"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

3 marzo 2010

PD E PDL. L’ARGINE STRARIPA DA ENTRAMBI I LATI DEL PO



Pubblicato su www.cataniapolitica.it del 3 marzo 2010


di Antonio Giovanni Pesce - Il Popolo delle Libertà non funziona: inutile girare attorno al problema. Fernando M. Adonia, in un suo articolo, ne ha parlato diffusamente, tanto che non c’è altro da aggiungere ai fatti. La politica come dovrebbe essere è la progettualità dello spazio pubblico nel tempo. La politica com’è, qui e adesso, si occupa a stento di organizzare il consenso e di amministrare il potere. Se non riesce a fare neppure questo, allora è la fine del sistema cristallizzato, ed è il momento dell’idealità fluida. Il PDL non può contare su quest’ultima risorsa, perché quando nacque non si occupò di dirimere la controversia esistenziale di ogni organismo che abbia un minimo di coscienza, e cioè che cosa sarebbe stato da grande. E adulti abbastanza maturi sanno che, in famiglia come sul lavoro, nello studio come nei rapporti amorosi, i problemi non risolti incancreniscono semmai, ma non spariscono. E sapere chi si è significa avere una storia. Ed avere una storia significa avere già in tasca metà del futuro. Non pianificazione di ciò che sarà – ché a saperlo è solo Dio – ma neppure accidiosa attesa del compimento di un destino: un ideale, a cui tornare quando la realtà si farà troppo stretta, e il futuro ancora lontano. Per un ideale, infatti, si è disposti a sacrificare qualche poltrona, a inghiottire qualche boccone amaro, a trattenere qualche animosità. Senza ideali, senza progetti – insomma, senza futuro, il presente diventa una squallida lotta per la sopravvivenza. Alla fine, non vince il più forte ma il più adatto: chi sa meglio trattenersi dal dire al re che è nudo.

Il PDL non sa che cosa esso sia– e, quel che è peggio, non sa che Italia vuole: lo abbiamo visto tramite la cartina di tornasole di una società, la scuola, tagliuzzata più che riformata, ma senza il ben che minimo progetto in testa. Con le mani in tasca (in tutti i sensi) si va a zonzo, non ci s’incammina.

Quello che non potevamo preventivare è l’assoluta incapacità di amministrare il potere: la storia dell’incaricato che non presenta in tempo la lista, perché impegnato a ingozzarsi con un panino, è tanto ridicola da apparire offensiva, se la si presenta ancora come spiegazione. La classe politica italiana si è mangiata ben altre cose – il passato laborioso dei nostri genitori, forse il futuro sereno dei nostri figli, ma non si è mai fermata – lo avesse fatto! – a un tozzo di pane e provola. Forse le liste andavano cambiate. Forse c’era da fare l’ultimo ritocco al volto emaciato di un potere che non si accorge di aver superato, da un bel pezzo, il limite della decenza. Forse, ancora, il lavoro sporco lo ha fatto la persona meno capace, e ce ne sono più oggi che nella vituperata prima repubblica. Forse. Per intanto, sappiamo che il maggior partito italiano rischia di non avere una sua lista alle prossime regionali nella circoscrizione della capitale, e che la coalizione, nata per marciare su Roma, ora ripiega pure lì dove era meglio assestata.

E intanto, l’argine straripa da ambo i lati del Po. Il problema non è più, o meglio non ancora, il PD, che non riesce a trovare il giusto approccio col Nord del Paese – Nord che è in affanno; Nord che licenzia, che rimane senza una casa, senza stipendio; Nord che fallisce e chiude battenti, ma che la sinistra sperava di accontentare con qualche sindaco travestito da ‹‹sceriffo››, prima che arrivassero i cavalieri della giustizia con le loro ronde. Il problema è la Lega. E non per il possibile sorpasso ai danni del PDL in Piemonte, Lombardia e – quasi certamente – in Veneto, ma per la deriva che si aprirebbe. C’è infatti un limite al travaso dei voti tra due diversi schieramenti, e cioè difficilmente si sfondano le linee nemiche: si fa qualche scorribanda, si rosicchia qualche chilometro nel campo avversario che, fuor di metafora, significa qualche punto percentuale, e tutto finisce qui. Il resto dei possibili combattenti diserta le urne, si chiude nel suo rancoroso silenzio, dà del cialtrone al vicino che non ha saputo votare, e aspetta che gli passi l’amarezza. Ma non passa al soldo dell’avversario, non tradisce. Ma passare con l’alleato può essere considerato ancora tradimento?

Non è detto che la biglia si fermi. Il piano è inclinato. La Lega per un elettore pidiellino non è il PD, e ha dimostrato di avere una struttura solida – diremmo perfino feudale – anche quando il capo carismatico giaceva tra la vita e la morte: mesi in cui un gruppo dirigente seppe condurre trattative, fare alleanze, spartirsi equamente il potere, senza mai apparire diviso.

Assenza di ideali, incapacità di comando, squarci perfino nella corazza del consenso: sono più di un campanello d’allarme. Gli italiani sono un popolo di navigatori. E come tutti i buoni navigatori sanno quando le falle sono fatali. Allora, non attendono di morire come sorci incastrati nel relitto. Incagliarsi nel Po è il vero pericolo per il grande timoniere.

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