"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

15 ottobre 2010

SERVA STAMPA DI PADRONA POLITICA



di Antonio G. Pesce- Non ci tengo alla testa di Sallusti. Non mi piace: pelata com’è, mi fa pensare a come potrebbe diventare la mia, che di foglie ne perde tante e quelle che rimangano appassiscono sempre più. E Porro, il suo vice, ha una chioma fluente ma la faccia butterata. Due mie paure. E poi non mi piace il loro editore (quello vero, mica i prestanome), perché amo stare con i perdenti, e stavo con lui quando erano i conduttori Rai a processare lui e non viceversa. Però, in vita mia non ho neppure mai parteggiato per i santini – che venero solo se posti sull’altare da una canonizzazione papale – e per le verginelle tutte casta e redazione.

L’inchiesta di Woodcock incomincia a destarmi qualche sospetto. All’inizio ci avevo creduto pure io, ma ascoltando più campane – tutte stonate – e sentendo cosa dichiarano dalla procura, incomincio a nutrire seri dubbi. Perché è stato intercettato il vicedirettore de Il Giornale? Mistero. Non è indagato il suo interlocutore, Rinaldo Arpisella. Non è indagata la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia (almeno così fanno sapere dalla procura). E non erano indagati Porro e Sallusti. E allora le intercettazioni? Mistero.

Nessun mistero sul fatto che la giustizia in Italia non funzioni. Ormai è un segreto di pulcinella, e tutti ci siamo abituati alla cosa. Continuiamo, invece, a marciare compatti per difendere non solo la libertà di stampa, ma la credibilità di coloro che l’amministrano. E qui ci sbagliamo. Perché i giornalisti sono questa massa di ipocriti, che mette in croce Porro prima che qualcuno li chiami a scagliare la prima pietra.

Porro è un giornalista e – puta caso – lo è pure il portavoce della Marcegaglia. Perché industriali, uomini politici, grandi case editrici, istituzioni eccetera assumono giornalisti come loro addetti stampa? Perché il mestiere lo sanno bene? No, per fare quello che fa Arpisella: sapere prima quel che potrebbe sapere dopo, e cercare di non farlo sapere a nessuno se gli riesce; o farlo sapere in un altro modo, se proprio non può far altro. E anni vissuti fianco a fianco con i “colleghi” facilitano molto. O no? Non vi è mai capitato di veder passare prima di voi, che aspettate da ore nell’ambulatorio, il figlio dell’infermiere collega di quello in servizio?

In cambio, il “portavoce” ti passa qualche altra “voce” – non sul suo mecenate, ovviamente! – sul dirigente della compagnia rivale o dell’avversario politico del suo capo. Il giornalista si fa quattro conti, e se è una persona perbene che crede nel lavoro che fa, scambia il pesce piccolo per quello grosso. Se è un filibustiere, quello grosso per quello piccolo. Ma uno scambio avviene. Sperando che, alla fine, i conti tornino, la giustizia trionfi, e tutti abbiano la coscienza a posto. E come tornano i conti? Con la pluralità dell’informazione. Non è nemmeno un problema che nel giornalismo ci siano padroni. Ognuno di loro, infatti, ha i suoi “segugi”, e nella lotta di tutti contro tutti, se non tutta ma almeno metà della verità che c’è da raccontare viene a galla. Il problema è, invece, quando ci sono pochi padroni. Come in Italia.

La mercanzia dell’informazione è una cosa seria. Porro lo sa, e tentava di estorcere un’intervista. La Marcegaglia, che scema non è, non glie l’ha concessa: avrebbe dovuto rispondere a domande più imbarazzanti di quelli sul suo voltafaccia al premier. Avrebbe dovuto spiegare alcune cose inerenti al suo gruppo. Scema non è, e ha preferito il morbido velluto del Corriere. Porro c’è rimasto male, e le ha incusso un po’ di paura. Non trattava con una velina, per la quale basta un po’ di indifferenza per mandare in fumo una neonata carriera. Si parla di potenti gruppi industriali. E siccome Emma la vispa qualche buon motivo per temere ce l’ha, ha mosso i santi del paradiso Mediaset per vedere di far girare la sorte in modo diverso. Neppure lei ci fa una bella figura.

Questo è il giornalismo. Ci sono gruppi editoriali, e se a Feltri è toccato Berlusconi, a Concita De Gregorio Renato Soru, padron dell’Unità, di Tiscali ed ex presidente della regione Sardegna. C’è differenza tra i due editori? Sì, molta. Almeno fino a quando Soru non sarà presidente del consiglio. Poi, nessuna. E tra Sallusti che trita Fini e Padellaro de “Il Fatto” che sbrana Berlusconi c’è differenza? Sì: fino a quando i lettori del primo non diventeranno giustizialisti come quelli del secondo, e quelli del secondo non vorranno la testa dei nemici politici come quelli del primo.

Questa è l’Italia. Non ci sono più i servi di una volta. Siamo tutti – chi più, chi meno – un po’ mercenari. Ci sono interessi. Ci sono copie da vendere. E finché ce ne saranno, si è “liberi”. Quando non ce ne saranno, disoccupati.


Pubblicato il 12 ottobre su www.cataniapolitica.it

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