"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

21 aprile 2010

EMERGENCY: L’OSCENO DUBBIO DI FRATTINI E IL MACETE DI STRADA

Di Antonio G. Pesce- È finita bene. Tra un paio di giorni – nubi laviche permettendo – torneranno a casa i tre operatori di Emercency arrestati (o sequestrati, a seconda dei punti di vista) dai servizi di sicurezza afgani quattro giorni fa. Eppure, siamo stati capaciti di trasformare questo caso – un caso squisitamente politico, nient’altro che politico – in una disputa attorno ai buoni sentimenti e alla redenzione degli uomini. In un paese in cui la sinistra rispolvera il motto della questione morale, solo per censurare i comportamenti boccacceschi del presidente del Consiglio (ormai più adatto a fare scuola alle nuove leve di dongiovanni, che non a quelle dei buoni amministratori), e la destra straparla di valori senza mai dire quali siano e riadattando ad uso proprio quelli che dice apertamente di condividere, il fatto che tre nostri concittadini vengano arrestati senza un preciso motivo non poteva che diventare motivo di contrapposizione teologica – tutti figli di uno gnosticismo, di fronte al quale anche il meno avvezzo alla spudoratezza di certe idee, preferirebbe un sano machiavellismo, o ancor più un realismo crociano, che non questa farsa da oratorio cattosocialista.

Inizia il nostro ministro degli esteri. Oltre che bello, è pure pio. È un pregaiuolo. Ci arrestano tre connazionali: sono medici, infermieri. Uno è addirittura un ragazzotto di neppure trent’anni. Tutti con l’ideale sano di salvare vite umane, e con la convinzione (meno sana) che tutto il male venga dagli occidentali. Che sono gli stessi a cui si rivolgono per avere aiuti economici. Illusi di un pacifismo parolaio. Ma non terroristi. Anzi, è ridicolo anche solo pensarlo. Eppure vengono arrestati dopo un blitz dei servivi segreti. Non si sa bene perché proprio loro. Ma si sa che, tra bende e pannolini, avrebbero avuto l’imprudenza di conservare armi da guerra, che – è notorio – non vanno nascosti, ma conservati all’asciutto. Forse, avrebbero pure pianificato l’omicidio del governatore del distretto. Pensate un po’! Dopo l’arresto, non se ne sa nulla per tre giorni. Ora, almeno sappiamo che sono liberi e che torneranno a casa. E davanti a tutto questo, come risponde il ministro degli esteri di uno dei paesi che tanto sta facendo per la rinascita di quella terra? Prega. Prega che non siano vere le accuse. Perché ha nutrito dubbi in merito?

A sentire Gino Strada, l’anima di Emercency, si capisce bene che questa è gente che non ha mai avuto nulla a che vedere con armi e complotti. Non foss’altro perché armi e complotti sono roba umana. Roba di questa terra, nella quale gli uomini, da millenni, si industriano per raggiungere una guerra meno duratura dei periodi di pace. Essi, invece, sono i guru di una religione senza dio, di un cristianesimo senza Cristo, della strategia della nonviolenza senza i presupposti storici che permettano di distinguerla dalla permissione della violenza medesima. Sono una redenzione senza il dubbio dell’esistenza del peccato.

I laici di una volta, almeno, avevano chiara la situazione antropologica dell’uomo; sapevano che la storia umana non era l’Eden e che per giungere alla terra promessa dalla pace c’era da attraversare il deserto del male e salire per il calvario delle scelte. Anche dolorose. Perché la storia eterna della Provvidenza sarà pure disseminata di croci e cicatrici, ma è almeno illuminata dalla lampada della speranza. Il provvidenzialismo laico del pacifismo novecentesco è un chiedere al dio avvenire senza pretendere nulla dall’uomo presente. La laicità di Croce aveva chiaro che, senza Dio, l’unica preghiera era quella delle mani dell’uomo. Un rosario fatto di impegni e di scelte, anche piccoli, ma dal grande peso e dal passo lento. E ce stato chi non ha temuto di sporcarsi le mani di sangue, se ciò poteva significare la fine di una tirannide. Von Stauffenberg e Canaris oggi sarebbero dei criminali alla stregua dell’ Imbianchino che volevano uccidere.

Non è in dubbio che certe guerre siano mosse da ragioni infondate e tutte dovrebbero essere evitate. Questo lo ammette chiunque abbia un minimo di buonsenso. Lo stesso che, però, distingue la forza priva di giustizia, chiamandola violenza, da quella che la contempla e che si chiama diritto. Il diritto abbisogna della forza quando, in extremis, ci si trova davanti a soggetti che disconoscono la sua natura intersoggettiva. È meglio peccare di troppo zelo che per mancanza: il troppo può sempre essere riparato da un giusto equilibrio, mentre la mancanza di diritto è la guerra di tutti contro tutti.

Dire, allora, che la guerra contro il regime talebano sia stato un errore è un’opinione discutibile politicamente, ma moralmente ha una sua dignità. Come affermare altrettanto della guerra irakena. Certo, nessuno che lo fa spiega, poi, come mettere d’accordo questo pur prudente, a tratti anche saggio, relativismo, con la fondatività dei diritti umani in un’epoca in cui la loro violazione appare evidente per via dei mezzi di comunicazione. Ma ancora siamo nel solco del lecito.

Ciò che non è lecito è andare in televisione a mostrare i propri dubbi di profeta della radiosa pace avvenire sulla distinzione tra truppe regolari e terroristi. Non si tratta, qui, di una distinzione politica – discutibile, ma politica. Si tratta di una pericolosa deriva morale. Segno che, a forza di chiacchierare di strategie geopolitiche e di buoni propositi, anche gli esperti chirurghi perdono l’antica padronanza del bisturi. E usano un macete per sezionare i problemi. Che, notoriamente, sono ancor più delicati dei delicati tessuti umani.



Pubblicato su www.cataniapolitica.it del 19 aprile 2010.

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