuiamo ad illuderci che il problema sia soltanto economico e giuridico. È soprattutto pedagogico.


Pubblicato il 10 dicembre 2010 su www.cataniapolitica.it

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