"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

17 aprile 2010

SULLA BOCCIATURA DEI MATRIMONI GAY

di Antonio G. Pesce- La Corte costituzionale ha rigettato come ‹‹inammissibili e infondati›› i ricorsi presentati per introdurre, nel nostro ordinamento, la possibilità di contrarre matrimonio tra persone dello stesso sesso. Tutto nato dalle denunce presentate da coppie omosessuali che, vistesi respinte dall’ufficiale di Stato civile la richiesta di pubblicazioni, avevano investito i tribunali delle rispettive città, Trento e Venezia. Questi si erano rivolti alla Consulta per chiedere se non fosse ipotizzabile una violazione degli articoli 2 (diritti inviolabili dell’uomo), 3 (principio di uguaglianza), 29 (diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio) e del primo comma dell’art. 117 (ordinamento comunitario e obblighi internazionali) della Costituzione.

Prima di entrare nello specifico, è bene attendere la pubblicazione delle motivazioni. Per ora sappiamo soltanto che la Consulta farebbe dipendere tutto dalla ‹‹discrezionalità del legislatore››: in poche parole, dal potere politico. Non è la prima volta che capita: per diverse ragioni, anche davanti al caso della giovane Eluana Englaro Giovanni Maria Flick, allora presidente della Corte, ammise l’impossibilità della Consulta di dirimere la controversia.

Ma quante altre controversie la nostra Costituzione non potrà dirimere? Molte altre. Perché molte sono le questioni che, storicamente, la nostra civiltà non ha creduto di dover far risolvere alla politica. Uno Stato non nasce con l’intento di tracciare il confine tra la vita e la morte, né può – ma ce lo dimentichiamo spesso – mettere la parola fine sulle dispute millenarie circa la virtù e la buona vita. Non ci sarà mai Stato che saprà risolvere le nostre angosce o, con un atto legale, dirci come sia giusto o sbagliato amare. Una vita è un mistero insondabile perfino per colui che la vive. È qualcosa che sfugge all’immediatezza: valutiamo quella passata col metro di quella appena acquisita. Diciamo che un amore era sbagliato quando torniamo ad innamorarci.

Proprio per questo, la più grossa barbarie degli ultimi due secoli è l’aver demandato al potere politico la soluzione dei dilemmi della nostra libertà – quella libertà dinanzi alla quale neppure Dio, avendola donata, può lederla. Liberi lo siamo appunto perché, in fin dei conti, mai totalmente definibili dai nostri stessi simili. E quando, ai piedi dell’altare dello Stato, deponiamo la nostra più intima essenza – la libertà – per averne in cambio leggi anche giuste (figuriamoci quando se ne abbia in cambio, addirittura, la lusinga legislativa del caporione del momento), noi perdiamo più di quanto speriamo di ottenere. Ammesso che valga la pena conquistare il mondo perdendo se stessi.

Fuori di metafora, nessuno potrà mai sapere se amare da omosessuali e da eterosessuali sia lo stesso. Come nessuno potrà mai giudicare l’amore che c’è tra due persone a noi care, delle quali, magari, siamo in grado di raccontare tutta la vita e di rubricare tutti i gusti e i tic più nascosti. Perché nessuno può mai dire, fino in fondo, quanto sia ricambiato l’amore che egli prova per la persona amata. Non si ama per essere amati. L’amore si giustifica da sé punto. L’eternità di un amore sta tutto nella capacità di sfuggire al commercio tra le parti: non è un caso che quello più duraturo sia anche il più franco da interessi, l’amore di una madre per suo figlio.

Per questo non c’è bisogno di contratti per amare. Si dona l’intera vita, o quanto meno i momenti più belli, alla persona che si ama senza chiedere nulla. Ed è proprio nel non chiedere che sta tutta la bellezza dell’amore. Amare è donare. E ci si dona in assoluta gratuità sin dai primi anni di scuola elementare – un palpito in più del cuore davanti alla ragazzina di cui ci si è infatuati, non è meno degno di essere vissuto dei sentimenti maturati davanti ai carati di un diamante. Ci si dona con assoluta devozione, senza nulla a pretendere, anche nel più assoluto segreto del cuore. Nessuno potrà mai ricambiare, perché nessuno saprà mai. Amori che nascono nel cuore, e finiscono solo con la fine del cuore. Amori che finiscono solo con la morte. O, forse, proprio per questo, mai finiti.

Nessuno può impedire che tutto ciò avvenga. Perché il cuore è di chi lo sente.

Con o senza matrimonio, le persone amano comunque. Il matrimonio non garantisce l’eternità dell’amore né è sigillo di qualità di un sentimento. Il matrimonio sancisce altro. È l’accettazione pubblica di un sentimento. Perché se è vero che nessuno può negare a un cuore di battere, nessuno può scandire il tempo col palpito del proprio. Non è un caso, infatti, che il matrimonio si celebri davanti ad un ufficiale e che per essere ritenuto valido serva, oltre alla propria, pure la disponibilità dell’altrui persona.

È un atto pubblico: posso amare anche nel silenzio dell’anima, ma non posso sposarmi se non in uno spazio collettivo. Quello dello spirito sarà, infatti, anche migliore di quello della polis o della ecclesia nel quale contraggo matrimonio, ma non è lo spazio di tutti: è il mio. E, come ogni cosa che è naturalmente mia, non abbisogna di carte bollate perché me ne venga riconosciuta la proprietà.

Quando, però, decidiamo di sposarci, chiediamo all’altra persona di seguirci in questo passo. Con l’altra persona decidiamo dove coabitare, come arredare il luogo, che cosa fare del tempo insieme, come gestire le casse e se avercene una comune. Non ci sono regole ai sentimenti, se non quando si tratta di comunicarli a coloro che ne sono oggetto. Allora tutto cambia, ed il mezzo, in questo caso, avrà lo stesso garbo del fine.

Regola, alla radice c’è il vomero; – regolare significa tracciare limiti, come il vomero anticamente quelli della città. Della polis. Ci sono regole anche nell’amore, appena il nostro sentimento fa oggetto qualcosa. Figuriamoci qualcuno. E c’è un limite che l’amore omosessuale, per quanto degno lo si voglia e lo si possa credere, non può superare per entrare in città: è la terra. Una terra che, per quanto umana, ha le sue regole. E queste regole dirigono la Storia. L’impossibilità di generare è la stessa impossibilità di continuare il diritto e, in ultima analisi, la città.

Lasciamo alla miseria della terra la prerogativa di dettare il ritmo della storia, dato che ai sentimenti è dato in dono la possibilità di scrivere le pagine eterne del cuore


Pubblicato su www.cataniapolitica.it del 15 aprile 2010.

Nessun commento: