"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

8 ottobre 2010

LIBERTA' DI STAMPA E COSCIENZA MORALE


di Antonio G. Pesce- La querelle che vede contrapposti il free press Sud, diretto dall’ottimo Antonio Condorelli, e il presidente della regione Sicilia, Raffaele Lombardo, si sta arricchendo di nuovi episodi. Ormai, non è più questione di toni ma di denunce. La procura ha perfino ordinato una perquisizione nella redazione del giornale, e noi proprio ieri abbiamo pubblicato un comunicato del direttore.

Questo è solo un episodio – il più vicino alla terra sicula – di un tema che fino a non molti mesi fa ha opposto intellettuali, giornalisti, politici. La cosiddetta “legge bavaglio”, proposta dal governo Berlusconi per ‘regolare’ l’utilizzo delle intercettazioni, ha diviso l’opinione pubblica, la classe politica, e perfino quella della carta stampata, di solito molto compatta quando si tratta di difendere prerogative di casta.

Il rispetto del diritto alla riservatezza del cittadino è solo la spiegazione più banale di provvedimenti che hanno ben altre motivazioni. Non si vede cosa ci sia di così riservato nelle nostre conversazioni private che non possa venire divulgato. Ognuno ritorni alla memoria a quel che dice alla cornetta, e capirà da solo che divulgare i fatti nostri, sperando che aumentino le vendite di già anemici prodotti editoriali, è come credere che il confessore non abbia altro a cui pensare che ai nostri peccati.

È che ciascuno si crede l’ombelico del mondo. Non siamo così speciali. Tutti abbiamo gli stessi desideri, le stesse speranze, gli stessi scoramenti. Anche l’amante, in un’ Italia dal dubbio gusto come quella che viviamo, può diventare motivo di vanto più che di scandalo. Ciò che ci rende speciali agli occhi (indiscreti) altrui, è quello che gli altri possono vedere in noi: l’illusione della fama, la vanità della bellezza, l’influenza della decisione. Quest’ultimo caso è assai diverso dei due precedenti, perché si tratta di una relazione univoca. Mentre nei primi due c’è un mutuo scambio di convenienze, nel terzo no. La fama dell’attore si alimenta della mia stessa brama di identificazione, e questo è tanto risaputo da essere alimentato dal pettegolezzo organizzato: finire in prima pagina è nell’interesse anche del belloccio o della scostumata di turno, e le spiagge più appartate, le cenette più intime sono un set cinematografico nel quale si gioca al divismo.

In politica non è così. Socrate, nella ‘Repubblica’, invoca condizioni svantaggiose per chi vada al potere. In modo tale che, non avendo onori ma oneri, solo i più virtuosi si sacrificherebbero. Solo chi crede, ha ferrea fede che il proprio dovere vada compiuto. Al di là di tutto. Se, però, già allora i politici non scarseggiavano, vuol dire che proprio malaccia la vita in uno scanno non è.

Oltre, però, al personale, c’è il sociale che oggi viene bandito dalle pagine dei nostri giornali. Passi che non si voglia far sapere con chi si ceni, o quali numeri telefonici ricevano più attenzione di quelli mai riservati agli affetti del cuore. Ma oggi scompaiono dall’informazione intere fette di società, uomini e donne inghiottiti dall’oblio che genera una rabbia più grande del torto subito. Perché è un po’ come non esserci. È un po’ come non esistere. Un dolore non raccontato è un dolore mai provato, un dolore vano, un disagio insensato.

La realtà non è l’immediato che viviamo. Ci viene restituita dagli altri. È successo da bambini, quando il nostro piccolo mondo si dilatava grazie ai racconti dei nostri genitori, dei nostri nonni. Succede ancora oggi, ogni giorno, nella lettura di libri e giornali, nell’ascolto di notiziari e bollettini, nella discussione con amici, colleghi e conoscenti. Il giornalista, lo scrittore, l’intellettuale che deve ricostruire dai cocci la realtà per darcene un’immagine la più esaustiva possibile non si sta limitando al campo del puro intellettualismo: sta facendo politica. Provate a non pensare alle cose che avete imparato o saputo da altri, e scoprirete che il vostro mondo è davvero molto diverso e più piccolo.

Si capisce perché chi la politica la fa nel senso comune del termine, non abbia mai avuto molta simpatia per chi gli costruisce il mondo su cui dovrà provarsi, e alla fine essere giudicato. La libertà di stampa, però, non è codice giuridico ma coscienza morale. Perché è facile liberarsi dal peso esterno dell’autorità, molto meno da quello interno del convincimento: non capita di rado di vedere faziosità anche in chi fa professione di imparzialità.

Bisogna vigilare su se stessi innanzi tutto. Solo allora si avrà quel coraggio di fare quel che Orwell chiedeva alla stampa: dire alla gente – a tutta la gente – quello che non vuole sentirsi dire.


Pubblicato il 2 ottobre 2010 su www.cataniapolitica.it

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