"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

26 aprile 2010

LA TRAGEDIA DELLA DESTRA

di Antonio G. Pesce- Da anni la destra non legge più. Da anni non si sa più che cosa legga la destra. Una volta, appena entrato in una sezione del vecchio Pci o dell’Msi ti davano il catechismo: una lista fitta fitta di nomi e opere da leggere. A mio zio, pasticciere, diedero da leggere I tre volti del fascismo di E. Nolte. Forse si esagerava, ma nessuno poteva disconoscere la mèta agognata e i compagni di viaggio.

Oggi, la politica ci dicono che è nuova. E la novità starebbe nella leadership carismatica: cioè, in poche e succinte parole, un uomo solo al comando e la reductio ad unum di ogni distinzione. Politica che tanto nuova non è, ma quando la memoria si annebbia, e anzi si perde il filo della storia, si spaccia per oro l’anticaglia dell’armadio buio del passato. Ogni merce ha la propria tracciabilità – della vita umana, dell’esperienza politica di una civiltà si possono perdere le orme. E tutto ricomincia. Corsi e ricorsi storici? Nulla di pre-determinato. Se gli uomini imparano dal già vissuto, non hanno da temere di ricadere negli stessi incubi.

Non ci sono più maestri, e Fini si era sbarazzato anni addietro di quelli che gli erano rimasti. Ora il giovane discente ha il suo Socrate nel pur garbato professore Campi e la sua agorà nella fondazione FareFuturo. Ma se avesse continuato a leggere Giovanni Gentile, probabilmente, non solo avrebbe trovato parecchi motivi per non co-fondare con Silvio Berlusconi il Popolo della Libertà, ma in queste ore, magari, avrebbe ripreso in mano I fondamenti della filosofia del diritto, e sarebbe trasalito rileggendo quello che scriveva il filosofo siciliano nel 1916: ‹‹Tutto un passato eroico può essere cancellato da un istante di viltà››.

La viltà di non aver saputo rischiare quel giorno, quando perfino il ‹‹democristiano›› Casini ebbe il coraggio di dir no al partito di gestazione automobilistica. Un predellino può fare un partito? La politica può essere non-pensata? Poi, prima ancora di Tartaglia, La Russa ci ha raccontato la storia di quella nascita: ‹‹un atto di amore››, va dicendo, ‹‹perché in quei giorni era morta prima la madre di Berlusconi, poi quella di Gianfranco››. La gente non si riunisce più nell’intimo della propria famiglia per piangere la dipartita dei cari. Fonda partiti.

Davanti al silenzio di chi teme di perdere la stima del capo carismatico, ed è dunque pronto a dimenticare pure l’ultimo barlume di dignità, anche il Fini di questo ultimo decennio – così liberista e radical-chic, così schierato per il pensiero unico mieloso della piccola borghesia intellettualoide – anche questo Fini assume i tratti eroici di un Ettore che, pur vedendo di aver contro gli dèi dell’Olimpo, combatte Achille a viso scoperto. E muore. Ma l’ira del Pelide non trasmette lo stesso pathos di chi, pur non cercando il martirio, opta per l’ultimo brano d’onore. Uno contro tutti: c’è del sublime, come il mare il tempesta o la contemplazione del cielo stellato.

Fini è finito. Almeno per i prossimi anni. Esattamente come quelli appena trascorsi. Altri avvenimenti potranno sbloccare la situazione politica italiana: avvenimenti che, ora, non possiamo neppure intravvedere. Ma non saranno motivi politici. Gli italiani non usano la ragione in politica, ma il cuore. Fini dovrebbe saperlo, perché negli anni in cui non sparlava – e parlava all’unisono con la nazione che voleva difendere dal nichilismo e dalla disgregazione sociale – fu tra i pochi a far innamorare gli italiani. Allo stato attuale, una parte di essi, piuttosto che rischiare per avere quanto loro dovuto, preferiscono i balocchi che si possono comprare con i pochi spiccioli rimasti ad un mamma egoista e scialacquatrice, che li sperpera in profumi per sé (senza considerare i lifting mediatici).

Eppure, il ragionamento fatto da Fini lì dove questi tipi di discorsi vanno fatti – e non sporgendosi da una macchina – non faceva una grinza. Intanto, il tono. Conciliante. Buon sangue (di retore) non mente: concedere argomenti e ragioni anche all’avversario, sapere scendere a patti, dire quel che si può dire e nel modo in cui va detto, ed evitare quello che non si può dire. Poi, la strategia. ‹‹La Lega fa bene il suo lavoro››, dice Fini. Sicuro? Alla Lega la situazione scapperà di mano, prima o poi. Solo un Nord illuso (o forse moglie di un marito fedifrago: meglio non capire…), e che pure è stato il cuore civile di questa nazione, può non accorgersi che le sante battaglie celtiche si sono imborghesite con l’avanza del potere. Da Roma-ladrona a Ladrona-di-Roma: in ultimo, perfino la più statalista delle richieste, la direzione delle banche. Tuttavia, nel senso di bieco monopolio di cacciagione elettorale, è fuor di dubbio che la Lega ha segnato il suo territorio. Ma quanto sarà capace di reggere il Sud una situazione da curva?

E poi, verrà il giorno il cui sarà posta all’ordine del giorno la questione di un partito che, ormai, discrimina apertamente, offende razzialmente e, di fatto, conquistando regione su regione, avrà la possibilità, da qui a qualche anno, di fare quello che nella sua radio dicono in molti apertamente.

Fini lo sa. E sa anche che più la Lega sproloquia al Nord, più il Sud chiederà garanzie all’unico partito nazionale della coalizione. E a quel punto?

A quel punto, cioè quando i meridionali si accorgeranno degli scippi autorizzati dal loro stesso voto, Berlusconi non avrà da temere alcuna crisi di governo. Saranno caduti in prescrizione molti dei processi rinviati con le leggi ad hoc approvate dallo stesso Fini. E non c’è da contare sulla sinistra – ché i suoi bei cedimenti retorico-nordisti li ha pure avuti in questi anni. E poi l’ex-Pci è ormai senza spina dorsale che, nel caso di un partito, si chiama organizzazione. E neppure dell’Mpa, perché Lombardo avrà anche saputo tener testa a Silvio & Co., ma è ancora nella maggioranza. E, francamente, lo abbiamo sentito tuonare – e anche molto bene, con stile – per difendersi in seno all’Ars dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, ma fino ad ora nessuno lo ha sentito fare e dire altrettanto per la difesa della terra che, in fin dei conti, continua a premiarlo.

Berlusconi vince perché, restando in politica, non ha nulla da perdere. Ecco perché non ha paura. Perché nulla gli è e si è precluso. Fini sì. Fini ha paura. Non vuole restare tagliato fuori, ma neppure vuole restare dentro ad ogni condizione. Achille voleva solo la gloria. Ettore no. Voleva salvare la faccia, e salvare la vita. La politica italiana, se non ha partorito un dio, ci consegna, ormai, certamente un Titano.



Pubblicato su www.cataniapolitica.it del 24 aprile 2010.

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